oh, ben diversi

Da quei che sul zaffiro in ciel movea!

Lo travaglia non men l'assiduo vampo

Del torrido orizzonte, e pur nol cura.

375        Alfin la spiaggia dell'ardente golfo

L'Arcangelo afferrata, i suoi sconvolti

Battaglioni appellò; deformi e guaste

Angeliche sustanze. E qual d'autunno

Galleggiano affollate in Vallombrosa

380        Sul cristallo dei rivoli le foglie,

Ove in arco salenti ameni intrecci

Fan l'etrusche boscaglie, in questa forma

Giacean gli spirti ammonticchiati: o come

Nuotano l'alghe per l'onda disperse

385               Quando carco Orïon di procellosi

Nembi flagella all'Eritreo le coste.

All'Eritreo che seppellì Busiri

E i cavalli di Memfi, allor che in fuga

Volsero minacciosi e furibondi

390        Gli ospiti di Gessène, e questi in salvo

Miravano dal lido i fluttuanti

Cadaveri nemici, e le spezzate

Rote de' carri sparir nell'abisso.

Così prona, gemente e stupefatta

395               Dell'improvviso mutamento, il lago

Infernal quella orrenda oste copria.

Mise un grido Satano, e le caverne

Ultime dell'inferno udîr quel grido:

«Principi, potentati e battaglieri,

400        Fiori del ciel già vostro ed or perduto!

Può stupor così forte i non mortali

Spirti occupar? Ma forse è questo il loco

Che scegliete voi stessi, affaticati

Dalla battaglia, a ristorar di nuovo

405               L'abbattuto valor? V'è caro il sonno

Quaggiù come già v'era alle beate

Ombre del cielo? O forse in tal servile

Atteggiamento d'adorar vi giova

Colui che trionfò? Sommersi or vede

410        Tra laceri vessilli ed armi infrante,

Cherùbi e Serafini in questo inferno.

Ma non molto n'andrà, che, l'opportuna

Ora cogliendo, dall'eteree porte

Rapidi scenderanno i suoi ministri

415        A calpestarne le fiacche cervici,

O con nodi di folgori aggruppate

A conficcarne in questo limo. Uscite

Di letargo! svegliatevi, o caduti

Siete in eterno!» - Vergognando udiro

420        Quegli assopiti la rampogna, e tosto

Sovra l'ali s'alzâr. Così talvolta

Colte nel sonno da severo duce

Le guardie avvezze a vigilar, di terra

Si levano con onta, e pur mal deste

425               Ricompongono l'armi e la persona.

E benchè tutto il lor misero stato

Conoscano i perversi e la puntura

Sentano d'insoffribili tormenti,

Pure in novero immenso alla chiamata

430        Di Satano obbediro. E come il figlio

D'Amrano ai tempi del protervo Egitto

Levò su quelle spiagge e lungo il fiume

La potente sua verga, ed un oscuro

Nugolo di locuste raggirato

435        Dal vento occidental, calò sui regni

Di Faraone, e d'improvvisa notte

Le contrade abbujò che il Nilo inonda,

Fur veduti così quei maledetti

(Esercito infinito!) sollevarsi

440        Fra l'alte, basse e circostanti fiamme

Del convesso infernal, fin che l'antenna

Del fiero imperador levata in alto,

Diede il segno alla mossa. Allor gittârsi

D'un equabile vol sull'indurito

445               Bitume, e tutto ne fu bruno il campo.

Moltitudine tal dalla gelata

Boreale contrada unqua non scese,

Nè del Reno e dell'Istro i flutti oppresse,

Quando si rovesciò come una piena

450               Devastatrice sul meriggio, e corse

Da Calpe alle remote afriche arene.

Da ciascuna falange uscîr repente

I duci e i capitani, e s'affrettaro

Dove il gran condottier fermò le piante.

455        Divine agli atti ed alle forme e sopra

La natura dell'uomo, assise un giorno

Stavano tali Posse e tali auguste

Dignità su fulgenti eccelsi troni.

Ma ne' registri di lassù ricordo

460        Di lor più non si trova. Evulsi e rasi,

Poi che spiacquero a Dio, ne furo i nomi

Dal libro della vita, ed altri ancora

Non ne avea loro imposte il figlio d'Eva.

