Il Paradiso Perduto
John Milton
Il Paradiso perduto
traduzione di Andrea Maffei
LIBRO PRIMO
La primiera dell'uomo inobbedienza
E della pianta proïbita il frutto,
Frutto al gusto letal, che sulla terra
La morte e tutti nostri mali addusse,
5 Oltre l'Eden perduto; infin che piacque
Ristorarne di nuovo ad Uom più grande
E racquistar la fortunata sede,
Canta, o musa del ciel! Tu che sui gioghi
Solitarii del Sina e dell'Orebbe
10 Inspirasti il pastor al seme eletto
Primamente insegnò come dal grembo
Nacquero del caosse e cielo e terra;
O se più di Siòn t'è caro il clivo,
Caro il veloce Siloè che lambe
15 L'oracolo di Dio, colà t'invoco
All'animoso mio canto sostegno.
Chè su timide penne io non intendo
Spiccarmi a volo dall'aonia cima,
Ma cose rivelar che mai nè verso,
20 Nè parole disciolte ancor tentaro.
E tu, Spirto divin, ch'ai templi tutti
Preponi un giusto intemerato core,
Tu che sai, m'ammaestra! Al gran principio
Tu presente già fosti, e colle forti
25 Ale, diffuse sull'immenso abisso,
Qual palomba covante il fecondasti.
Schiara quanto è di bujo, alza, sorreggi
Quanto è d'ùmile in me; tal ch'io m'adegui
Del concetto all'altezza, e, la divina
30 Provvidenza attestando, all'uom mortale
Giustifichi le vie del Senno eterno.
Dimmi tu prima (giacchè nulla asconde
Nè l'abisso, nè il cielo agli occhi tuoi)
Dimmi tu la cagion che i nostri padri,
35 Così felici e cari al ciel, divise
Dal proprio Creatore, e repugnanti
Fece, per un divieto, alla sua voglia:
L'unico a lor imposto, a lor signori
D'ogni cosa terrena! A tanto eccesso
40 Chi li sedusse? L'infernal serpente.
Per invidia il maligno e per vendetta
Eva ingannò, la nostra antica madre.
Cacciato un'alta ambizïon lo avea
Con tutta la ribelle oste del cielo.
45 Di tal'armi potente ambìa levarsi
Sugli angeli suoi pari, e fin l'Eterno
Agguagliar presumea, pur ch'ei venisse
Coll'Eterno a contesa: e nel suo cieco
Divisamento d'atterrarne il soglio,
50 Suscitò fra' celesti un'empia guerra,
Ed un conflitto temerario e vano.
Folgorato dall'alto e capovolto
L'Onnipotenza lo respinse. Ardente,
Spaventosa caduta! In un perduto
55 Bàratro ei piovve senza fin profondo,
Ove carco di ceppi adamantini
Starsi in foco penace il tracotante
Sfidator dell'Altissimo dovea.
E già nove fïate era trascorso
60 Lo spazio che misura a noi mortali
La notte e il giorno, ch'ei giacea riverso
Colla nera sua ciurma in mar di fiamme.
Vi giacea senza senso e costernato,
Benchè fosse immortal. Ma lo serbava
65 A corruccio maggior la sua condanna.
Perocchè si sentia da doppia spada
Trafiggere il pensier: dalle memorie
Del suo tempo felice, e dalla eterna
Sua presente miseria. - Attorno ei volge
70 Le funeste pupille, onde traluce
L'ineffabile angoscia e la sfidanza
All'orgoglio ostinato ed al tenace
Odio commiste. D'un girar di ciglio,
Quanto più lungi spazïar può l'ala
75 Dell'angelica vista, egli contempla
Quel tristo, lagrimoso, ampio deserto,
Carcere orrendo, circonfuso a guisa
D'una fornace sterminata. Luce
Quella fiamma non dà, ma tal diffonde
80 Visibil tenebrìa che scopre al guardo
(Miserabile aspetto!) desolate
Lande, affannosa cecità, cui pace
Mai non consola, nè riposo; e tolto
Ogni varco v'è pure alla speranza
85 Che per tutto pènetra. Ivi tormenti
Senza termine o sosta; ivi una pioggia
Stemperata di vampe alimentate
Da sempre acceso inconsumabil solfo.
