Se siamo tutti uguali, nessuno può più farsi portatore di una verità assoluta. Una verità può essere proposta e argomentata, ma sempre è sottoposta al confronto, e si diffonde e si afferma solo con la persuasione. Schopenhauer esprimerà queste convinzioni nei Supplementi (cfr. p. es. Cap. 17), mostrando di avere affrontato ed elaborato il trauma dell’89: e questo lo rende molto attuale, ora che i problemi della diversità e della giustizia si sono imposti come primari.

Ma prima di arrivare alla piena maturazione, rimangono molte incertezze: l’autore aspira a una filosofia che si occupi delle emozioni, senza rendersi pienamente conto che una tale filosofia non può non utilizzare un altro modello di verità, la verità come alétheia, o, meglio ancora, il modello di una verità pragmatica e fallibile. Nel 1818 Schopenhauer pretende ancora di trovare “la cosa vera” anche se per lui la “cosa vera” sono i desideri umani. Cade così in un errore non tanto dissimile da quello in cui è caduto il suo odiato Hegel, che, alla fine, per dargli una bella consistenza, “cosalizza” lo spirito, facendogli perdere tutte le caratteristiche di fluidità e di capacità di metaforizzare.

Nel Mondo Schopenhauer cerca il senso, ma vorrebbe che questo avesse la saldezza di una verità assoluta, resistente allo scorrere del tempo e al mutarsi degli usi e costumi. È proprio questo “impossibile intersecarsi” che ci dà una chiave per districarci nel suo complesso muoversi tra i vari campi dell’umano, dall’epistemologia all’etica.

2. Già nella trattazione delle questioni epistemologiche troviamo operante il conflitto di cui si parlava: l’esigenza di una conoscenza qualitativa si scontra con l’esigenza che tali qualità siano assolutamente vere. La conoscenza qualitativa è presentata come opponentesi a quella fenomenica, che appare come un velo di Maja che nasconde la verità. Per districare questo groviglio, che sembra far arretrare Schopenhauer rispetto all’amato Kant, occorre innanzi tutto mettere a fuoco che, se il filosofo sta esprimendo la sua profonda insoddisfazione per la conoscenza fenomenica, lo fa perché gli appare limitata al misurare e al quantificare, e restia a soffermarsi sul senso degli eventi. Quello che non lo soddisfa, insomma, è una conoscenza formale, quello cui aspira è una conoscenza viva e interessante che sappia rispondere alle grandi domande della vita. Quando parla di “cosa in sé” sembra intendere ciò che è importante, ciò che conta.

Per questo egli invita ad andare in altri territori e ad interrogare non più un soggetto conoscente, ma un individuo dotato di corpo che vive e che sente (par. 18): non più un soggetto trascendentale, ma un individuo empirico, che ha opinioni e pensieri personali. Ma non sembra essere pronto ad accettare le conseguenze di questa rivoluzione epistemologica.

Schopenhauer, insomma, non solo vuole i contenuti, ma vuole anche che siano veri, veri per tutti. Molto ambiguamente nel primo libro non si limita a criticare la conoscenza quantitativa perché vuota e poco interessante, ma critica anche ogni forma di pensiero e di riflessione, perché porta con sé il dubbio e l’errore. Privilegia l’intuizione perché, a suo parere, è in contatto diretto con la realtà. È molto restio invece a valorizzare il pensiero individuale e imperfetto proprio di un soggetto empirico (cfr. il celebre par. 8). Questa perplessità è come se frenasse con una grossa catena il nuovo discorso che egli ci sta proponendo.

Quando nel secondo libro Schopenhauer si volge all’individuo che vive e che sente, e spera che attraverso questo sentire si possa raggiungere l’essenza del mondo, non fa che proseguire la sua strada ambigua.

Certo, quando si rivolge all’individuo vivente il filosofo ha una bella sorpresa. Il senso delle mie azioni lo posso esperire (cfr. par. 18). Se penso al mio desiderio di saziarmi comprendo ben più a fondo, che non attraverso la misurazione, il movimento del mio braccio che prende un pezzo di pane. Quindi, conclude Schopenhauer, si è finalmente trovato il modo di penetrare “all’interno” delle cose. Una considerazione, questa, che tanto è bella da un punto di vista metaforico, quanto è pesante in senso letterale. Ma siccome la metafora confligge con la verità, Schopenhauer è quasi costretto ad intenderla in senso letterale.