Era molto ricco, e ciò non nuoce neppure negli Stati Uniti. E come non lo sarebbe stato dal momento che possedeva la maggioranza delle azioni della società Niagara Falls? In quell’epoca, era stata fondata a Buffalo una società di tecnici per lo sfruttamento della cascata. Un ottimo affare! I settemilacinquecento metri cubi che il Niagara versa al secondo producono sette milioni di cavalli-vapore. Questa enorme energia, distribuita a tutti gli stabilimenti che si trovavano nel raggio di cinquecento chilometri, produceva annualmente un reddito di un miliardo e mezzo di franchi, una parte dei quali entrava nelle casse della società e in particolare nelle tasche di Uncle Prudent. Inoltre egli era celibe, viveva molto semplicemente, avendo come personale di casa solo il suo domestico Frycollin, che davvero non meritava di trovarsi al servizio di un padrone così audace. Esistono simili anomalie.

Che Uncle Prudent avesse degli amici è logico poiché era ricchissimo; ma aveva pure dei nemici, perché era presidente del club, tra gli altri, tutti quelli che gli invidiavano quel titolo. Fra i più accaniti, bisogna citare il segretario del Weldon-Institute.

Era questi Phil Evans, anche lui molto ricco, poiché dirigeva la Walton Watch Company, importante fabbrica di orologi, che produce ogni giorno cinquecento congegni meccanici ed offre prodotti paragonabili ai migliori svizzeri. Si sarebbe potuto considerare Phil Evans uno degli uomini più felici del mondo, se non fosse stato per la posizione di Uncle Prudent.

Come lui Phil Evans aveva quarantacinque anni; godeva, come lui, di una salute a tutta prova; come lui era dotato di un’audacia indiscutibile; come lui era poco desideroso di scambiare i vantaggi sicuri del celibato con gli incerti benefici del matrimonio. Erano due uomini fatti proprio per comprendersi, ma che non si comprendevano affatto, e tutti e due, bisogna ben dirlo, di carattere collerico: l’uno a caldo, Uncle Prudent, e l’altro, Phil Evans, a freddo.

Per quale motivo Phil Evans non era stato eletto presidente del club? I voti erano stati esattamente divisi tra lui e Uncle Prudent. Venti volte si era rinnovato lo scrutinio, e venti volte non s’era potuta ottenere la maggioranza né per l’uno né per l’altro. Situazione imbarazzante, che si sarebbe potuta protrarre oltre la vita dei due candidati.

Uno dei membri del club propose allora un modo per arrivare allo spareggio. Fu Jem Cip, tesoriere del Weldon-Institute. Costui era un vegetariano convinto, ossia un fanatico della verdura, un proscrittore di qualsiasi nutrimento animale e di ogni liquore fermentato, metà bramino, metà musulmano, un rivale dei Niewman, dei Pitman, dei Ward, dei Davie che hanno dato lustro alla setta di questi pazzi inoffensivi.

In quella occasione, Jem Cip venne sostenuto da un altro membro del club, William T. Forbes, direttore di un grande stabilimento, dove si fabbrica il glucosio trattando gli stracci con l’acido solforico; il che permette di ottenere lo zucchero con vecchi cenci. Era un uomo molto posato questo William T. Forbes; padre di due graziose zitelle, Miss Dorothée, detta Doll, e Miss Martha, detta Mat, che erano assai note nella migliore società di Filadelfia.

Risultò dunque dalla proposta di Jem Cip caldeggiata da William T. Forbes e da alcuni altri, che si sarebbe deciso di nominare il presidente del club col sistema del «punto al centro».

Veramente quel sistema di elezione potrebbe venir applicato in tutti i casi in cui si trattasse di eleggere il più degno; e molti americani di buon senso sognavano già di impiegarlo per la nomina del Presidente degli Stati Uniti.

Su due tele perfettamente bianche era stata tracciata una linea nera. La lunghezza di ciascuna di queste linee era matematicamente identica, poiché la si era controllata con la stessa precisione che si mette nel tracciare la base del primo triangolo in un lavoro di triangolazione. Dopo di che, esposte le due tele nello stesso giorno in mezzo alla sala delle sedute, i due candidati si munirono ciascuno di un fine ago, e si diressero contemporaneamente ognuno verso la tela che gli era riservata. Sarebbe stato proclamato presidente del Weldon-Institute quello dei due rivali che fosse riuscito a piantare il suo ago nel punto più vicino al centro della linea.

