la luna ne è uscita... sei: disgrazia... sera: sette...» e annunciò con voce forte e gioiosa: - Le taglieranno la testa!

Con astio e stupore Bezdomnyj spalancò gli occhi sul disinvolto sconosciuto, mentre Berlioz chiese con un sorriso forzato:

- Chi, per la precisione? Nemici? Invasori?

- No, - rispose l'interlocutore, - una donna russa, un membro della Gioventú comunista.

- Hm... - mugolò Berlioz, irritato dallo scherzetto dello sconosciuto, - scusi, sa, ma è poco verosimile.

- Mi scusi lei, - rispose il forestiero, - ma è proprio cosí. Ah già, le volevo chiedere che cosa fa stasera, se non è un segreto?

- Non lo è. Adesso vado un momento a casa, sulla Sadovaja, poi alle dieci ci sarà una seduta al MASSOLIT, e io la presiederò.

- No, questo non è assolutamente possibile, - rispose con fermezza il forestiero.

- Perché?

- Perché, - rispose l'altro, e con gli occhi socchiusi guardò il cielo dove, presentendo la frescura della sera, uccelli neri sfrecciavano in silenzio, - Annuška ha già comprato l'olio di girasole, e non solo l'ha comprato, ma l'ha anche rovesciato. Perciò la seduta non avrà luogo.

È chiaro che a questo punto sotto i tigli subentrò il silenzio.

- Scusi, - disse dopo una pausa Berlioz, guardando il forestiero che stava sragionando, - che c'entra l'olio di girasole?... e di quale Annuška sta parlando?

- Ecco come c'entra l'olio di girasole, - prese a dire Bezdomnyj, che aveva evidentemente deciso di dichiarare guerra al non richiesto interlocutore. - Non è mai stato, per caso, in una casa di cura per malati di mente?

- Ivan!... - esclamò a bassa voce Michail Aleksandroviè.

Ma il forestiero non si offese affatto e scoppiò a ridere con molta allegria.

- Ci sono stato, e come! - esclamò, sempre ridendo, ma senza distogliere dal poeta gli occhi che non ridevano affatto. - Dove non sono stato! Peccato che io non abbia fatto in tempo a chiedere al professore che cosa sia di preciso la schizofrenia. Si informi lei stesso, Ivan Nikolaeviè!

- Come fa a sapere il mio nome?

- Per carità, Ivan Nikolaeviè, chi non la conosce? - Il forestiero trasse di tasca la «Literaturnaja gazeta», il numero del giorno precedente, e sulla prima pagina Ivan Nikolaeviè vide la propria immagine con sotto i versi. Ma l'attestato di celebrità e popolarità che ieri ancora rallegrava il poeta, non lo rallegrò questa volta.

- Le chiedo scusa, - disse, e il suo volto s’incupí, - può aspettare un momento? Vorrei dire due parole al mio amico.

- Oh, volentieri! - esclamò lo sconosciuto. - Si sta cosí bene sotto questi tigli, e poi non ho affatto premura.

- Senti, Miša, - sussurrò il poeta, dopo aver tratto da parte Berlioz, - non è mica un turista straniero: è una spia. Un emigrato russo, che è riuscito a intrufolarsi da noi. Chiedigli i documenti, se no ci scappa...

- Credi? - sussurrò allarmato Berlioz, e pensò: «In fondo ha ragione...»

- Dammi retta, - gli sibilò il poeta in un orecchio, - fa il tonto per farci cantare. Lo senti come parla russo, - il poeta parlava e intanto teneva d'occhio lo sconosciuto perché non filasse via, - andiamo, fermiamolo, se no se la squaglia...

E tirò Berlioz per il braccio verso la panchina.

Lo sconosciuto non era piú seduto ma in piedi e teneva in mano un libriccino dalla copertina grigio scura, una rigida busta di buona carta e un biglietto da visita.

- Vogliano scusarmi se, nel calore della nostra discussione, ho dimenticato di presentarmi. Ecco il mio biglietto da visita, il passaporto e l'invito a venire a Mosca per una consultazione - disse con autorità lo sconosciuto, guardando fisso i due letterati.

