Le macchine dinamo-elettriche dei capitani Krebs e Renard, che sviluppano una forza di dodici cavalli, impressero una velocità di sei metri e mezzo, in media.

E allora, su questa strada del motore, ingegneri ed elettricisti avevano cercato di avvicinarsi il più possibile a quell’optimum che si poté chiamare «un cavallo a vapore in una cassa d’orologio». A poco a poco anche i risultati della pila, di cui i capitani Krebs e Renard avevano mantenuto il segreto, vennero sorpassati, e, dopo di loro, gli aeronauti avevano potuto utilizzare dei motori nei quali la leggerezza aumentava via via in proporzione alla potenza.

C’era dunque motivo per incoraggiare quelli che credevano all’utilizzazione pratica dei palloni dirigibili. Eppure quante persone di buon senso si rifiutavano di ammettere tale possibilità! In effetti, se l’aerostato incontra un punto d’appoggio nell’aria, appartiene a questo elemento nel quale è interamente immerso. In tali condizioni, come la sua massa, che offre tanta presa alle correnti dell’atmosfera, potrebbe tenere testa a dei venti medi, per quanto potente sia il suo propulsore?

Il problema era sempre aperto; ma si sperava di risolverlo adoperando degli apparecchi di grandi dimensioni.

Ora, in questa lotta degli inventori alla ricerca di un motore potente e leggero, gli americani si erano maggiormente avvicinati all’optimum. Un apparecchio dinamo-elettrico, basato sull’impiego di una nuova pila, la cui composizione era ancora un mistero, era stato acquistato dal suo inventore, un chimico di Boston fino a quel momento sconosciuto. Dei calcoli fatti con la maggiore diligenza, dei diagrammi rilevati con estrema esattezza, dimostravano che, con questo apparecchio, azionando un’elica di convenienti dimensioni, si potevano ottenere degli spostamenti dai diciotto ai venti metri al secondo.

Realmente, sarebbe stato magnifico!

— E non è caro! — aveva aggiunto Uncle Prudent, consegnando all’inventore, in cambio di una regolare ricevuta, l’ultimo pacchetto dei centomila dollari, con cui si pagava la sua invenzione.

Immediatamente il Weldon-Institute si era messo all’opera. Quando si tratta di un esperimento che può avere qualche utilità pratica, il danaro esce volentieri dalle tasche degli americani. I fondi affluirono, senza che fosse necessario costituire una società per azioni. Trecentomila dollari, come a dire un milione e mezzo di franchi, riempirono alla prima richiesta le casse del club. I lavori cominciarono sotto la direzione del più celebre aeronauta degli Stati Uniti, Harry W. Tinder, ben noto per tre fra le sue mille ascensioni: una, durante la quale si era innalzato a dodicimila metri, ad un’altezza maggiore di quella raggiunta da Gay-Lussac, Coxwell, Sivel, Croce-Spinelli, Tissandier, Glaisher; la seconda, durante la quale aveva attraversato tutta l’America da New York a San Francisco, oltrepassando di parecchie centinaia di leghe gli itinerari di Nadar, di Godard e di molti altri, senza contare quel John Wise che aveva percorso mille centocinquanta miglia da Saint Louis alla contea di Jefferson; la terza, infine, che si era conclusa con una caduta spaventosa dall’altezza di millecinquecento piedi, in cui si era prodotto una semplice slogatura del polso destro, mentre Pilâtre de Rozier, meno fortunato, cadendo da un’altezza di settecento piedi, rimase ucciso sul colpo.

Nel momento in cui inizia questa storia, si poteva già giudicare che il Weldon-Institute aveva preso le cose molto sul serio.

Nei cantieri Turner, a Filadelfia, s’allungava un enorme aerostato, la cui solidità doveva essere messa alla prova comprimendovi l’aria a forte pressione.

Quello fra tutti meritava davvero il nome di pallone mostro.

In effetti, quale capacità aveva il Gigante di Nadar? Seimila metri cubi. E il pallone di John Wise? Ventimila metri cubi. E quello di Giffard, dell’Esposizione del 1878? Venticinquemila metri cubi, con diciotto metri di raggio. Paragonate questi tre aerostati alla macchina aerea del Weldon-Institute il cui volume si aggirava intorno ai quarantamila metri cubi, e capirete come Uncle Prudent e colleghi avessero diritto di andarne orgogliosi.

Questo pallone, non essendo destinato ad esplorare i più alti strati dell’atmosfera, non si chiamava Excelsior, qualificativo fin troppo usato dai cittadini d’America. Si chiamava semplicemente: Go a head, che vuol dire: «Avanti» — e per giustificare il proprio nome, doveva solo ubbidire a tutte le manovre del suo capitano.

