Sua figlia e sua moglie possono morire quando vorranno: purché le campane della parrocchia che suoneranno per loro continuino a risuonare la dodicesima e la diciassettesima, sarà tutto bene. E’ una fortuna, per lui, ed è ciò che io apprezzo soprattutto, nelle persone di genio: non sono buoni che a una cosa; oltre quella, nulla. Non sanno ciò che significa essere cittadini, padri, madri, fratelli, parenti, amici. Sia detto tra di noi, occorre somigliar loro punto per punto, ma non desiderare che il seme se ne diffonda: occorrono uomini; ma uomini di genio, no, in fede mia, non ne occorrono affatto. Sono essi che mutano la faccia del mondo; e nelle più piccole cose la stupidità è così comune e possente che non la si può riformare senza gran fracasso.
Una parte di quel che essi hanno ideato si realizza, un’altra resta come stava; donde due evangeli e un abito da Arlecchino. La saggezza del monaco di Rabelais è la vera saggezza fatta per la tranquillità sua e per quella degli altri: fare il proprio dovere alla meno peggio, dire sempre bene del signor priore, e lasciare il mondo a sua fantasia. Va bene, poiché la maggioranza ne è contenta. Se io conoscessi la storia, vi dimostrerei che il male quaggiù è venuto sempre per colpa di qualche uomo di genio; ma io non conosco la storia, perché non so nulla di nulla: il diavolo mi porti se ho mai imparato nulla e se, per non aver mai imparato nulla, me ne trovo peggio. Un giorno ero alla tavola di un ministro del re di Francia, uomo pieno di spirito; ebbene, egli ci dimostrò, chiaro come uno e uno fanno due, che nulla era più utile ai popoli della menzogna, nulla più nocivo della verità.
Non ricordo bene come lo dimostrasse, ma ne risultava con evidenza che le persone di genio sono odiose, e che se un bambino, nascendo, portasse sulla fronte i segni di questo dono pericoloso della natura, lo si dovrebbe soffocare o gettare in un canile.
IO: Eppure questi personaggi, così nemici del genio, pretendono tutti di averne.
LUI: Credo che lo pensino dentro di sé, ma non che oserebbero confessarlo.
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IO: Per modestia, di certo. Voi, dunque, avete concepito un terribile odio contro il genio?
LUI: Un odio irriducibile.
IO: Eppure ricordo un tempo in cui eravate disperato di essere soltanto un uomo comune. Non sarete mai felice, se il pro e il contro vi dispiacciono in egual misura: bisognerebbe scegliere un partito e attenervisi. Pur convenendo con voi che i geni siano di solito singolari, e che, come dice il proverbio, non vi siano uomini grandi senza un granello di follia, non perciò ci ricrederemo: sempre si disprezzeranno i secoli che non hanno prodotto genii, sempre questi faranno la gloria dei popoli cui appartennero, presto o tardi si erigeranno loro statue, saranno considerati benefattori dell’umanità. E, senza offendere il sublime ministro che mi avete citato, giudico che, se la menzogna può essere utile per un momento, alla lunga è necessariamente nociva, mentre la verità, al contrario, anche se talvolta nuoce sul momento, col tempo risulterà certo utile. Donde sarei tentato di concludere che l’uomo di genio il quale denuncia un errore generale, o accredita una grande verità, è sempre un essere degno della nostra venerazione. Può capitare che egli sia vittima del pregiudizio e delle leggi; ma vi sono due specie di leggi, le prime di una equità e universalità assolute, le altre bizzarre, che devono la loro sanzione solo all’accecamento o alla necessità delle circostanze. Queste ultime coprono di un’ignominia solo passeggera il colpevole che le infrange; ignominia che il tempo riverserà invece sui giudici e sulle nazioni, perché vi resti in eterno. Chi è oggi disonorato: Socrate o il magistrato che gli fece bere la cicuta?
LUI: Che bel vantaggio! Questo ha forse impedito che lo condannassero? che lo mettessero a morte? che fosse un cittadino turbolento? Per disprezzo di una cattiva legge non ha incoraggiato i pazzi al disprezzo delle buone? Non è stato un individuo troppo audace e bizzarro? Or ora non eravate lontano da una dichiarazione poco favorevole agli uomini di genio.
IO: Ascoltate, mio caro. Una società non dovrebbe avere cattive leggi; e se possedesse solo leggi buone non si troverebbe mai nell’occasione di perseguitare un uomo di genio. Non ho affatto detto che il genio sia indissolubilmente legato alla malvagità, o che la malvagità lo sia al genio: uno sciocco sarà più spesso disposto al male che non un uomo d’ingegno. Ma quand’anche un uomo di genio fosse duro, spinoso, insopportabile, quand’anche fosse un malvagio, quale conclusione ne trarreste?
LUI: Che è un uomo da annegare.
IO: Piano, mio caro. Certo, non intendo prendere come esempio vostro zio, che è uomo duro, brutale, è privo di umanità, è avaro, è un cattivo padre, un cattivo sposo, un cattivo zio; ma non è riconosciuto che sia un uomo di genio, che abbia fatto molto progredire la sua arte, e che si parlerà ancora delle sue opere tra dieci anni. Ma Racine? Era un uomo di genio, certo, e non passava per essere un gran brav’uomo.
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