Ma quando si gittâr (come l'Eterno

465        Per la prova dell'uomo a lor concesse)

Sulla terra, e con false arti e menzogne

Corrompendo del mondo una gran parte,

Sedussero all'oblio del Creatore

Le creature, e fêr della divina

470        Non visibile gloria una deforme

Immagine di bruto, a cui proferti

Vennero allegri culti e pompe ed oro,

Allor per varj nomi all'uom fur noti;

E sotto idoli varj e simulacri,

475               Ebbero fra' pagani incenso ed ara.

Dimmi, o musa, quei nomi, e chi fu il primo,

Chi l'ultimo a destarsi, a trar le membra

Da quel letto di fiamme, allor che il grido

Di Sàtan li ferìa: chi fur gl'insigni

480        Emuli a lui di merto a por le piante

Sulla sabbia deserta ov'ei le pose,

Mentre lontano e scombujato il volgo

Degli spirti minori ancor giacea.

Eran primi color che dall'inferno

485        Sulla terra migrando, stimolati

Dal furor della preda, osaro alzarsi,

Dopo secoli molti, un empio seggio

Presso al seggio divino, e por gli altari

Contro gli altari del Signor. Da genti

490        Lor vicine adorati un tempio stesso

Con Jèova abitâr, con quel potente

Che tuona da Sionne, e siede in trono

Da serafiche schiere incoronato;

E fin nel Santuario i loro infami

495               Tabernacoli han posto; e profanando

Di rito abominoso il sacro culto

E le feste solenni, oppor fur osi

Alla diva sua luce ombre e paure.

Molocco, orrido re, si mosse il primo.

500               Piacque il sangue a costui d'umane offerte;

Piacque il dolor de' miseri parenti,

Benchè fosse coverto e soffocato

Dai timpani sonori il grido e il pianto

De' fanciulli morenti in mezzo ai roghi

505               Dell'idolo crudele. A Rabba e in tutta

Quella irrigua pianura a lui chinârsi

Gli Ammonìti, e in Argobio ed in Basana

Fino alle sponde dell'estremo Arnone.

E non pago il dimon di questi audaci

510               Finitimi, sedusse il savio core

Di Salomone a costruirgli un tempio

Di fianco a quel di Dio sulla pendice

Dall'obbrobrio appellata; e dell'amena

Valle d'Innón si fece un sacro bosco

515        Che Toféa poi fu detto, o tenebrosa

Geenna, imago dell'inferno. - Appresso

Costui Càmos venìa; spavento osceno

Pei figli di Moabbo, d'Aroaro

A Nebo ed al remoto austral deserto

520               D'Abàrima. In Esebbo, in Aranamo,

Reame di Seòne, oltre la valle

Di Simma, che di pampini e di fiori

Spiega un vago tappeto, egli ebbe altare;

E l'ebbe in Eleàl fino alla sponda

525               Dell'asfaltico lago. Anche Peòro

Fu chiamato il dimòn, quando in Sittìmo

Ravvolse i figli d'Israel, fuggenti

Dalle rive del Nilo, in quei lascivi

Riti che fur cagion di tanti affanni.

530               Poscia le scellerate orgie traspose

Sul colle dell'infamia accanto al bosco

Del cruento Molocco, e fu coll'ira

La lussuria confusa. Alfin di novo

Giósia cacciolli nell'abisso. - A questi

535               S'accoppiano color che dall'Eufrate

Fino al torrente che l'egizia parte

Dalle assire campagne, ebber comuni

I nomi di Baàle e d'Astarotte,

Dèi quelli, e queste Dee; poichè gli spirti

540               Pigliano a grado lor l'un sesso e l'altro,

O li fondono insieme. È tanto molle,

Semplice tanto la spirtale essenza,

Che libera da fibre e da giunture,

E non come la carne al frale appoggio

545               Dell'ossa accomandata, in qual sia forma

O lucida od opaca, o rara o densa,

Può gli aerei seguir divisamenti,

Ed all'opre dell'odio e dell'amore

Dar l'effetto proposto. - Abbandonaro,

550        Da queste sozze deità sedotti,

Spesso i figli di Giuda la vivente

Loro possanza, e, negletto l'altare

Del vero Nume, ad idoli brutali

Quella fronte curvâr, che poi fiaccata

555        Dal turpe ossequio, si piegò sul campo

All'urto di spregiate armi nemiche.