Questi si sentirono imbarazzati. «Diavolo, ha sentito tutto», pensò Berlioz e fece un gesto cortese come a dire che non era il caso di mostrare i documenti. Mentre il forestiero li porgeva al direttore, il poeta fece in tempo a scorgere sul biglietto la parola «professore» stampata in caratteri latini, e la prima lettera del cognome: una «W».

- Piacere, - borbottava imbarazzato il direttore nel frattempo, e il forestiero ripose in tasca i documenti.

In questo modo, le relazioni erano state ristabilite, e tutti e tre si sedettero di nuovo sulla panchina.

- Lei è stato invitato qui in qualità di consulente, professore? - chiese Berlioz.

- Sí.

- Lei è tedesco? - s'informò Bezdomnyj.

- Io? - ridomandò il professore, e si fece pensieroso. - Sí, direi tedesco... - rispose.

- Parla benissimo il russo, - osservò Bezdomnyj.

- Oh, sono un poliglotta e conosco un gran numero di lingue, - rispose il professore.

- Di che cosa si occupa? - s'informò Berlioz.

- Sono un esperto di magia nera.

«Perbacco!...» pulsò nella testa di Michail Aleksandroviè.

- E... e l'hanno invitato qui per questo? - chiese, dopo un singulto.

- Precisamente, - confermò il professore, e spiegò: Nella Biblioteca di Stato hanno scoperto manoscritti originali del negromante Gerbert d'Aurillac, del decimo secolo. Occorre che io li decifri. Sono l'unico specialista al mondo.

- A-a-ah! Lei è uno storico? - chiese Berlioz con grande sollievo e rispetto.

- Sí, - confermò lo scienziato, e aggiunse senza alcun nesso: - Questa sera ci sarà un incidente interessante ai Patriaršie.

Di nuovo il direttore e il poeta si stupirono immensamente ma il professore fece a entrambi un cenno perché si avvicinassero e quando si chinarono verso di lui, sussurrò:

- Tengano presente che Gesú è esistito.

- Vede, professore, - replicò Berlioz con un sorriso forzato, - noi rispettiamo il suo vasto sapere, ma al proposito abbiamo un punto di vista diverso.

- Non c'è bisogno di alcun punto di vista, - rispose lo strano professore, - è esistito e basta.

- Ma ci vuole qualche prova... - cominciò Berlioz.

- E neppure di prove c'è bisogno, - rispose il professore, e parlò con voce sommessa: la sua pronuncia straniera era scomparsa. - È tutto molto semplice: al mattino presto del giorno quattordici del mese primaverile di Nisan avvolto in un mantello bianco foderato di rosso, con una strascicata andatura da cavaliere...

CAPITOLO SECONDO

 

Ponzio Pilato

 

Al mattino presto del giorno quattordici del mese primaverile di Nisan, avvolto in un mantello bianco foderato di rosso, con una strascicata andatura da cavaliere, nel porticato tra le due ali del palazzo di Erode il Grande entrò il procuratore della Giudea Ponzio Pilato.

Piú di qualsiasi cosa al mondo il procuratore odiava l'odore dell'olio di rose, e ora tutto preannunciava una brutta giornata: proprio questo odore aveva cominciato a perseguitare il procuratore fin dall'alba.

Gli sembrava che anche i cipressi e le palme del giardino olezzassero di olio di rose, e che all'odore dei finimenti di cuoio e del sudore della scorta si mischiasse quell'effluvio maledetto.

Dalle ali posteriori del palazzo, dove si era sistemata la prima coorte della XII Legione Fulminante romana, giunta a Jerushalajim con il procuratore, giungevano nel porticato volute di fumo attraverso la terrazza superiore del giardino, e al fumo amarognolo, che testimoniava che i cuochi delle centurie avevano iniziato a preparare il pranzo, si mescolava quello stesso pesante aroma.

«Oh numi, numi, perché mi punite? Sí, non c'è dubbio, è lei, sempre lei, la malattia orrenda, invincibile... l'emicrania... da essa non c'è salvezza, non c'è scampo... cercherò di non muovere la testa...»

Sul pavimento a mosaico presso il ninfeo era già pronta la scranna, e senza guardare nessuno il procuratore vi si sedette e allungò una mano di lato.