Allora la collera scintillava nei suoi occhi ed egli si rimetteva a mangiare più rabbiosamente. Eravate curiosi di conoscere il nome dell’uomo, e ora lo conoscete. E’ il nipote di quel celebre musicista che ci ha liberati dal canto di chiesa del Lulli che noi salmodiavamo da più di cento anni, che nei suoi scritti ha esposto tante visioni inintelligibili e verità apocalittiche sulla teoria della musica, di cui né lui né nessuno ha mai capito nulla, e del quale ancora restano un certo numero di opere che contengono armonie, spunti di canto, idee scucite, fracasso, voli, trionfi, lance, glorie, sussurri, vittorie da restar senza fiato, arie di danza che rimarranno eterne. Egli ha sepolto il maestro fiorentino ma poi a sua volta sarà sepolto dai virtuosi italiani, cosa che presagiva, e che lo rendeva malinconico, nervoso, triste, insocievole; perché nessuno ha tanto cattivo umore, neppure una bella donna che si sveglia con un foruncolo sul naso, quanto un autore che minaccia di sopravvivere alla sua fama, testimoni Marivaux e Crébillon figlio.

(Mi si avvicina…). Ah! ah! eccovi, signor filosofo! Che fate qui, in questo mucchio di fannulloni?

Anche voi perdete il tempo a far muovere pezzetti di legno? (Così si dice con disprezzo del gioco della dama o degli scacchi.)

IO: No; ma quando non ho nulla di meglio da fare, mi diverto a guardare un attimo quelli che li sanno far muovere bene.

2

LUI: In questo caso, vi divertite di rado; ad eccezione di Légal e di Philidor, gli altri non se ne intendono affatto.

IO: E il signor di Bissy, allora?

LUI: Questi è, come giocatore di scacchi, quel che la signorina Clairon è come attrice: ambedue sanno di quei giochi tutto ciò che se ne può imparare.

IO: Siete difficile, e vedo che non fate grazia che agli uomini sublimi.

LUI: Sì, quando si tratta del gioco degli scacchi, della dama, di poesia, di eloquenza, di musica. A che serve la mediocrità, in cose di questo genere?

IO: A poco, ne convengo. Ma sta di fatto che un buon numero di gente vi si deve applicare perché venga fuori l’uomo di genio: il quale è uno, nella moltitudine. Ma lasciamo da parte questo discorso. E’ un’eternità che non vi vedo. Non penso affatto a voi, quando non vi vedo; ma mi fa sempre piacere rivedervi. Che avete fatto?

LUI: Quello che voi, io e tutti gli altri fanno: del bene, del male e nulla. E poi ho avuto fame, e ho mangiato quando se ne è presentata l’occasione; dopo aver mangiato ho avuto sete, e talvolta ho bevuto. Intanto mi cresceva la barba, e quando era diventata lunga la facevo radere.

IO: Avete fatto male. E’ la sola cosa che vi manca per essere un saggio.

LUI: E’ vero. Ho la fronte spaziosa e solcata, l’occhio ardente, il naso pronunziato, le gote larghe, le sopracciglia nere e folte, la bocca ben tagliata, il labbro sporgente e il volto quadro. Se questo vasto mento fosse coperto da una lunga barba, sapete che ciò figurerebbe assai bene in bronzo o in marmo?

IO: Accanto a un Cesare, a un Marco Aurelio, a un Socrate?

LUI: No. Mi troverei meglio tra Diogene e Frine: sono sfrontato come il primo e frequento volentieri le altre.

IO: State sempre bene?

LUI: Di solito sì, ma quest’oggi non troppo.

3

IO: Come? vi vedo un ventre da Sileno e un viso…

LUI: Un viso che si scambierebbe per il suo opposto. Il fatto è che il malumore che fa dimagrire il mio caro zio ingrassa apparentemente il suo caro nipote.

IO: A proposito dello zio, lo vedete talvolta?

LUI: Sì, passare per strada.

IO: Non vi fa del bene, forse?

LUI: Se ne fa a qualcuno è senza accorgersene. E’ un filosofo, nel suo genere: non pensa che a sé, e il resto dell’universo non esiste, per lui.