Vediamo…”. Legge… “Un incontro… non è possibile, questo non è possibile.”. “Nell’andare a messa.”. “La mamma mi accompagna sempre… ma se egli venisse qui la mattina presto, mi alzo per prima e sono al banco mentre gli altri dormono ancora…”. Egli viene, piace; un bel giorno, all’imbrunire, la piccola sparisce, e mi pagano i miei duemila scudi… Come, tu possiedi questo talento e manchi di pane? Non ti vergogni, sciagurato? Mi venivano alla mente un mucchio di farabutti che non mi arrivavano alla caviglia e che erano stracarichi di ricchezze.

Io ero vestito di baracane ed essi erano ricoperti di velluto, si appoggiavano su una canna col pomo d’oro a becco di corvo, e avevano al dito anelli incisi con l’effigie di Aristotele o di Platone. Eppure, cos’erano? La maggior parte erano musicisti da strapazzo; oggi sono delle specie di signori. Allora mi sentivo pieno di coraggio, l’animo elevato, lo spirito duttile e penetrante. Ma quello stato d’animo felice evidentemente non durava, poiché non sono riuscito sinora a fare un po’ di strada…

Sia quel che sia, è questo il testo dei miei frequenti soliloqui: parafrasateli pure a vostra fantasia, ma concludetene che io conosco cosa sia il disprezzo di se stessi, cioè quel tormento della coscienza che nasce dall’inutilità dei doni che il cielo ci ha elargito; ed è il più crudele di tutti.

Sarebbe quasi preferibile che l’uomo non fosse mai nato.

(Io l’ascoltavo, e a misura che egli rifaceva la scena del ruffiano e della giovinetta che questi abbindolava, con l’anima agitata da due opposti moti, non sapevo se abbandonarmi al desiderio di ridere o al trasporto dell’indignazione. Soffrivo.

Venti volte uno scoppio di risa non permise alla mia collera di esplodere; venti volte la collera che mi saliva dal fondo del cuore sfociò in uno scoppio di risa. Ero confuso di tanta sagacia e di tanta bassezza; di idee così giuste e alternativamente così false; di una perversità così totale di sentimenti, di una turpitudine così completa, e di una franchezza così poco comune.

Egli si accorse del conflitto che si svolgeva in me, e mi domandò:) Cosa avete?

IO: Nulla.

LUI: Mi sembrate turbato.

IO: Lo sono.

LUI: Ma insomma, che mi consigliate?

IO: Di mutare propositi. Ah, infelice, in quale stato di abiezione siete nato o caduto!

13

LUI: Ne convengo. Ma tuttavia, il mio stato non vi deve commuovere troppo: la mia intenzione, confidandomi con voi, non era di affliggervi. Ho fatto qualche risparmio tra quella gente: pensate che non avevo bisogno di nulla, assolutamente di nulla, e che mi accordavano un tanto per i miei minuti piaceri.

(Allora ricominciò a battersi la fronte con un pugno, a mordersi le labbra e a volgere al soffitto gli occhi smarriti, continuando a dire:) Ma è cosa finita, ormai: ho messo qualcosa da parte, il tempo è passato, ed è sempre tanto di guadagnato.

IO: Voi volete dire di perduto.

LUI: No, no, di accumulato. Ci si arricchisce ad ogni istante: un giorno di meno da vivere o uno scudo di più, è tutt’uno. Il punto importante è di andare comodamente, liberamente, gradevolmente, copiosamente, tutte le sere al gabinetto: O STERCUS PRETIOSUM!

Ecco il grande risultato della vita in ogni condizione. All’ultimo istante, tutti saranno egualmente ricchi: Samuel Bernard che a forza di furti, di rapine, di bancherotte, lascia ventisette milioni di oro, e Rameau che non lascerà nulla, Rameau al quale la carità offrirà il sacco nel quale l’avvolgeranno.

Il morto non ascolta suonare le campane; invano cento preti si sgolano per lui, invano egli è preceduto e seguito da una lunga fila di torce ardenti: la sua anima non cammina a fianco al maestro di cerimonie. Marcire sotto un marmo, o marcire sotto la terra, è sempre marcire. Avere accanto alla bara i fanciulli in rosso o i fanciulli in blu, o non aver nessuno, che fa? E poi vedete questo polso: era rigido come un diavolo; queste dieci dita erano altrettanti stecchi infissi in un metacarpo di legno e questi tendini erano come vecchie corde, più secche, più rigide e meno flessibili di quelle tese sulla ruota di un tornitore.