Grande biblioteca della letteratura italiana 36

ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli

Torquato Tasso Il padre di famiglia Q

famiglia e alla famiglia ch’egli sostiene e che di quelle dee essere erede: e tante, e non più, quanto bastino non solo per vivere, ma per ben vivere secondo la condizion sua e ‘l costume de’ tempi e della città nella quale egli vive. E se Crasso diceva che non era ricco colui che non poteva nutrire un essercito, aveva peraventura risguardo alla ricchezza ch’era convenevole ad un principe cittadin di Roma, la quale ad un di Preneste o di Nola sarebbe stata smoderata, e fors’anco in uomo romano era soverchia: percioch’il poter assoldar gli esserciti si conviene a’ re e a’ tiranni e a gli altri principi assoluti, non al cittadino della città libera, il qual non dee esceder gli altri tanto in alcuna condizione che guasti quella porzione ch’è ricercata in una ragunanza d’uomini liberi, conciò sia cosa che, come in un corpo il naso, crescendo oltre il convenevole, tanto potrebbe crescere che non sarebbe più naso, così nella città un cittadino che tanto s’avanzi non è più cittadino.

Comunque sia, perché le ricchezze si consideran sempre in rispetto di colui che le possede, non si può prescriver quante debbian essere, ma solo si può dire ch’elle debbon esser proporzionate al posseditore, il quale tanto e non più dee procurar d’accrescerle, quanto poi possano, compartite tra’ figliuoli, bastar al ben vivere cittadinesco.

Né più mi riman che dire intorno all’acquisto naturale, conveniente al padre di famiglia, il qual propriamente si trae dalle terre e da gli armenti, comeché possa esser fatto ancor con la mercantia e con la caccia e con la milizia: percioché ricordar ci debbiamo che molti Romani dall’aratro eran chiamati a’ magistrati e, deposta la porpora, ritornavano all’aratro. Ma percioch’il padre di famiglia dee aver cura della sanità non come medico, ma come padre di famiglia, dee più volentieri ancora attendere a quella maniera d’acquisto che maggiormente conserva la sanità; onde volentieri esserciterà se medesimo e vedrà essercitare i suoi in quell’operazioni del corpo le quali, non bruttandolo né rendendolo sordido, giovano alla sanità, alla quale l’ozio e la soverchia quiete suole esser contraria: amerà dunque la caccia e più stimerà quelle prede le quali con la fatica e co ‘l sudore s’acqui-stano, che quelle che con l’inganno, scompagnato da ogni fatica, sono ac-quistate. Ma poiché abbiam ragionato di quella maniera d’acquisti ch’è naturale, non è disconveniente che facciamo menzion dell’altra che naturale non è, tutto ch’ella al padre di famiglia non appertenga. Questa in due specie si divide, l’una detta cambio, l’altra usura: e non è naturale, perch’è pervertimento dell’uso proprio, conciò sia cosa ch’il danaro fu ritrovato per agguagliare le disaguaglianze delle cose cambiate e per misurare i prezzi, Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 37

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non perch’egli dovesse cambiarsi; percioché del danaro, in quanto metallo, non ci è alcun bisogno, né se ne riceve alcun commodo nella vita privata o civile, ma in quanto aguagliator della disugualità delle cose e misurator del valor di ciascuna, è necessario e commodo. Quando dunque il danaro si cambia, in quanto danaro non dirizzato ad altro uso, è usato oltre l’uso suo proprio: non s’imita poi la natura nel cambio, perché, così il cambio come l’usura potendo multiplicare i guadagni suoi in infinito, si può dire ch’egli non abbia alcun fine determinato; ma la natura opera sempre a fine determinato, e a fine determinato operano tutte quell’arti che della natura sono imitatrici. Ho detto ch’il cambio può multiplicare i guadagni in infinito, perch’il numero, in quanto numero non applicato alle cose materiali, cresce in infinito e nel cambio il danaro non si considera applicato ad alcun’altra cosa. Ma accioché tu meglio intenda quel che si ragiona, tu hai a sapere ch’il numero o si considera secondo l’essere suo formale o secondo il materiale: numero formale è una ragunanza d’unità non applicata alle cose numerate, numero materiale è la ragunanza delle cose numerate. Il numero formale può crescere in infinito, ma ‘l materiale non può multiplicare in infinito: perché, se ben per rispetto della sezione, o della division che vogliam dirla, par ch’in infinito possa multiplicare, nondimeno, poiché nel nostro proposito non ha luogo divisione, diremo ch’egli non possa crescere in infinito perché gli individui in ciascuna specie sono di numero finito.