Tal soggiorno prefisse a quei perduti
90 La severa giustizia e lo ravvolse
D'una infinita esterïor tènebra:
Così lungi da Dio, così remoto
Dal sidereo splendor, come tre volte
Dal centro del creato il più lontano
95 Polo si scosta.... Oh quanto il nuovo albergo
Dissimile da quello onde balzaro!
In quel vortice immersi e raggirati
Dall'ardente procella i suoi compagni
L'Arcangelo discerne. Al fianco suo
100 Contorceasi colui che più vicino
Di possanza e d'empiezza in ciel gli stava.
Colui che dopo lungo ordine d'anni
Fu noto in Palestina, ed ebbe il nome
Di Belzebù. Con esso il gran nemico
105 (Onde Satàn fu poi detto nel cielo)
Ruppe il lungo silenzio, e queste audaci
Parole incominciò: «Se tu pur quegli
Sei.... (ma quanto scaduto, ed ahi diverso
Da colui che di pompa e di bellezza
110 Là nei regni felici un dì vincea
Miriadi splendidissime di spirti!)
Se pur quegli sei tu, che un mutuo patto,
Un pensiero, un consiglio, una speranza,
Un cimento medesmo ed uno stesso
115 Glorïoso disegno a me congiunse,
Come un'alta sventura or ricongiunge
Nella stessa caduta, in quale abisso
E da qual loco rovinammo, il vedi!
Tanto invitto poter quelle infocate
120 Armi a Lui diero! Ma chi pria conobbe
Di quell'armi terribili la possa?
Pur nè per esse, nè per quanto ancora
Sappia nel suo disdegno il fortunato
Vincitor flagellarmi, io non mi pento,
125 Nè mi cangio in eterno, ancor che molto
Trasmutato di fuor. No, quest'immoto
Spirto cangiarsi non potrà, nè questa
Ira sublime, dal sentir commossa
D'un gran merto oltraggiato, ond'io fui spinto
130 A cozzar col più forte, allor che tanti
Trascinai nel conflitto angeli armati,
Che sprezzarlo fur osi, e, me seguendo,
Forza opposero a forza, e in dubbia pugna
Gli scrollâr nel suo cielo altare e trono.
135 Fummo sconfitti: e che per ciò? fiaccati,
Benchè vinti, non siamo. Una indomata
Voglia, uno studio di vendetta, un astio
Immortale, ed un cor che mai piegarsi,
Mai sopporsi non può, che denno adunque
140 Altro significar se non che domo,
Soggiogato io non sono? Oh questo vanto
Rapir non mi potrà nè la sua possa,
Nè l'ira sua! Curvarmi? ossequïoso
Implorar nella polve un vil perdono?
145 Non adoro un poter che nella stretta
Di queste braccia vacillò; sarebbe
Codardia svergognata, assai più turpe
Che la nostra caduta. E poi che fermo
Sta nel destino, che perir non debba
150 Nè il vigor degl'Iddii, nè la celeste
Loro sustanza; poi che l'ardua prova
Fatta in cielo per noi, non che spossarci,
N'afforzò di consiglio e di prudenza,
Non potrem rinnovar, nella fiducia
155 Di fortuna migliore, o colla frode
O colla forza, un'implacabil guerra
Contro il nostro nemico, or che trionfa
Della perdita nostra, e regna solo
Del ciel tiranno?» - L'angelo ribelle,
160 Così pur nel dolore insuperbendo,
Alti detti parlava, e nel segreto
Animo il cupo disperar premea;
E l'audace compagno a lui rispose:
«O prence, o capitan di numerosi
165 Troni! o tu che guidasti armati in campo
Sotto l'alto tuo cenno i serafini,
Petti chiusi al timor, che dell'Eterno
Fer sulle stelle titubar la possa,
Sia ch'ei l'abbia dal caso o dal destino
170 O da innata virtù; pur troppo io veggo,
E maledico l'infelice evento
Che, battuti, dispersi e in vergognosa
Fuga cacciati, ne scagliò dal cielo,
E tante schiere poderose involse
175 Nell'eccidio comun, fin dove ponno
Perir le nostre deità! Ma stanno
Invincibili in noi la mente e il core,
E rinasce il valor, benchè distrutta
Sia la gloria d'un tempo, e il gaudio antico
180 In dolorosa eternità converso.
Ma che? Se il vincitor (che forza è pure
Credere onnipotente; e tal non fosse,
Trionfati n'avrebbe?) intera in noi
La potenza lasciò, lo spirto intero,
185 Fu sol, perchè duriamo alla pressura
Di più gravi tormenti, e la sua rabbia,
La sua vendetta, strazïando, ei pasca;
Fu sol, perchè sepolti in questo inferno
Ne destina al servaggio, a vili officj
190 Quai prigioni di guerra, o faticando,
Come a lui più talenti, a mezzo il foco,
O recando agli abissi i suoi messaggi.
