Il re ne ha fatto un trofeo. Non ho mai sentito avventure più straordinarie di quelle di Jerry. Vorrei tanto raccontarle a Mr Hobbs».
A volte, quando era brutto tempo e i passeggeri restavano nel salone sottocoperta, qualcuna delle sue nuove conoscenze adulte lo convinceva a raccontare le avventure di Jerry, e lui iniziava a parlare con grande fervore: di sicuro, su tutte le navi che solcavano l’Oceano Atlantico non c’era viaggiatore più popolare del piccolo Lord Fauntleroy: era sempre disposto a divertire la gente con i suoi discorsi, e l’ingenua serietà che metteva nelle sue parole infantili aveva un fascino tutto particolare.
«Tutti trovano molto interessanti le avventure di Jerry», diceva alla mamma, «anche se qualche volta mi viene da dubitare che sia tutto vero... Però, insomma, sono fatti capitati proprio a lui, a Jerry in persona... Certo, si tratta di cose davvero molto strane, e mi sembra pure che ogni tanto si scordi qualcosa o faccia qualche piccolo errore... