Ma Voltaire?

LUI: Non mi incalzate, perché io sono conseguente.

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IO: Cosa preferireste? Che fosse stato un brav’uomo da identificarsi col suo banco come Briasson, o col suo metro come Barbier, che regalasse regolarmente ogni anno un figlio legittimo a sua moglie, buon marito, buon padre, buon zio… buon vicino, onesto commerciante, ma nulla di più, o che fosse furbo, traditore, ambizioso, invidioso, cattivo ma autore di “Andromaca”, di “Britannico”, di

“Ifigenia” di “Fedra”, di “Atalia”?

LUI: Per lui, a mio avviso, sarebbe stato forse meglio appartenere a quella prima razza di uomini.

IO: Questo è infinitamente più vero di quel che voi non immaginiate.

LUI: Oh! Eccovi, voialtri! Se noi diciamo qualcosa di giusto, è per caso, come fossimo pazzi o ispirati: non ci siete che voi, a intendervene. Ebbene, signor filosofo, anch’io me ne intendo, e me ne intendo proprio quanto voi.

IO: Vediamo: ebbene, perché per lui?

LUI: Perché tutte le cose belle che ha fatto non gli hanno reso ventimila franchi, mentre se fosse stato un buon mercante di seta di via San Dionigi o Sant’Onorato, un buon droghiere all’ingrosso, un farmacista rinomato, avrebbe accumulato un’immensa fortuna e con essa avrebbe potuto goder piaceri di ogni sorta; avrebbe dato di tanto in tanto del danaro a un povero diavolo di buffone come me, che l’avrebbe fatto ridere e gli avrebbe procurato all’occasione una bella ragazza, tale da sollevarlo dalla noia dell’eterna coabitazione con la moglie; avremmo fatto eccellenti pranzi in casa sua, giocato somme rilevanti, bevuto eccellenti vini, eccellenti liquori, eccellente caffè, fatto gite in campagna. Vedete dunque che me ne intendevo. Voi ridete. Ma lasciatemelo dire: sarebbe stato meglio, per i suoi conoscenti.

IO: Purché non avesse impiegato in modo disonesto le ricchezze da lui acquisite con un commercio legittimo, purché avesse allontanato dalla sua casa tutti quei giocatori, quei parassiti, quegli insipidi adulatori, quei fannulloni, quell’inutile gente perversa, e avesse fatto ammazzare a colpi di bastone, dai suoi garzoni di bottega, l’uomo servizievole che allevia con la varietà i mariti dal disgusto della consueta coabitazione con le proprie mogli.

LUI: Ammazzare! signore, ammazzare! Non si ammazza nessuno in una città ben guardata dalla polizia: è una condizione onesta, e molte persone, anche titolate, la seguono. E come diavolo dunque volete che si impieghi il proprio danaro, se non per avere una buona tavola, buona compagnia, buoni vini, belle donne, i piaceri più svariati, divertimenti di tutte le specie? Preferirei essere un pezzente, piuttosto che possedere una gran fortuna senza alcuno di questi godimenti. Ma ritorniamo a Racine. Quell’uomo è stato buono soltanto per degli sconosciuti e per un’epoca nella quale non viveva più.

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IO: D’accordo. Ma valutate il male e il bene. Di qua a mille anni farà versare lacrime, formerà l’ammirazione degli uomini di tutti i paesi della terra, ispirerà umanità, pietà, tenerezza; ci si domanderà chi era, di quale paese, e lo si invidierà alla Francia.

Ha fatto soffrire alcuni esseri che non sono più, ai quali non portiamo quasi nessun interesse; ma ora non abbiamo più nulla da temere, né dai suoi vizi né dai suoi difetti. Senza dubbio sarebbe stato meglio che avesse ricevuto dalla natura le virtù di un galantuomo coi talenti di un grand’uomo: è un albero che ha fatto seccare alcuni alberi piantati nelle sue vicinanze, che ha soffocato le piante che crescevano ai suoi piedi; ma ha innalzato la sua cima fino alle nuvole, i suoi rami si sono protesi lontano, ha offerto la sua ombra a coloro che venivano, che vengono e che verranno a riposarsi attorno al suo tronco maestoso; ha prodotto frutti di un gusto squisito che si rinnovano senza fine.

Sarebbe, sì, da augurarsi che Voltaire avesse avuto la dolcezza di Duclos, l’ingenuità dell’abate Trublet, la dirittura dell’abate d’Olivet; ma poiché ciò non può essere, consideriamo la cosa dal lato veramente interessante, dimentichiamo per un istante il punto che noi occupiamo nello spazio e nel tempo, allarghiamo il nostro sguardo ai secoli a venire, alle regioni più remote e ai popoli che sorgeranno. Pensiamo al bene della nostra specie: se non siamo abbastanza generosi, perdoniamo almeno alla natura di essere stata più saggia di noi. Se gettiamo acqua fredda sulla testa di Greuze, spegnerete forse il suo talento, assieme alla vanità; se renderete Voltaire meno sensibile alla critica, non saprà più scendere nell’animo di Merope: non vi commuoverà più.

LUI: Ma se la natura fosse altrettanto possente che saggia, perché non li ha resi così buoni come grandi?

IO: E non vi accorgete che con questo modo di ragionare voi rovesciate l’ordine generale, e che se tutto quaggiù fosse eccellente, non vi sarebbe più nulla di eccellente?

LUI: Avete ragione. Il punto importante è che voi e io esistiamo, e che siamo voi e io: tutto il resto vada come può. Il miglior ordine delle cose è a mio avviso quello nel quale io dovevo essere; e abbasso il più perfetto ordine dei mondi, se io non ne faccio parte. Preferisco essere, ed essere un ragionatore impertinente, che non essere.

IO: Non vi è nessuno che non la pensi come voi, e che pure non faccia il processo all’ordine esistente delle cose, senza accorgersi che così rinunzia alla sua stessa esistenza.

LUI: E’ vero.

IO: Accettiamo dunque le cose come sono. Vediamo quel che ci costano e quel che ci rendono, e lasciamo stare il tutto, che noi non conosciamo abbastanza per poterlo lodare o biasimare, e che forse non è né bene né male, ma solo necessità, come ritiene molta gente di buon senso.