Stante questa divisione, molto più può multiplicare la ricchezza che consiste nel danaro, in quanto danaro, che quella che consiste nelle cose misurate e numerate dal danaro: perché, se ben il numero del danaro non è formale, come quello ch’è applicato all’oro e all’argento, più facilmente si può raccogliere gran multitudine de danari che d’altre cose; e par che co ‘l desiderio s’aspiri all’infinito. Fra ‘l cambio nondimeno e l’usura è qualche differenza, e ‘l cambio può essere ricevuto non solo per l’usanza, che l’ha accettato in molte nobilissime città, ma per la ragione eziandio, percioch’il cambio è in vece del trasportamento del danaro di luogo in luogo; il quale non potendosi far senza discommodo e senza pericolo di fortuna, è ragione ch’al trasmutatore sia proposto alcun convenevole guadagno. Oltrech’essendo il valor de’ danari vario e alterabile così per legge e instituzion degli uomini come per la diversa finezza delle leghe dell’oro e dell’argento, si possono i cambi reali del danaro ridurre in alcun modo ad industria naturale, alla quale l’usura non si può ridurre, come quella ch’è scompagnata da ogni pericolo e che niuna di queste cose considera: la quale non sol fu dannata Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 38

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da Aristotele, ma proibita ancora nella nuova legge e nella vecchia; e di lei ragionando, Dante disse:

E se tu ben la tua fisica note,

Tu trovera’ dopo non molte carte

Che l’arte vostra quella, quanto pote,

Segue, come ‘l maestro fa il discente,

Sì che vostr’arte a Dio è quasi nipote.

Da queste due, se tu ti rechi a mente

Lo Genesì dal principio, convene

Prender sua vita ed avanzar la gente.

E perché l’usuriere altra via tiene,

Per sé natura e per la sua seguace

Dispregia, poi ch’in altro pon la spene.

Co’ quai versi mi par che non solo possa aver fine il nostro ragionamento dell’acquisto naturale e non naturale, ma quel tutto ch’intorno alla cura famigliare proponemmo di fare; la qual già hai veduto come si volga alla moglie e com’a’ figliuoli e com’a’ servi e com’alla conservazione e all’acquisto delle facoltà: che furon le cinque parti delle quali partitamente dicemmo di voler trattare. Ma perch’io desidero che le cose delle quali ora ho ragionato ti si fermin nella mente in modo ch’in alcun tempo non tene debba dimenticare, io le ti darò scritte; perché, spesso rileggendole, possa non solo appararle, ma porle in opera eziandio, percioch’il fine degli ammaestramenti ch’appertengono alla vita dell’uomo è l’operazione.

Questo fu il ragionamento di mio padre, il qual fu da lui raccolto in picciol libretto, letto da me e riletto tante volte che non vi dee parer maraviglia se così bene ciò che da lui mi fu detto ho saputo narrarvi. Or rimarrebbe solo, accioché questo mio lungo ragionare non fosse stato indarno, che, s’alcuna cosa da lui detta vi paresse che potesse ricever miglioramento, non vi fosse grave di darglielo. Per quel ch’a me ne paia, dissi io, ogni cosa non solo da lui bene e dottamente vi fu insegnata, ma da voi bene e diligentemente è stata posta in opera: solo si potrebbe forse desiderare ch’alcuna cosa alle cose da lui dette s’aggiungesse, e questa particolarmente, s’una sia la cura e ‘l governo famigliare o se più, e se, più essendo, son cognizione e operazione d’un solo o di più. Vero dite, egli rispose, ch’in ciò il ragionamento di mio padre fu manchevole, percioch’altro è il governo famigliare Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 39

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delle case private e altro quello delle case de’ principi; ma io direi ch’egli non ne ragionasse perché la cura delle case de’ principi ad uomo privato non s’appartiene. Molto più veloce intenditore siete stato voi, diss’io, ch’io non avrei creduto; ma poi che trovato abbiamo che più siano i governi famigliari, resta che consideriamo se l’uno dall’altro per grandezza solamente o ancora per ispezie sia differente, conciosiacosa che, se per grandezza solo sarà diverso, sì com’al medesimo architetto appertiene il considerar la forma del gran palagio e della picciola casa, così del medesimo curatore sarà propria la cura della gran casa e della picciola.