Se voi tal sete, rispose il buon padre di famiglia, poi che non voglio altro per ora investigar de’ vostri particolari, non potrete essere se non convenevol giudice d’un ragionamento che ‘l mio buon padre, carico d’anni e di senno, mi fece alcuni anni innanzi che morisse, rinunziandomi il governo della casa e la cura famigliare.

Mentr’egli così diceva, i servitori levavano i piatti, ch’in parte eran voti, dalla tavola, e la moglie, accompagnata da’ figliuoli, si levò e ritirossi alle sue stanze; i quali poco stante ritornando, dissi io: A me sarà oltre modo grato d’udir ciò ch’in questo proposito da vostro padre vi fu ragionato; ma perché mi sarebbe grave l’ascoltar con disagio degli altri ascoltatori, vi prego che voi commandiate a’ vostri figliuoli che seggano. I quali avendo ubbedito al cortese commandamento del padre, egli così cominciò: In quel tempo che Carlo Quinto depose la monarchia e dall’azioni del mondo alla vita contemplativa, quasi da tempesta in porto, si ritirò, il mio buon padre, ch’era d’età di settanta anni, avendo io passati quelli di trenta, a sé mi chiamò e in questa guisa cominciò a ragionarmi: L’azioni de’ grandissimi re che convertono gli occhi a sé di tutte le genti, se ben per la grandezza loro non pare che possano avere alcuna proporzione con quelle di noi altri uomini privati, nondimeno ci muovono talora con l’auttorità dell’essempio ad imi-Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 14

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tarle in quel modo che noi vediamo che la providenza d’Iddio onnipotente e della natura è imitata non solo dall’uomo, animal ragionevole ch’a gli angioli di dignità s’avicina, ma dalla industria d’alcuni piccioli animaletti eziandio; onde non ti dovrà parer strano se, ora che Carlo Quinto gloriosissimo imperatore ha deposto il peso della monarchia, io penso co ‘l suo essempio di sgravarmi di questo della casa, il quale alla mia privata persona non è men grave di quel che sia l’imperio alla sua eroica. Ma prima ch’io a te dia il governo, il quale più a te ch’a tuo fratello non solo per la maggioranza dell’età si conviene, ma per la maggior inclinazione ancora che dimostri all’agricoltura, cura alla famigliare congiuntissima molto, io voglio così delle cose appertenenti al buon governo ammaestrarti com’io da mio padre fui ammaestrato, il quale, di povero padre nato e di picciolo patrimonio erede, con l’industria e con la parsimonia e con tutte l’arti di lodato padre di famiglia molto l’accrebbe: il qual poi ne le mie mani non è scemato, ma fatto maggiore che da mio padre no ‘l ricevei. Perché, se bene con tanta fatica non ho atteso all’agricoltura con quanta egli diede opera, né con tanta parsimonia son vissuto, nondimeno (siami lecito con te, mio figliuol, di gloriarmi) la cognizion ch’io aveva maggior della natura delle cose e de’ commerci del mondo è stata cagione che con maggiore spesa agevolmente ho fatto quello ch’egli, uomo senza lettere e non esperto del mondo, co ‘l risparmio e con la fatica eziandio della persona difficilmente faceva.

Or cominciando, dico che la cura del padre di famiglia a due cose si stende, alle persone e a le facoltà, e che con le persone tre uffici dee essercitare, di marito, di padre e di signore; e nelle facultà due fini si propone, la conservazione e l’accrescimento: e intorno a ciascuno di questi capi partitamente ragionerò, e prima delle persone che delle facultà, perché la cura delle cose ragionevoli è più nobile che quella delle irragionevoli. Dee dunque il buon padre di famiglia principalmente aver cura della moglie con la qual sostiene persona di marito, che con altro nome forse più efficace è detto consorte, conciò sia cosa ch’il marito e la moglie debbon esser consorti d’una medesima fortuna e tutti i beni e tutti mali della vita debbono fra loro esser communi in quel modo che l’anima accomuna i suoi beni e le sue operazioni co ‘l corpo e che ‘l corpo con l’anima suole accomunarle: e sì come, quando alcuna parte del corpo ci duole, l’animo non può esser lieto e alla mestizia dell’animo suol seguitar l’infermità del corpo, così il marito dee Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 15

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dolersi co’ dolori della moglie e la moglie con quei del marito. E la medesima comunanza dee essere in tutti gli affetti e in tutti gli offici e in tutte l’operazioni: e tanto è simile la congiunzione che ‘l marito ha con la moglie a quella che ‘l corpo ha con l’anima, che non senza ragione così il nome di consorte al marito e alla moglie s’attribuisce, com’a l’anima è stato attribuito; conciosia cosa che, dell’anima ragionando, disse il Petrarca: L’errante mia consorte,

ad imitazion forse di Dante, che nella canzona della nobiltà aveva detto che l’anima si sposava al corpo, benché per alcun altro rispetto ella più tosto al marito ch’alla moglie debba essere assomigliata. E sì come, poi che s’è di-sciolto una volta quel nodo che lega l’anima co ‘l corpo, non pare che l’anima a niun altro corpo possa congiungersi, perché pazza a fatto fu l’opinion di coloro che volevan che l’anima d’uno in altro corpo trapasasse in quella guisa che ‘l peregrino d’uno in altro albergo suol trapassare, così parrebbe convenevole che la donna o l’uomo che per morte sono stati di-sciolti dal primo nodo di matrimonio, non si legassero al secondo; né senza molta lode e molta maraviglia della sua pudicizia sarebbe Didone continovata nel suo proponimento di non volere il secondo marito: la qual così dice: Sed mihi vel tellus optem prius ima dehiscat Vel pater omnipotens adigat me fulmine ad umbras Ante, pudor, quam te violem aut tua iura resolvam.