In quel periodo la macchina dinamo-elettrica era quasi interamente terminata, secondo il sistema del brevetto comperato dal Weldon-Institute. Si poteva calcolare che entro sei settimane, il Go a head avrebbe preso il volo attraverso lo spazio.

Come abbiamo già visto, tuttavia, tutte le difficoltà di meccanica non erano ancora state risolte. Molte sedute erano state dedicate a discutere, non la forma dell’elica o le sue dimensioni, ma il problema di sapere se l’elica si sarebbe posta dietro l’apparecchio, come avevano fatto i fratelli Tissandier, o davanti, come avevano fatto i capitani Krebs e Renard. Inutile aggiungere che, in questa discussione, i partigiani dei due sistemi erano persino venuti alle mani. La schiera dell’«elica davanti» equivaleva numericamente alla schiera dell’«elica dietro». Uncle Prudent la cui parola avrebbe dovuto essere decisiva in caso di parità, Uncle Prudent, sicuramente uscito dalla scuola del professor Buridano, non si era ancora pronunciato.

Impossibile, quindi, mettersi d’accordo, impossibile collocare l’elica. La cosa poteva durare parecchio, a meno che non intervenisse il governo. Ma negli Stati Uniti, si sa, il governo non ama immischiarsi negli affari privati, o interessarsi di ciò che non lo riguarda. Ed ha ben ragione.

Le cose erano giunte a quel punto, e la seduta dei 13 giugno minacciava di non finire o piuttosto di finire in mezzo al più spaventoso tumulto — scambi di ingiurie, pugni in risposta alle ingiurie, bastonate in risposta ai pugni, rivoltellate in risposta alle bastonate… — quando, alle otto e trentasette minuti, avvenne una diversione.

L’usciere del Weldon-Institute, freddamente e tranquillamente, come un poliziotto nel pieno delle tempeste di un meeting, si era avvicinato al tavolo del presidente. Gli aveva consegnato un foglio. Attendeva gli ordini che Uncle Prudent avrebbe deciso di dargli.

Uncle Prudent ricorse alla sirena a vapore che gli serviva da campanello presidenziale, poiché nemmeno la campana del Cremlino sarebbe stata sufficiente… Ma il tumulto non cessò di crescere. Allora il presidente «si scoprì»: una specie di silenzio fu ottenuto, grazie a questo mezzo estremo.

— Una comunicazione! — disse Uncle Prudent, dopo aver attinto dalla tabacchiera che non lo lasciava mai una enorme presa.

— Parlate! Parlate! — risposero novantanove voci d’accordo, per caso, su questo punto.

— Uno straniero, miei cari colleghi, chiede di essere introdotto nella sala delle nostre sedute.

— Mai! — replicarono tutte le voci.

— Egli desidera provarci, almeno sembra, — rispose Uncle Prudent, — che credere alla possibilità di dirigere i palloni è credere alla più assurda delle utopie.

Un brontolio accolse questa dichiarazione.

— Che entri!… Che entri!

— Come si chiama questo singolare personaggio? — chiese il segretario Phil Evans.

— Robur, — rispose Uncle Prudent.

— Robur!… Robur!… Robur!… — urlò tutta l’assemblea.

E se l’accordo si era stabilito rapidamente su questo nome bizzarro, era perché il Weldon-Institute sperava di scaricare sul malcapitato che lo portava l’eccesso della sua esasperazione.

La tempesta si era dunque calmata per un istante, almeno in apparenza. Ma d’altra parte, come potrebbe calmarsi una tempesta presso un popolo, che ne spedisce due o tre al mese in Europa sotto forma di burrasche?

CAPITOLO TERZO

 

Nel quale un nuovo personaggio non ha bisogno di

essere presentato poiché si presenta da sé

 

 

 

— Cittadini degli Stati Uniti d’America, io mi chiamo Robur. Sono degno di questo nome. Ho quarant’anni, sebbene non ne dimostri trenta, una costituzione di ferro, una salute a tutta prova, una notevole forza muscolare, uno stomaco che passerebbe per eccellente anche nel mondo degli struzzi. Questo per quello che riguarda il fisico.

Lo si ascoltava. Sì! Quei rumorosi rimasero ad un tratto interdetti, per l’imprevisto di questo discorso pro facie sua. Era un pazzo o un mistificatore, questo personaggio? Comunque sia, egli ispirava rispetto e si imponeva.