La turba alfin s'arresta

730        (Oh quale orrenda immensurata fronte

Tutta d'armi abbagliante!) in lunga schiera,

Come i prischi guerrieri armati d'asta

E di scudo attendeano il venerato

Cenno del duce lor. Satano avventa

735        Per le cupe falangi il guardo esperto,

Da sommo ad imo le percorre, esplora

L'ordine di ciascuna, il bellicoso

Contegno, e quelle forme alle divine

Indifferenti, e noverarle ei gode.

740        Ed oh come si gonfia, insuperbisce

E s'indura quel cor per tanta possa!

Dacchè l'uom fu creato, ancor non venne

Sì forte e numerosa oste raccolta,

Che non sembrasse al paragon di questa

745        Quel popolo pigmeo cacciato in rotta

Dalle grù, quando pur tutti gli enormi

Fulminati da Giove in val di Flegra

Vi fossero alleati, e gli animosi

Che sotto le tebane e iliache mura

750               Pugnâr confusi ai parteggianti dèi;

E quanto suona in favola o in romanzo

Del buon figlio d'Utèro in mezzo a' suoi

Cavalieri d'Armórica e Bretagna;

E quanti battezzati e saraceni

755               Giostraro in Montalbano, in Aspramonte,

In Damasco, in Marocco, in Trebisonda;

O quanti ne mandò dall'africano

Lito Biserta, allor che il Magno Carlo

Cadde coi Paladini in Roncisvalle.

760        E sebben quest'esercito di spirti

Vinca ogni prova del valor mortale,

Riverente obbedisce alla parola

Del suo temuto capitan. - Satano!

Della fronte non pur, ma dello sguardo

765               Superbamente imperïoso, a tutti

Torreggiava sovrano. Ancor perduto

Non avea quell'altero il suo splendore.

Oscurato bensì, ma non di manco

L'Arcangelo parea, parea l'occaso

770        D'un eccesso di gloria. Come quando,

Povero de' suoi raggi, il sol nascente

Traspar per li vapori umidi e spessi

Di turbato orizzonte, o dietro al disco

Della luna s'atterga in piena eclisse,

775        E molti imperj e nazïoni avvolge

D'un crepuscolo infausto, ai re presago

Di spaventosa popolar sommossa.

Ma, sebben dall'antico assai diverso,

In luce ogni astro ed in beltà vincea.

780        Dei solchi, che la folgore v'aperse,

Negra avea la cervice, e sulla smorta

Guancia posava l'inquïeta cura.

Il cipiglio però che manifesta

L'orgoglio pazïente e il cor non domo,

785               Intendea vigilante alla vendetta.

Lo sguardo era crudel, benchè talvolta

Di pietà s'animasse e di rimorso

Nel veder quegli spirti a lui compagni

Di misfatto, seguaci anzi e vassalli,

790        Ed or tanto infelici, ora deserti

D'ogni prisca beltà; miriadi immense

D'angeli condannati a patimenti

Senza speme di tregua, e per la bieca

Sua fellonia sommersi in quell'abisso,

795        E cacciati dagli astri e dalla luce,

Pure a lui riverenti, a lui fedeli!

Tal se l'ira del cielo incenerisce

Le querce d'una selva o gli alti abeti

D'una montagna, maestosi ancora,

800               Quantunque scissi e disfrondati, i tronchi

Sorgono dalla landa inaridita.

Egli si accinse a favellar. Le doppie

File allor si curvaro, e raccostando

Gli estremi opposti lati un emiciclo

805        Fêro in muta aspettanza al sommo duce

Da' suoi grandi accerchiato. Egli tre volte

Schiuse il varco alla voce, ed altrettante,

Pria che ne uscisse, gli morì nel pianto;

Pianto che sol dagli angeli si versa!

810               Tronche alfin da singulti e da sospiri

Parlò queste parole: «O Legïoni

Di sostanze immortali! eteree posse

A cui si paragona il sol Jeòva!

Non fu la nostra inglorïosa pugna,

815               Benchè l'evento sciagurato: e questa

Miseranda dimòra, e quest'orrendo

Mutar di forme (doloroso a dirsi!)

