Il mondo come volontà e rappresentazione

287
Titolo originale: Die Welt als Wille und Vorstellung
Traduzione dal tedesco di Gian Carlo Giani
© 2011 Newton Compton editori s. r. l.
Roma, Casella postale 6214
www.newtoncompton.com
Realizzazione a cura di Corpotre, Roma
Prima edizione digitale: gennaio 2011
ISBN 9788854129054
Edizione digitale realizzata da Simplicissimus Book Farm srl
Arthur Schopenhauer
Il mondo come
volontà e rappresentazione
Quattro libri e un’Appendice
sulla critica della filosofia kantiana
Introduzione di Marcella D’Abbiero
Traduzione di Gian Carlo Giani

Edizione integrale
AVVERTENZA
La presente traduzione di Die Welt als Wille und Vorstellung è stata condotta sul testo della terza edizione di F.A. Brockhaus, Leipzig 1859, riprodotta in nuova edizione presso Haffmans Verlag AG, Zürich 1988.
Sono stati tradotti i quattro libri e l’Appendice (Critica della filosofia kantiana) del primo volume, tralasciando il secondo volume contenente i Supplementi. Sono stati comunque conservati tutti i rimandi al secondo volume, quando l’Autore vi fa riferimento.
L’Editore ringrazia la dott. ssa Chiara Gianni per aver collaborato alla cura dell’opera.
Introduzione
1. Il mondo come volontà e rappresentazione, scritto da Arthur Schopenhauer nel 1818, è un testo che ancora oggi ci appare nuovo e sconvolgente, per la profondità filosofica e per la capacità di toccarci l’animo. Nessun filosofo si era soffermato così a lungo sulle emozioni che si collegano ai grandi fatti della vita. È il primo libro di una filosofia esistenziale.
Proprio perché così nuovo, il Mondo è un testo difficile, ed è tanto bello quanto pieno di aporie, sulle quali non è opportuno sorvolare. In esso, che è la prima opera importante stampata da Schopenhauer (se si esclude la sua aggrovigliata dissertazione sui molti modi in cui si parla della causa, del 1813), confluiscono infatti molte e svariate esigenze filosofiche, che non sempre si armonizzano, anzi a volte si urtano e confliggono (si armonizzeranno meglio nelle opere seguenti, soprattutto nei Supplementi al Mondo scritti nel 1844).
Nato a Danzica nel 1788, fin da bambino aveva subito influenze diverse. Dal padre, commerciante anseatico, aveva ricevuto un’educazione laica e razionale, di impronta illuministica e liberale, con molto pragmatismo e molta diffidenza per le parole; era quindi preparato a privilegiare i contenuti rispetto alle forme, e a decostruire mitologie e superstizioni. Dalla madre, letterata e romanziera, aveva invece ricevuto una spinta verso le domande esistenziali, verso la ricerca di un senso della vita, verso l’analisi delle esperienze emotive. Già nella sua tesi del 1813 Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente, aveva cercato di distinguere il principio di causa che si usa nelle scienze naturali, dal “motivo” che si usa per le cose umane. Da subito ha quindi cercato di muoversi sulla base di un realismo estremo, ma senza disconoscere il valore e il significato della vita emotiva.
Questo suo amore per l’esperienza umana sembra però scontrarsi con un’altra spinta assai forte: quella verso la ricerca della verità assoluta, quasi la sua esigenza di senso fosse così forte da non tollerare alcuna fragilità nel suo statuto, e fargli ricercare con ansia un sostegno saldo e sicuro. Nel testo del 1818 vediamo così circolare un concetto tradizionale di verità – adeguarsi ad una cosa vera – che rischia di paralizzare molte sue scoperte.
E di scoperte sensazionali quest’opera è piena.
Schopenhauer vi esprime la sua visione del mondo, che invade tutti i territori umani: l’epistemologia (libro primo), la metafisica e psicologia (libro secondo) l’estetica (libro terzo) l’etica (libro quarto). Non c’è settore che non venga indagato e colpito dalle sue teorie inconsuete, che mostrano l’inanità di ogni conoscenza razionale e il primato di una volontà irrazionale che muove il mondo, agitandosi senza meta e senza requie. L’essere umano in questo scenario è un insignificante prodotto, che trascorre la sua vita intrappolato nel circolo vizioso di un desiderio che non può mai saziarsi, perché qualunque soddisfazione genera la noia. E poiché nella vita non esiste nulla che possa colmare la mancanza, l’unica via d’uscita sembra essere quella di staccarsi dai propri desideri individuali, guadagnando con l’ascesi il nulla.
