Di fronte, ecco, una schifiltosa che si dà grandi arie, alla quale potremmo anche dire che è graziosa, perché lo è ancora, quantunque abbia qua e là sul viso qualche ruga, e si approssimi alla mole della signora Bouvillon. Mi piacciono le carni quando sono belle; ma il troppo è troppo, e il movimento è così essenziale alla materia! Item, essa è più cattiva, più fiera, e più sciocca di un’oca. Item, vuol essere spiritosa. Item, bisogna convincerla che crediamo che lei lo sia come nessuno al mondo.
Item, non sa niente, ma anche lei sentenzia. Item, bisogna applaudire ai suoi giudizi coi piedi e con le mani, saltare di gioia, fremere di ammirazione: “Com’è bello, delicato, ben detto, visto con acutezza, sentito in modo personale! Dove mai le donne imparano tutto ciò? Senza studio, con la sola forza dell’istinto, con la sola luce naturale: è prodigioso! E poi veniteci a dire che l’esperienza, lo studio, la riflessione, l’educazione aiutano in qualcosa!”. E altre simili sciocchezze, condite di lacrime di gioia. Curvarsi dieci volte al giorno, un ginocchio piegato in avanti, le braccia protese verso la dea; cercarle la volontà negli occhi, pendere dalle sue labbra, attendere i suoi ordini e lanciarsi come un lampo. Chi può assoggettarsi a una simile parte?
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Solo un miserabile che trova per tal mezzo, due o tre volte alla settimana, come calmarsi i crampi dello stomaco. E che pensare degli altri i quali, come Palissot, Fréron, i Poinsinet, Baculard, hanno qualche soldo, e le cui bassezze non possono venir giustificate col brontolio di uno stomaco che soffre?
IO: Non vi avrei mai creduto così difficile!
LUI: Non lo sono. All’inizio vedevo fare gli altri, e facevo come loro, e anche un po’ meglio, perché sono più apertamente spudorato, miglior commediante, più affamato, fornito di migliori polmoni.
Probabilmente discendo in linea retta dal famoso Stentore…
(E, per darmi una giusta idea della potenza di questo suo organo, si mise a tossire con una violenza tale da far tremare i vetri del caffè, e fermare per un istante l’attenzione dei giocatori di scacchi.) IO: Ma a che serve questo talento?
LUI: Non l’indovinate?
IO: No; sono un po’ limitato.
LUI: Immaginate iniziata la discussione e incerta la vittoria: io mi alzo e, tuonando come Giove, dico: “E’ proprio come la signorina sostiene. Questo si chiama giudicare! Ci si provino i nostri belli ingegni. L’espressione è geniale!”. Ma non bisogna sempre approvare allo stesso modo; si sarebbe monotoni, si avrebbe un’aria ingannatrice, si risulterebbe insipidi; e ci si salva da tale pericolo solo con un po’ di giudizio, di inventiva; occorre saper preparare e disporre quei toni alti e perentori, afferrare il momento e l’occasione. Quando, per esempio, vi è una scissione nei sentimenti, quando la discussione è giunta al suo estremo grado di violenza, quando non ci si capisce più, e tutti parlano contemporaneamente, allora bisogna mettersi da parte, nell’angolo dell’appartamento più lontano dal campo di battaglia, far precedere l’esplosione da un lungo silenzio, e piombare di un subito come una grossa bomba in mezzo ai contendenti. Nessuno possiede come me quest’arte. Ma dov’io sono sorprendente è nel talento opposto: ho toni tenui che accompagno con un sorriso, con un’infinita varietà di gesti di consenso; entrano in gioco il naso, la bocca, la fronte, gli occhi, ho un’elasticità nelle reni, un modo di deformare la spina dorsale, di alzare od abbassare le spalle, di stendere le dita, di inclinare la testa, di chiudere gli occhi e di esser stupito, come se avessi udito discendere dal cielo una voce angelica e divina. E’ quello che lusinga. Non so se voi afferriate bene tutta l’energia di quest’ultimo atteggiamento:
non l’ho inventato io, ma nessuno mi ha superato nella sua esecuzione. Guardate, guardate.
IO: Avete ragione, è unico.
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LUI: Credete che vi sia cervello di donna un po’ vanesia che resista a ciò?
IO: No, bisogna convenire che avete portato a vette insuperabili il talento di alimentare l’altrui follia e di avvilirsi.
LUI: Avranno un bel da fare, tutti quanti sono, non ci arriveranno mai. Il migliore di loro, Palissot, per esempio, non sarà mai altro che un discreto apprendista. Ma se da principio quest’arte diverte, e se si prova qualche piacere a rider tra sé e sé della bestialità di coloro che siamo riusciti a inebriare, alla lunga non c’è più gusto; e poi, dopo un certo numero di scoperte, si è costretti a ripetersi. Lo spirito e l’arte hanno dei limiti: non vi è che un solo Dio o qualche raro genio per i quali la carriera progredisca a misura che essi avanzano. Bouret è forse uno di loro: egli ha tratti che sembrano perfino a me, sì, a me, veramente sublimi. Il cagnolino, il “Libro della felicità”, le fiaccole sulla strada di Versailles, sono tra le cose che mi confondono e mi umiliano; e che provocano in me disgusto del mestiere.
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