Dura prova ne son. Ma quale ingegno,

Qual alta previdenza, ammaestrata

820        Da casi antichi e da novelli, avrebbe

Creduto mai che a superar la forza

Di tali e tante deïtà congiunte

Altra forza valesse? E tuttavolta

Chi potrebbe suppor, che così forte

825               Esercito di spirti, onde l'esiglio

Gli empirei campi desolò, quantunque

Domo, sconfitto rialzarsi al cielo

Nuovamente non possa e far conquisto

Del soggiorno natio? Tutta l'immensa

830        Oste di numi testimon mi sia,

Se per dubbi consigli o per temuti

O cansati cimenti ho riversate

Le nostre alte speranze. Ma colui

Che regna in ciel monarca, e sull'eterno

835        Soglio tranquillo fin allor sedea

Per consenso, per uso e per antica

Fama, le sole mäestose pompe

Di sua grandezza ai nostri occhi mostrava,

Ma la sua forza ne ascondea. Per questo

840        Noi tentammo assalirlo, e fummo oppressi.

Or la sua conosciam come la nostra

Virtù. Noi primi rinnovar la guerra

Tristo avviso saria, ma provocati

Non temiam d'accettarla. Il meglio avanza;

845               L'oprar segreto, le coperte vie,

Sì che l'arte o l'ingegno a noi consenta

Quanto la spada non potè. Dimostro

Chiaramente gli sia che solo a mezzo

Vinse colui che colla forza ha vinto.

850        Ed altri mondi generar lo spazio

Forse ancora non può? Correa pur voce

Lassù che Dio volesse un orbe novo

Crear per farlo sede ad una stirpe

Quanto i figli del cielo a lui diletta:

855        Qui noi da prima irromperem, non fosse

Che sol per esplorarlo; ivi od altrove;

Perocchè rinserrar questa infernale

Bolgia non può gli spiriti celesti

In sempiterna prigionia; nè queste

860               Tenebre ricoprirli eternamente.

Ma consigli più gravi in pien consesso

Denno l'impresa maturar. La pace

Cosa è omai disperata; e chi di noi

Sosterrebbe abbassarsi? Or dunque guerra,

865               Guerra coverta o manifesta» - Tacque

L'arcangelo, ciò detto, e mille e mille

(Segnal d'applauso) fiammeggianti acciari

Per l'aer rotëâr, dalle guaìne

Cherubiche sfuggiti. Un subitano

870               Splendor s'effuse e rischiarò l'abisso.

Levâr que' furibondi un gran muggito

Contro l'Eterno; dei branditi ferri

Percossero gli scudi, e suscitando

Fiero suono di guerra, alla celeste

875        Vôlta ulularo l'infernal disfida.

Non lunge s'innalzava un arduo monte

Che vampe ad or ad ora e vorticoso

Fumo esalava dall'orribil cresta.

Ma dal giogo alle falde era lucente

880        D'una solida gromma, indizio certo

Che nell'ime latèbre eran sepolte

Metalliche sostanze, opra del solfo.

Uno stuol numeroso a questo monte

Rapidissimo vola, in quella guisa

885        Che veggiam con mannaje e ferrei pali

Precorrere la schiera i guastatori

Ad alzar terrapieno o far trincera.

Mammòn li conducea: fra quanti spirti

Caddero dalle sfere il men sublime;

890               Perocchè la sua mente e gli occhi suoi

Pur nel cielo eran chini, e delle soglie,

Ricche d'oro e di gemme, assai più vaghi

Che d'ogni santo glorïoso aspetto,

Di che son l'alme in visïon beate.

895               L'uomo istigato da costui s'immerse

Nel centro della terra, e la spietata

Mano cacciò ne' visceri materni

Per rapirne i tesori, oh meglio ascosi!

Squarciò la turba di Mammone un fianco

900        Della montagna, e dalla gran ferita

Masse d'oro ne trasse. E maraviglia

Non è se l'oro nell'inferno abbonda;

Perocchè non v'ha suol più dell'inferno

Degno di fecondar quel prezïoso

905               Veleno. - Oh venga, venga e inarchi il ciglio

Chi tien l'opre mortali in tanto pregio,

Chi di Menfi s'ammira e di Babele!