Che può dunque fruttarci il sentimento
D'un poter non scemato e d'una essenza
195 Non peritura? La crudel certezza
Che termine non han le nostre pene!»
A cui rapidamente il gran superbo:
«Caduto cherubino! il fiacco è sempre,
Tolleri od opri, miserando. Il bene
200 (Tienti questo per fermo) uscir da noi
Mai non potrà. La nostra unica gioja
Sta soltanto nel mal, nel male avverso
Alla potente volontà del nostro
Sempiterno nemico. Ov'egli adunque
205 Scaturir, previdente, il ben volesse
Dal nostro mal, solleciti cerchiamo
Di sviarne l'intento, o pur dal bene
Facciamgli il male rampollar. Potremo
Così talvolta molestarlo, e forse
210 Stornar, come n'ho speme, i più profondi
Consigli suoi dal termine prefisso.
Ma vedi! il fiero vincitor richiama
Alle soglie del cielo i suoi ministri
Di furor, di vendetta; la rovente
215 Pioggia d'asfalto che su noi versava
Quando il lago di foco in sè ne accolse
Precipiti dal cielo, alfin s'ammorza;
E il tuon di strali rubicondi e d'ire
Formidabili alato, esausta ha forse
220 La pesante faretra, e cessa omai
Di mugghiar sull'abisso interminato.
Su! l'istante cogliam che sazio sdegno
O superbo disprezzo a noi presenta.
Vedi quella remota, inospitale,
225 Arida landa e povera di lume,
Tranne il poco baglior, che questa vampa
Livida, paurosa a lei ne manda?
Là tentiamo approdar da questo acceso
Golfo, là riposarne, ove il riposo
230 V'abbia un asilo. Le atterrite schiere
V'ordineremo, e vi terrem consulta
Come al nostro oppressor novella offesa
Recar si possa, ristorarci i danni,
Superar la sventura, e quai conforti
235 La speranza ne porga, o quale audace
Ultimo sforzo il disperar consigli.»
Così Satano a Belzebù la fronte
Fuor de' vortici eretta e gli occhi in fiamme;
Mentre lungo protese e galleggianti
240 Sulla gora infernal l'altre sue membra
Ne coprian molti jugeri. Conforme
A quella immane portentosa schiatta
Che titania o terrigena le antiche
Fole appellaro, e mosse a Giove assalto;
245 E forse a Briarèo, forse a Tifone
Che già l'antro occupava alla vetusta
Tarso vicino: o pari a quell'orrendo
Levïatano che la man di Dio
Creò d'ogni marina orca più vasto,
250 Quella gran cete che talor s'addorme
Sulle spume norvegie, ed al nocchiero
Di breve legno per lo bujo errante
Sembra, come si narra, un'isoletta;
Tal che l'àncora infitta entro le squamme
255 Dell'immobile mostro ei si ripara
Dal vento boreal fin che la notte
Sul mare incombe, e il desiato raggio
Gli nasconde il mattin. Così prosteso,
Così vasto giacea l'incatenato
260 Dimòn sui flutti dell'ardente lago;
Nè mai da quelli rialzato avrebbe
La cervice abbattuta, ove concesso
Non lo avesse il Voler che move i cieli.
Seguitar gli concesse i suoi malvagi
265 Pensieri, e colpe accumular su colpe,
Onde cresca in eterno il suo castigo,
Onde vegga, e ne frema, in lui converso
Tutto il mal che procaccia, e l'arti inique
Altro non far che piovere sull'uomo,
270 Da lui sedotto, la pietà, l'amore,
La clemenza del cielo; e scorno e sdegno,
E vendetta su lui. - Rizzò dall'onde
La potente persona; e svolte a destra
Ed a sinistra le conserte fiamme
275 S'arricciâr, si appuntaro e si disgiunsero
Vorticose, lasciando una voragine
Spalancata nel mezzo. Allor le late
Ali spiegando, il bujo aer compresse,
Che rotto sibilò per quello incarco
280 Inusitato; fin che giunse e stette
Su la fervida terra, ove un tal nome
Dar si debba a quel suolo ognor bollente
D'una solida fiamma, in quella guisa
Che d'un liquido foco avvampa il lago.