È inutile dire che l’operazione doveva essere effettuata in un sol colpo, senza misure e senza tentennamenti, giovandosi solo dello sguardo. Bisognava avere un occhio infallibile come dice un’espressione popolare: tutto là.

Uncle Prudent piantò l’ago nello stesso istante in cui Phil Evans piantò il suo. Poi si provvide alla misurazione per poter decidere quale dei due rivali si fosse più avvicinato al punto centrale.

Fantastico! Era stata tale la precisione degli operatori che le misure non rivelarono differenze apprezzabili. Se non era esattamente il mezzo matematico della linea non c’era che uno scarto minimo tra i due aghi o tale che sembrava il medesimo per entrambi.

Ne derivò un grande imbarazzo per l’assemblea.

Fortunatamente, uno dei membri, Truk Milnor, insistette perché le misure fossero verificate di nuovo per mezzo di una riga graduata col procedimento della macchina micrometrica di Perreaux, che permette di dividere il millimetro in millecinquecento parti. Questa riga suddivisa in millecinquecentesimi di millimetro con una scheggia di diamante, permise di verificare le misure, e, dopo aver contato le suddivisioni con un microscopio, si ottennero i seguenti risultati:

Uncle Prudent si era avvicinato al punto medio a meno di sei millecinquecentesimi di millimetro, Phil Evans a meno di nove millecinquecentesimi.

Fu così che Phil Evans divenne solo segretario del Weldon-Institute, mentre Uncle Prudent veniva proclamato presidente del club.

Uno scarto di tre millecinquecentesimi di millimetro, non ci volle di più perché Phil Evans cominciasse a nutrire per Uncle Prudent uno di quegli odi che, per essere nascosti, non per questo sono meno violenti.

A quel tempo, dopo gli esperimenti intrapresi nell’ultimo quarto del XIX secolo, la questione dei palloni dirigibili aveva fatto qualche progresso. Le navicelle con eliche propulsive, applicate nel 1852 agli aerostati di forma allungata di Henry Giffard; nel 1872, a quelli di Dupuy de Lôme; nel 1883, a quelli dei fratelli Tissandier; nel 1884, a quelli dei capitani Krebs e Renard, avevano dato certi risultati di cui bisogna tenere conto. Ma se queste macchine, immerse in un elemento più pesante di loro, manovrando sotto la spinta di un’elica, procedendo obliquamente rispetto alla direzione del vento, avanzando perfino controvento per ritornare al luogo di partenza, erano riuscite a seguire una direzione, ciò era accaduto grazie a circostanze particolarmente favorevoli. In luoghi vasti e coperti, tutto era perfetto. In un’atmosfera calma: benissimo! Con un vento leggero da cinque a sei metri al secondo, era ancora possibile! Ma, in sostanza, non era stato raggiunto alcun vantaggio pratico. Contro un vento abbastanza sensibile, otto metri al secondo, quelle macchine sarebbero rimaste pressoché ferme; contro un vento vivace, dieci metri al secondo, si sarebbero mosse all’indietro; contro una tempesta, da venticinque a trenta metri al secondo, si sarebbero comportate come una piuma; in un uragano, quarantacinque metri al secondo, avrebbero corso il rischio di essere fatte a pezzi; infine, con uno di quei cicloni che superano i cento metri al secondo, non se ne sarebbe più trovato nemmeno un frammento.

Era dunque provato che, anche dopo i risonanti esperimenti dei capitani Krebs e Renard, se gli aerostati dirigibili avevano guadagnato un po’ di velocità, ciò era appena sufficiente per opporre resistenza contro un leggero vento. Da ciò derivava l’impossibilità di servirsi praticamente di questo mezzo di locomozione aerea.

Comunque sia, accanto al problema della direzione degli aerostati, cioè dei mezzi impiegati per imprimere loro una velocità propria, la questione dei motori aveva registrato progressi molto più rapidi. Alle macchine a vapore di Henry Giffard, all’impiego della forza muscolare di Dupuy de Lôme, si erano a poco a poco sostituiti i motori elettrici. Le batterie al bicromato di potassio, che portano gli elementi in tensione, ideate dai fratelli Tissandier, impressero una velocità di quattro metri al secondo.