E perciò con molta ragione da Aristotele fu detto che la vergogna, che nell’uomo non merita lode, è laudevol nella donna; e con molta ragion disse la figliuola sua che niun più bel colore orna le guance della donna di quel che da vergogna vi suole esser dipinto: il qual tanto alle donne accresce di vaghezza, quanto lor peraventura ne tolgono que’ colori artificiali de’ quali, quasi maschere o scene, si soglion colorare.

E certo che, sì come giudiciosa donna a niun modo dovrebbe le bellezze naturali con gli artificiali imbellettamenti guastare e ricoprire, così il marito non dovrebbe consentirlo; ma perché l’imperio del marito conviene che sia moderato, in quelle cose massimamente ch’alle donne come cura feminile appertengono, le quali, perché dall’usanza son ricevute, in alcun modo d’impudicizia non possono esser argomento, con niun’altra maniera potrà meglio il marito far che non s’imbelletti che co ‘l mostrarsi schivo de’ belletti e de’ lisci: percioch’essendo tutte le donne vaghe di parer belle e di piacere altrui, e l’oneste donne particolarmente di piacere al marito desiderose, qualora l’onesta moglie s’accorgerà di non piacer così lisciata agli occhi del marito, dal lisciarsi si rimarrà. Molto più facile nondimeno dee essere il marito in concederle ch’ella degli ornamenti e delle vaghezze conveniente a sua pari sia Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 18

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a bastanza fornita, perché, se ben la soverchia pompa par cosa più conveniente a’ teatri e alla scena ch’alla persona d’onesta matrona, nondimeno molto si dee in questa parte attribuire all’usanza, né si dee così acerbamente offender l’animo feminile, che per natura è vago d’ornare il corpo.

E se ben vediamo che la natura negli animali ha voluto che più ador-ni siano i corpi de’ maschi che delle femine, come quella c’ha adornati i cervi di belle e ramose corna e i leoni di superbe come, le quali alle lor femine ha negate, e ha adornata la coda del pavone di molta più vaga varietà di colori che quella delle sue femine, nondimeno vediamo che nella specie dell’uomo ella ha avuto maggior riguardo alla bellezza della femina ch’a quella del maschio, perciò che le carni della donna, sì come son più molli così per l’ordinario sono ancora più vaghe da riguardare, né hanno il volto ingombrato dalla barba, la qual se ben non si disdice nell’uomo, essendo propria di lui, tuttavolta non si può negare ch’i volti de’ giovinetti a’ quali non è ancor venuta la barba, non sian più belli di quelli degli uomini bar-buti; e Amore non barbuto, ma senza barba dalla giudiziosa antichità è stato figurato, e Bacco e Apolline, che fra tutti gli dei furono bellissimi, senza barba furono dipinti, ma con lunghissime chiome: onde i poeti chia-mano Febo con aggiunto quasi perpetuo “non tosato” o “comato”. Ma le chiome, le quali sono grandissimo ornamento della natura, non crescono mai negli uomini tanto, né sono così molli e sottili come nelle donne, le quali così delle lor chiome si rallegrano come gli alberi delle lor fronde, e ragionevolmente nelle morti de’ mariti, quando di tutti gli altri ornamenti sogliono spogliarsi, usano anco in alcune parti d’italia di troncarsi le chiome: la qual usanza fu usanza degli antichi eziandio, come d’Elena si legge appresso Euripide.

