Il mondo perduto

Arthur Conan Doyle

IL MONDO PERDUTO

Introduzione di Giorgio Celli. A cura di Fausta Antonucci. Titolo originale: The Lost World.

Tracce

Copyright 1983.

Edizioni Theoria s’r’l’

I edizione Editori Riuniti:

luglio 1998.

Editori Riuniti/Theoria.

Quattro bizzarri personaggi partono alla ricerca di un favoloso altipiano, dove sono custodite forme di vita che si credevano ormai scomparse: dinosauri, iguanodonti, pterodattili. Ma il più straordinario e inquietante di questi fossili viventi è la scimmia parlante, il mitico anello di congiunzione tra l’uomo e la bestia.

La storia più affascinante, quella dell’evoluzione della vita, viene riassunta dal grande scrittore inglese in delizioso romanzo di avventura, ravvivato da uno humour e un’inventiva che hanno pochi eguali.

Arthur Conan Doyle, medico, scrittore e appassionato studioso di fenomeni paranormali, creò con Sherlock Holmes l’eroe più celebre della storia del romanzo poliziesco. Oltre alle numerose opere dedicate all’investigatore (Uno studio in rosso, 1887; Il mastino dei Baskerville, 1902), scrisse romanzi storici e fantascientifici che godettero di straordinaria popolarità.

Introduzione @di Giorgio Celli

Gli zoologi del ventesimo secolo presumono, per quel che riguarda gli animali di grossa taglia, di aver già fatto l’inventario del mondo, e non si aspettano più delle sorprese. Eppure, solo una cinquantina di anni fa, il celacanto emerse dalle profondità del mare, nei pressi del Madagascar e delle isole Comore, per reclamare il suo diritto di esistenza nel sistema di Linneo e annunciarsi al secolo. Caduto nelle reti del capitano Goosen, che effettuava dei prelievi per un piccolo museo di scienze naturali sudafricano, questo pesce di non trascurabili proporzioni - è lungo 1 metro e mezzo e pesa circa 50 kg - , ben noto ai pescatori indigeni, ma fino a quel momento sconosciuto del tutto agli zoologi, pose, fin dalla sua prima irruzione tra le specie viventi “da catalogo”, i soliti problemi degli animali “fissisti”.

L’esame della sua anatomia rivelò dei fatti a dir poco notevoli: per esempio, si scoprì che non possedeva la colonna vertebrale, ma una struttura allungata, composta di cavità gelatinose e racchiusa da spesse guaine di fibre elastiche.

“Una notocorda!”, esclamarono in coro gli scienziati di tutto il mondo, e dovettero, per questa e altre ragioni, coniato il nome di Latimeria cholumnae, attribuire il bestione ai Crossopterigi. Per intenderci, a un gruppo di pesci estinti da milioni di anni, o creduti tali fino alla comparsa del nostro celacanto, oppure promossi dall’evoluzione a vertebrati terrestri, poi a mammiferi, e infine, perché no?, fatti uomo! Il pesce delle Comore, vero Fantomas dei mari, è, allora, un parente stretto dei nostri più lontani ascendenti animali, e il capitano Goosen aveva preso nelle reti un frammento del suo passato! E del nostro, naturalmente. Latimeria, in parole povere, fa parte di quegli organismi -

ce ne sono altri, noti da tempo! - che hanno detto, come Bartleby lo scrivano del racconto di Melville, “preferirei di no” all’evoluzione, e sono rimasti pressoché inalterati, nelle loro strutture, attraverso i labirinti, pieni di cimiteri fossili, delle ere geologiche. Charles Darwin li aveva battezzati con la suggestiva definizione, un vero e proprio ossimoro, di “fossili viventi”. Il perché del loro diniego a mutare costituisce una faccenda scientificamente ben poco chiara. Lo stesso Darwin, che il fatto certo inquietava - erano, lì, davanti a lui, quei fossili scomodi, a dimostrare che l’evoluzione può segnare il passo - azzardò, nella prima edizione della sua Origine delle specie, una spiegazione di minima. Forse, scrisse il grande naturalista, queste forme sono giunte immutate fino a noi perché hanno vissuto “in una regione isolata, trovandosi così a dover affrontare una concorrenza meno dura”. Una opinione che non ha suscitato certo dei consensi unanimi. Infatti Delamare - Debouteville, e Botosenau, che si sono occupati del fenomeno in un libro di alcuni anni fa, pensano a un blocco da eccessiva specializzazione. Il celacanto sarebbe quindi lo stereotipo finale di un modellamento molto spinto animale/ambiente stabile, e si troverebbe in procinto di congedarsi da noi, passando dalla condizione di fossile vivente a quella di fossile vero e proprio.

Questa piccola dissertazione, come vestibolo al romanzo di Conan Doyle, non deve essere considerata un esercizio gratuito, ma, semmai, l’esemplificazione di un metodo critico, una proposta di approccio - epistemologico? - al libro. Perché, un’opera di science - fiction, e Il mondo perduto è ascrivibile senz’altro a questo ambito dai confini così labili, e imprecisi, sollecita sempre nel suo lettore, che è un tipo tutto particolare, con aspirazioni empiriste e una sana determinazione a non lasciarsi andare, l’esigenza di una verifica, di un confronto con il “verosimile”. Mentre il barone di MDnchhausen può varcare i cieli, nuova meteora, equitando la sua palla di cannone senza che la cosa scateni il nostro dissenso, perché nei regni della fantasia tutto è lecito, la fantascienza è chiamata ad assolvere altri compiti. Le chiediamo, pena l’ostracismo, di essere credibile, e di ridurre, a tal fine, al massimo, lo scarto tra il possibile e l’impossibile, non lavorando nel vuoto, ma elaborando dei distillati fantastici delle teorie, e dei teoremi, della scienza. La fantascienza, insomma, e, l’iperrealismo della scienza, e sono d’accordo con Carl Sagan quando grida allo scandalo pensando alla cavorite di Wells, un minerale anti - gravità.