Schopenhauer si è così guadagnato la fama di pessimista radicale e distruttivo. E non mancano certamente le “pezze d’appoggio”: non è forse “nulla” la parola con cui termina il testo e non è forse la capacità di staccarsi da tutto – l’ascesi – il rimedio che l’autore sembra proporre per le tragedie della vita?
Ma il discorso appare più complicato. La ricchezza di quest’opera consiste proprio nel fatto che, nonostante il finale, accanto alla descrizione realista (più che pessimista) della condizione del mondo, si trovano sprazzi straordinari di apertura e di profonda umanità. Basta gettare uno sguardo alla struttura del Mondo per comprendere che nelle sue pagine scorre sì il pessimismo, ma un pessimismo “umanistico” come diceva Thomas Mann. L’intento dichiarato di Schopenhauer è infatti quello di descrivere con assoluto realismo lo stato del mondo (libri primo e secondo), per poi tracciare, su queste premesse, una qualche via di riscatto, suggerendo comportamenti e stili di vita (libri terzo e quarto). E basta leggere le bellissime pagine che l’autore dedica ai “gradi intermedi” sulla via del distacco, alla tragedia, alla musica, all’amore, alla compassione, e anche alle coinvolgenti descrizioni del dolore, protagonista del mondo, per comprendere la profonda vitalità di questo pensatore.
Ma forse ai tempi in cui scrive Il Mondo Schopenhauer non era in grado di sostenere fino in fondo i suoi pensieri: desiderava ancora una verità totale e perfetta, e questo confligge con la sua attenzione al mondo umano, che è frammentato e molteplice. Si potrebbe allora ipotizzare che sia la sua ansia di verità assoluta che in punti nodali stravolge le sue affermazioni, fino a farle apparire distruttive.
Certamente ci aiuta molto, per sostenere questa ipotesi, la lettura dei Supplementi, scritti nel 1844, che in realtà sono un’altra opera, la quale, se avesse avuto come titolo “La morte, il dolore, l’amore” sarebbe stato un best seller in tutti i tempi, e che invece nasconde le sue preziosità sotto questo titolo un po’ riduttivo, tanto che spesso viene sottovalutato dalla critica.
Nei Supplementi molte delle aporie che aggrovigliano il Mondo si sciolgono; perché finalmente Schopenhauer ha smesso di sognare l’assoluto e ha cominciato ad accettare che il mondo sia frammentato e popolato da individui; e così riesce ad apprezzare le risorse dell’animo umano, anche se solo individuali e quindi sempre imperfette.
È molto bello il cammino che compie questo filosofo, che è inverso a quello di molti altri. Tanti suoi illustri predecessori, da Spinoza, a Kant, a Fichte, a Schelling, a Hegel, dopo aver sviscerato con stupefacente profondità le dinamiche dell’animo umano, hanno sentito il bisogno di assolutizzarle, postulando un Soggetto unico: abbandonando quindi l’empiria e ricadendo nella teologia o nella mitologia. Schopenhauer sempre più invece accetta un mondo senza Dio e senza essenze assolute, e sempre più cercherà in esso un possibile senso.
È come se Schopenhauer avesse, lungo gli anni, elaborato il trauma dell’89, l’uguaglianza di tutti e la fine del “re”. Il suo percorso, forse non sufficientemente valutato dalla critica, ruota intorno a un problema cruciale per il mondo moderno e post-moderno: l’uguaglianza di tutti. Un problema che nella storia della cultura non ha avuto la dovuta attenzione. È stato dato maggiore spazio all’emergere della questione sociale, che non al rivolgimento profondo che proveniva dai principi dell’89 (di cui l’emergere della questione sociale è una conseguenza): siamo tutti uguali e nessuno ha per natura prerogative speciali.
Dal principio della simmetria di tutti, dalla fine delle credenze in individui “speciali”, emergono in primo piano gli individui empirici, con i loro pensieri e i loro diritti: man mano che si afferma la democrazia, sempre di più si afferma l’interesse per le “faccende umane”. Ma questo dato porta con sé una conseguenza tutt’altro che facile da accettare: la molteplicità dei punti di vista.
1 comment