Quanto più dunque la natura ha avuto risguardo alla bellezza delle donne, tanto più è convenevole ch’esse l’abbiano in pregio e che con giudi-ziosi ornamenti procurino d’accrescerla: onde, se tu prenderai moglie, quale io desidero che tu la prenda, bella e giovinetta e di condizione eguale alla tua e d’ingegno modesto e mansueto, da buona e pudica madre sotto buona disciplina allevata, quanto ella a te piacerà, tanto dèi tu procurare non sol di piacere a lei, ma di compiacerla. Di che né di vestimenti né degli altri ornamenti men ornata dèi consentir che vada di quel che vadano l’altre sue pari e di quel che porti l’uso della nostra città; né sì ristretta tener la dèi ch’ella non possa talora andare alle feste e agli spettacoli publici, ove nobile Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 19

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e onesta brigata di donne suol ragunarsi, né d’altra parte tanto allentarle il freno della licenza ch’ella in tutte le danze, in tutte le comedie, in tutte le solennità sia fra le prime vedute e vagheggiate. Ma dovrai ad alcune sue oneste voglie, le quali la gioventù così suol seco apportare come la primavera reca i fiori e l’altre vaghezze, non far così severo disdetto ch’ella t’odii o ti tema con quel timore co ‘l quale i padroni da’ servi son temuti; né anco esser così facile a secondarle ch’ella baldanzosa ne divenga e deponga quella vergogna che nelle oneste donne tanto è conveniente, la quale è una specie di timore distinta dal timor servile, che con l’amor così facilmente s’accompagna come il timor servile con l’odio: e di questo timore, che propiamente è vergogna, e della riverenza intese Omero, quando disse: O da me ognor temuto e paventato

Suocero caro.

E non solo dovrà egli procurar di conservare in lei la vergogna in tutti gli atti e in tutte l’operazioni della vita, ma negli abbracciamenti eziandio, perché non viene a gli abbracciamenti il marito in quel modo stesso che viene l’amante: onde non è maraviglia s’a Catelda parvero più saporiti i baci dell’amante che quei del marito fossero paruti, bench’io crederei più tosto che niuna dolcezza maggiore fosse in amore di quella che dall’onestà del matrimonio è moderata, e assomigliarei gli abbracciamenti del marito e della moglie alle cene degli uomini temperanti, i quali non men gustano delle vivande di quel che gli incontinenti soglian gustarne, anzi peraventura tanto più quanto il senso moderato dalla ragione è più dritto giudice degli oggetti. Né voglio in questo proposito tacere che, quando Omero finge che Giunone, togliendo il cinto di Venere, va a ritrovare il marito su ‘l monte Ida e, allettatolo nel suo amore, con lui si corca nell’erba, ricoperta da una nuvola maravigliosa, altro non significa se non ch’ella, vestitasi la persona d’amante e spogliatasi quella di moglie, va a ritrovar Giove; perché le lusin-ghe e i vezzi e i molli susurri ch’ella da Venere aveva presi insieme co ‘l cinto, sono cosa anzi d’amante che da moglie: onde convenevol fu che, vergognandosi ella di se medesima, le fosse concessa una nuvola che la ricoprisse. Ben è vero che, dicendogli Giove che non aveva avuto egual desiderio di lei da quel dì che prima la prese per moglie, par che ci dia a divedere ch’a gli sposi di sostener per alcun breve tempo la persona d’amante non si disdica; la qual nondimeno molto tosto si dee deporre, percioch’è inconvenientissima a coloro che come padre o madre di famiglia voglion Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 20

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con onestà e con amor maritale regger la casa. Né altro mi soviene che dire del vicendevole amore che dee esser tra ‘l marito e la moglie e delle leggi del matrimonio; perciò che il considerare se ‘l marito dee uccider la moglie impudica o ‘n altro modo secondo le leggi punirla, è considerazione che peraventura può più opportunamente in altro proposito esser avu-ta. E se tu tale la prenderai qual figurata l’abbiamo, non dèi temer che mai ti venga occasione per la quale d’esser da me stato intorno a ciò con-sigliato debba desiderare.