Ille meos primus qui me sibi iunxit amores Abstulit; ille habeat secum servetque sepulchro.

Nondimeno, perché l’usanza e le leggi in ciò dispensano, può così la donna come l’uomo senza biasmo passare alle seconde nozze, massimamente se vi trapassano per desiderio di successione, desiderio naturalissimo in tutte le ragionevoli creature; ma più felici nondimeno sono coloro i quali da un sol nodo di matrimonio nella vita loro sono stati legati. Quanto maggiore e più stretta dunque è la congiunzione del marito con la moglie, tanto più dee ciascun procurar di far convenevole matrimonio. E la convenevolezza del matrimonio in due cose principalmente si considera, nella condizione e nell’età, percioché, sì come due destrieri o duo buoi di grandezza molto diseguali non possono esser ben congiunti sotto un giogo stesso, così donna d’alto affare con uomo di picciola condizione o per lo Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 16

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contrario uomo gentile con donna ignobile non ben si posson sotto il giogo del matrimonio accompagnare. Ma quando pure avenga che per qualch’accidente di fortuna l’uomo tolga donna superiore per nobiltà in moglie, dee, non dimenticandosi però d’esser marito, più onorarla che non farebbe una donna d’eguale o di minor condizione, e averla per compagna nell’amore e nella vita, ma per superiore in alcuni atti di publica apparenza, i quali da niuna esistenza sono accompagnati: quali sono quegli onori che per buona creanza si soglion fare altrui; ed ella dee pensare che niuna differenza di nobiltà può esser sì grande che maggior non sia quella che la natura ha posta fra gli uomini e le donne, per le quali naturalmente nascono lor soggette. Ma se l’uomo torrà in moglie donna di condizione inferiore, considerar dee ch’il matrimonio è aguagliator di molte disaguaglianze e ch’egli tolta l’ha non per serva ma per compagna della vita: e tanto sia detto intorno alle condizioni del marito e della moglie.

Or passando all’età, dico ch’il marito dee procurar d’averla anzi giovinetta ch’attempata, non solo perch’in quell’età giovenile la donna è più atta a generare, ma anco perché secondo il testimonio d’Esiodo può meglio ricever e ritener tutte le forme de’ costumi ch’al marito piacerà d’im-primerle. E perciò che la vita della donna è circonscritta ordinariamente entro più breve spazio che non è la vita dell’uomo, e più tosto invecchia la donna che l’uomo, come quella in cui il calor naturale non è proporzionato alla soverchia umidità, dovrebbe sempre l’uomo esceder la donna di tant’anni che ‘l principio della vecchiaia dell’uno con quel dell’altro non venisse insieme ad accozzarsi e che non prima l’uno che l’altro divenisse inabile alla generazione.

Or, s’averrà che ‘l marito con le condizioni già dette tolga la moglie, molto più agevolmente potrà in lei essercitar quella superiorità che dalla natura all’uomo è stata concessa, senza la quale alle volte aviene ch’egli così ritrosa e inobediente la ritrovi ch’ove credeva d’aver tolta compagna che l’aiutasse a far più leggiero quel che di grave porta seco la nostra umanità, si trova d’essersi avenuto ad una perpetua nemica, la qual non altramente sempre a lui ripugna di quel che faccia negli animi nostri la cupidità smoderata alla ragione; percioché tale è la donna in rispetto dell’uomo, quale è la cupidità in rispetto dell’intelletto. E sì come la cupidità, ch’è per sé irragionevole, prestando ubbedienza all’intelletto, s’informa di molte belle e leggiadre virtù, così la donna ch’all’uomo ubbedisca, di quelle virtù s’adorna delle quali, s’ella ribella si dimostrasse, non sarebbe adornata.

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Virtù dunque della donna è il sapere ubbedire all’uomo non in quel modo che ‘l servo al signore e ‘l corpo all’animo ubbedisce, ma civilmente in quel modo che nelle città ben ordinate i cittadini ubbediscono alle leggi e a’ magistrati, o nell’anima nostra, nella quale, così ordinate le potenze come nelle città gli ordini de’ cittadini, la parte affettuosa suole alla ragionevole ubbedire: e in ciò convenevolmente dalla natura è stato adoperato, perciò che, dovendo nella compagnia ch’è fra l’uomo e la donna esser diversi gli uffici e l’operazioni dell’uno da quelli dell’altro, diverse convenivano che fosser le virtù. Virtù propria dell’uomo è la prudenza e la fortezza e la liberalità, della donna la modestia e la pudicizia; con le quali l’uno e l’altro molto ben può far quell’operazioni che son convenienti. Ma benché la pudicizia non sia virtù propria dell’uomo, dee il buon marito offender men che può le leggi maritali, né esser sì incontinente che lontano dalla moglie non possa astenersi da’ piaceri della carne; perciò che, se non violerà egli le leggi maritali, molto confermerà la castità della donna, la qual, per natura libidinosa e inclinata a’ piaceri di Venere non men dell’uomo, solo da vergogna e da amore e da timore suole esser ritenuta a non romper fede al marito: fra’ quali tre affetti anzi di lode che di biasmo è degno il timore, ove gli altri due son lodevolissimi molto.