Oh! qui venga, e vedrà come i perversi

Angeli ponno soverchiar le moli

910        Più salde e più famose; e quanto i regi

Con inesausta secolar fatica

Di braccia innumerabili compièro,

Compiasi per costoro in picciol'ora!

Sullo spazzo vicino in preparate

915               Fornaci, a cui le ardenti onde del lago

Trascorrono di sotto, un'altra ciurma

Fonde la massa mineral, separa

I commisti metalli e l'ôr divide,

Con arte mira, dalla feccia. All'opra

920        Di piantar nel terren le varie forme

S'affaccenda una terza, e, per segreti

Cunicoli dedotta, la bollente

Congerie invasa ne' capaci ordigni.

Tale un soffio di vento in varie canne

925               Dell'organo intromesso ogni latente

Suon ne risveglia. - Ed ecco in un baleno

Quasi ondoso profumo sollevarsi

Mirabile edificio al suon concorde

Di voci armonïose; e come un tempio

930               D'ogn'intorno suffolto e ghirlandato

Di pilastri e di doriche colonne,

Che fan saldo puntello all'architrave

Tutto d'oro. Di splendide cornici

E di stupendi istorïati fregi

935        La gran mole non manca; e sculta in oro

L'ampia vôlta n'ha pur; nè mai Babele,

Nè Menfi mai spiegaro in tutto il prisco

Loro splendor dovizia a questa uguale

Per ornar di Seràpide o di Belo

940        Il divin penetrale, o il regio soglio

De' lor monarchi vanitosi, quando

Di fasto e di ricchezze era l'Assiro

Coll'Egizio a contesa. - Alfin l'altezza

Del pinacolo aggiunta, immantinente

945               L'enee porte s'apriro. Ed ecco offrirsi

E l'aule spazïose e il ricco e terso

Pavimento agli sguardi stupefatti.

Per artificio di sottil magia

Pendono dalla vôlta in lunga fila,

950        Dalla nafta nudrito e dall'asfalto,

Lampade costellate e faci ardenti,

E mandano un chiaror come venisse

Dal firmamento. Accorrono le turbe

A mirar l'edificio, e chi dell'opra,

955        Chi del fabbro si loda. Era già nota

Quell'artefice man per molte rôcche

Ne' cieli edificate, ove dimora

Han gli angeli scettrati, e stanvi assisi

Quasi principi in soglio. Iddio li pose

960        In quel seggio elevato, onde ciascuno

Nella sua gerarchia governi e regga

La milizia immortal: nè sconosciuto

Fu quel fabbro alla terra. Adoratori

V'ebbe in Grecia e nel Lazio, e di Vulcano

965        Nome portò. Lanciollo Egioco irato,

Così favoleggiâr, dai cristallini

Spaldi del cielo, ed ei da mane a sera

Un lungo estivo dì per l'ampio vano

Precipitò come stella cadente,

970               Finchè discese col tramonto in Lenno

Isola antica dell'Egèo. Menzogna!

Cadde in vece il dimòn colle sue ciurme

Gran tempo pria, nè valsero al caduto

Le costrutte sugli astri eccelse torri,

975        Nè le macchine sue. L'Onnipossente

Lo rinverse dal ciel con tutti i suoi

Compagni industri a fabbricar nel cupo.

Con tremendo apparecchio e per supremo

Comandamento proclamato intanto

980        Gli alati araldi a sonito di tromba

Una solenne general consulta

Nel Pandemonio, maestosa reggia

Destinata a Satano e ai suoi ministri.

Spandesi la chiamata, e d'ogni parte

985               Concorrono i più degni e i più distinti

Di ciascuna falange; e dietro a questi

Turbe minori di seguaci. Ingombri

Vestiboli ne sono, androni e soglie,

Ma la sala maggior n'è più gremita,

990               Benchè pari al gran campo, ove, presente

Il Sultan, che d'assedio li stringea,

Scendeano i cavalieri a correr giostre

Od a pugna mortal col fior dell'armi

Saracene.