285 Tali sono al color (se per tremoto
Svelgasi da Pelòro o dal franato
Fianco di Mongibello un gran macigno)
Le viscere di solfo, orribil esca
Dell'incendio intestino, allor che al cielo
290 Spinte per forza mineral, soccorsa
Da vènto impetuoso, abbrustolato
Lasciano il fondo e lurido e fetente
Di malvagi vapori. Era sì fatto
Il terren che stamparo i maledetti
295 Piè di Satano; e Belzebù, che l'orma
Ne seguia più da presso, immantinente
Ne lo raggiunse; glorïosi entrambi
Di quel loro sfuggir per rinnovata
Intrinseca virtù, non per divino
300 Consentimento, da quel mar di foco.
«Questa è dunque la plaga, il clima, il suolo,
(L'Arcangelo proruppe) il seggio è questo
Che noi dovremmo rimutar col cielo?
Questa penosa oscurità col lieto
305 Raggio del ciel? Sia pure! A suo talento
Giudica il dritto e ne dispon chi regna
Despota su le stelle. Or sia la stanza
Che da Dio più ci scosta a noi più cara;
Da Dio, cui la ragion fa pari agli altri,
310 E la forza sovrano. - Addio, felici
Campi, soggiorno di perpetua gioja!
Tenebrosi deserti, or voi salvete!
Salve, o mondo infernale! E tu, profondo
Bàratro, il nuovo tuo Signor ricevi.
315 Uno spirto è con lui che non si cangia
Per loco o per età, giacchè lo spirto
A se stesso è dimora, e può del cielo
Farsi un inferno, e dell'inferno un cielo.
Che monta il dove, se quell'io pur sono,
320 E qual essere io debbo in sempiterno?
Tutto intero qual pria, sebben minore
Di colui che le folgori soltanto
Fèr più grande di me. Ma qui signori,
Àrbitri di noi stessi almen saremo;
325 Perocchè non creò l'Onnipotente
Questo loco infernale, onde pentito
Poi ne lo invìdi e ne respinga. In tutta
Sicurtà regneremo; una corona
Degna è d'alti pensieri, ancor che splenda
330 Su questo abisso di dolori. Oh, meglio
Re nell'inferno che vassallo in cielo!
Ma perchè lascerem nell'oblïoso
Flutto sommersi e sgominati i nostri
Fedeli amici che con noi s'unìro,
335 Che con noi rovinâr? Qui non vorremo
Chiamar quei generosi, e porli a parte
Di questa terra sciagurata? e, giunte
Le nostre forze, ritentar di novo
Se v'ha cosa nel cielo o nell'abisso
340 Che racquistar, che perdere si possa?»
Così Satano, e Belzebù rispose:
«Condottier degli eserciti raggianti,
Cui potè superar quel braccio solo
Che frena il ciel, qualora il tuon li scuota
345 Della tua voce che animar solea
Nel timor della rotta la cadente
Loro speranza; la tua voce, o Grande,
Che segnai di coraggio e di conforto
Tante volte ascoltâr quando più calda
350 La battaglia ruggìa, novello ardire,
Vita novella prenderan, quantunque
Giacciano esterrefatti e gemebondi,
Come noi giacevam, sulle ondeggianti
Fiamme del lago; nè stupir se guardi
355 Da qual cademmo smisurata altezza!»
Chiusa ancor non avea la fiera bocca
Che Sàtan s'accostava all'arso lito.
Tiensi un ampio, massiccio e tondo scudo
D'eterea tempra sulle terga, e pende
360 Dall'omero superbo il grave disco,
Pari all'orbe lunar, quando dal poggio
Di Fiesole o in Val d'Arno il sapïente
Tosco lo guarda sulla sera armato
D'astronomiche lenti; e nuove terre,
365 Nuovi fiumi e montagne il maculato
Globo gli svela. - La satanic'asta
(Al cui paraggio il più sublime abete
Tolto ai boschi norvegj, onde le navi
Capitane alberarne, una sottile
370 Verga sarebbe) n'appuntella i passi
Per quel limo mal fermi...
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