Tra la turba vulgar di questi numi

Astarotte è distinto, a cui d'Astarte

Diêr già nome i Fenici, e l'adoraro

560               Bicornuta del cielo imperatrice.

Le Sidonie donzelle avean per uso

Nelle notti serene avvicinarsi

Al suo lucido tempio, e farle omaggio

Di lor canti votivi; e inonorata

565        Di cantici non fu pur tra le mura

Della stessa Sionne. Il tempio suo

Sorgea dal monte dell'obbrobrio, dove

Innalzato lo avea quel molle prence,

Che saggio un tempo e d'alto cor, ma preso

570        Delle vaghe idolatre, anch'ei si volse

Alla malvagia idolatria. - Tammuzzo

Dopo Astarte apparì. La sua divina

Piaga annual sul Libano traea

Le assire giovinette, ove con dolci

575               Querimonie piangeano il suo destino

Dal sorgere al cader d'un lungo sole,

Mentre il placido Adon, dalla materna

Rupe scendendo al mar, l'acque volgea

Tinte, com'era grido, e rubiconde

580        Del sangue di quel dio piagato ogni anno.

Di pari ardor la favola amorosa

Scaldò le figlie di Sionne, e viste

Le lascivie ne fûr sotto i devoti

Portici dal rapito Ezzechïello,

585               Quando al profeta in visïon s'offriro

L'idolatrie del popolo di Giuda.

Poscia un tale apparì che fu dolente

Veggendosi troncar dalla captiva

Arca l'effige mostruosa, e il capo

590        E le braccia staccarne; e sulle porte

Del suo tempio medesmo, alla presenza

De' suoi confusi sacerdoti, in brani

Precipitar. Dagòne è il nome suo;

Dalla cintola al capo umana forma,

595               Marina orca nel resto. E nondimeno

Dal suo tempio in Azoto il turpe iddio

Le coste impaurì di Palestina,

E Gate, Accarno ed Ascalon fin dove

Giunge il confin della discosta Gaza.

600               Rimmon seguia. Piacevole soggiorno

A costui fu Damasco e la feconda

Contrada insigne per le terse fonti

Di Fàrfara e d'Abbana. Anch'ei la fronte

Baldanzosa levò contro la casa

605               Dell'Eterno, e perduto un vil lebbroso

Fece acquisto d'un re: d'Achaz lo stolto

Suo vincitor, che volse a Dio le terga,

Da quel demone spinto, e n'atterrando

Con mani empie l'altar, sulle ruine

610               Costrusse un'ara di siriaca foggia,

Ove incensi odïosi e impure offerte

All'idolo immolò che pria sconfisse.

Venìa dopo costor la schiera e il fasto

Di quegli spirti che recâr d'Osiri

615        E d'Iside e d'Orusse i nomi antiqui,

E trassero in error, con differenti

Mostruose sembianze e sortilegi,

Il fanatico Egitto e i maghi suoi.

Stolti! che in laide bestïali forme,

620        Non già nell'uom, cercavano l'erranti

Lor deïtà; nè salvo di tal peste

Israello n'andò, quando egli fuse

L'oro accattato nel vitel d'Orebbe.

Poscia in Dana, in Betèle il re perverso

625               Rinnovò la gran colpa, allor che Dio

Comparò, forsennato, a bue pascente.

Quel terribile Dio che in una notte,

Percorrendo l'Egitto, i primonati

Stese d'un colpo co' mugghianti numi.

630               Ultimo apparve Beliàl. Più sozzo

Dèmone di costui, più dell'abbietto

Vizio invaghito, per lo vizio stesso,

Sprofondato non fu dall'ira eterna.

A lui non templi s'innalzâr, non are

635               Fumarono d'offerte; e tuttavolta

Chi s'aggira ne' templi e fra gli altari

Più di questo infernal, quando i corrotti

Ministri del Signore (alla sembianza

Dei figliuoli d'Elì che profanaro

640        Di tresche abominevoli e di sangue

La divina sua casa) onta gli fanno?