Or passando a’ figliuoli, dee la cura loro così tra il padre e la madre esser compartita ch’alla madre tocchi il nutrirli e al padre l’ammaestrarli: ché non dee la madre, se da infermità non è impedita, negare il latte a’ propi figliuoli, conciò sia cosa che quella prima età, tenera e molle e atta ad infor-marsi di tutte le forme, agevolmente suol ber co ‘l latte alcuna volta i costumi delle nutrici; e s’il nutrimento non potesse molto alterare i corpi e in conseguenza i costumi de’ bambini, non sarebbe alle nutrici interdetto l’uso soverchio del vino; ma essendo le nutrici per l’ordinario vili feminelle, è convenevole che quel primo nudrimento che da lor prendono i bambini non sia così gentile e delicato come quel delle madri sarebbe. Oltreché chi niega il nutrimento par ch’in un certo modo nieghi d’esser madre, percioché la madre si conosce principalmente per lo nutrimento. Ma passata quella prima età che di latte è nudrita e che di cibi più sodi può esser pasciuta, rimangono anco i bambini sotto la custodia delle madri, le quali sogliono esser così tenere de’ figliuoli ch’agevolmente potrebbono in soverchia dilicatura allevarli; onde conviene ch’il padre proveda ch’essi non siano troppo mollemente nudriti: e percioché quella prima età abonda di calor naturale, non è inconveniente l’assuefarli a sopportare il freddo, conciosiacosa che, tanto più restringendosi dentro il caldo naturale e facendo quella ch’antiparistasi è detta da’ filosofi, la complession de’ fanciulli ne diventa gagliarda e robusta. Ed era costume d’alcune antiche nazioni, e de’ Celti particolarmente, come leggiamo appresso Aristotele, di lavare i bambini nel fiume per indurarli contra il freddo: la qual usanza è da Virgilio attribuita a’

Latini, come si legge in que’ versi:

Durum a stirpe genus, natos ad flumina primum Deferimus saevoque gelu duramus et undis: Venatu invigilant pueri silvasque fatigant Flectere ludus equos et spicula tendere cornu.

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E bench’io quel costume non vitupero, mi pare nondimeno d’am-monirti che, se piacerà al cielo di darti figliuoli, tu non debba educarli sotto sì molle disciplina che riescan simili a que’ Frigi, de’ quali dal medesimo poeta si fa menzione:

Vobis picta croco et fulgenti murice vestis, Et tunicae manicas et habent redimicula mitrae.

O vere Phrigiae (neque <enim> Phriges), ite per alta Dindima, ubi assuetis biforem dat tibia cantum.

Tympana vos buxusque vocat Berecyntia matris Ideae: sinite arma viris et cedite ferro; simili a’ quali mi pare ch’oggi siano quelli d’alcuna città di Lombardia, percioché, s’alcuno n’esce valoroso, molti ancora tra’ Frigi erano valorosi.

Ma non vorrei anco che sì severamente gli allevassi come i Lacedemoni erano allevati o pur come Achille da Chirone fu nudrito: non vorrei, dico, che sì fattamente gli allevassi, perché quella educazione rende gli uomini fieri, come de’ Lacedemoni fu giudicato; e quando ella pur fusse conveniente a gli eroi, benché tale non fu Achille ne’ costumi ch’alcun eroe se ‘l debba proporre per essempio, la tua privata condizione ricerca che tu pensi d’allevare in modo i tuoi figliuoli ch’essi possan riuscir buon cittadini della tua città e buon servitori del tuo principe, il quale de’ soggetti ne’ negozî, nelle lettere e nella guerra è usato di servirsi: alle quali professioni tutte i tuoi figliuoli riesceranno non inabili, se tu cercherai che divengano di complessione non atletica né feminile, ma virile e robusta, e che s’essercitino negli essercizî del corpo e dello intelletto parimente. Ma percioché tutta questa parte dell’educazion de’ figliuoli è cura in guisa del padre di famiglia ch’ella insieme è del politico, il quale dovrebbe prescrivere a’ padri il modo co ‘l quale dovessero i figliuoli allevare accioché la disciplina della città riuscisse uniforme, voglio questo ragionamento lasciar da parte o almeno da quel della cura famigliare separarlo: e mi basterà solo di consigliarti che tu gli allevi nel timor d’Iddio e nella ubbedienza paterna, egualmente nell’arti lodevoli dell’animo e del corpo essercitati.