E ne' templi non sol, ma ne' palagi,

Nelle corti egli regna e fra le mura

D'impudiche città, mentre il fracasso

645               Dell'infame bagordo e del peccato

Passa in altezza l'eminenti rôcche:

E mentre all'aer bujo i suoi vaganti

Seguaci ebbri di vino e di furore

Scorrono le contrade e fan tumulto.

650               Soddoma il dica e Gabaàl, la sera

Che fu contaminata una matrona

Sulle soglie ospitali, ad impedirvi

Stupro più reo. - Di grado e di potenza

Questi furono i primi, e lungo fòra

655               Narrar degli altri, il cui nome si sparse

Grande e temuto. Gl'idoli d'Ionia,

Che numi il seme di Javàn credea,

Ma del ciel meno antichi e della terra

Lor vantati parenti, e quel Titano

660               Primogenio del ciel colla sua prole

Smisurata, a cui tolse e trono e regno

Saturno a lui minor, che poi sofferse

Da Giove figlio suo (che Rea produsse

Più del padre gagliardo) uguale offesa.

665        Così Giove usurpò del cielo il regno.

Dèi, che prima fur noti in Creta e in Ida;

Poi sulle vette del nevoso Olimpo

L'aer medio reggeano (il più sublime

Loro seggio), o sul vertice di Delfo

670        O in Dodona, e per quanto ampia si stende

La dorica contrada. Un di costoro

Coll'antico Saturno in Adria venne,

E l'Esperia varcata e il celto lido,

N'andò fino all'estreme isole errando.

675        Questi ed altri parecchi accolti insieme

Veniano, ma con basse umide ciglia,

Cui temprava però di qualche gioja

Il veder che Satano ancor perduta

Non avea la speranza, e il non sentirsi

680        Pur nella stessa perdigion perduti.

Ciò tutto riflettea su quell'altero

Quasi un dubbio color; ma tosto assunto

L'orgoglio consueto, con superbo

Favellar, che l'aspetto e non l'essenza

685        D'una severa dignità tenea,

Nuovo spirto ei trasfuse all'abbattuto

Loro coraggio, e quel timor ne spense.

Indi cenno egli fe che, salutata

Al clangor delle trombe e dei timballi,

690        La sua si spieghi trionfale insegna.

Quest'onor ne richiese, e consentito

Gli fu per dritto, Azzazièl, cherùbo

Per gran membra distinto. Egli disciolse

Dall'asta rilucente il gran vessillo,

695        Che, svolto e ventilato, avea l'imago

Di fiammante cometa, e rabescati

D'oro e di gemme vi splendeano in mezzo

I serafici emblemi ed i trofei.

Gli oricalchi sonori allor mandaro

700        Uno squillo di guerra, a cui rispose

Tutta quanta la turba. Immenso grido

Che dell'abisso rintronò le vôlte,

E gli imperii del caos e dell'eterna

Notte empiè di clangore e di spavento.

705        Ed ecco fluttuar per l'aere oscuro

Nel vivo orïentale ostro lucenti

Diecimila bandiere, e insiem con esse

Sorgere un bosco di ferrate antenne,

E cimieri a cimieri, e targhe a targhe

710               Stringersi, ricomporsi in dense file,

La cui profondità non si misura.

In perfetta falange i combattenti

Preser le mosse al dorico concerto

Delle tibie e de' sistri, antico suono

715        Che spirava agli eroi nella battaglia

Una calma sublime, un moderato

Valor, non quella cieca ira che svampa;

Tal che tema di morte o vil ritratta

Nomi incogniti fur. Nè dell'arcana

720        Virtù religïosa il suon mancava;

Della virtù che il dubbio e la paura

E l'angosce e il cordoglio allevia e spegne

Negli eterni non men che nei mortali.

Tal con possa raggiunta, e tutti accesi

725        D'un sol pensier quegli angeli caduti

Procedeano in silenzio al dolce accordo

De' cavi bossi, che leniano in parte

Per quel suolo di fuoco il doloroso

Lor cammin.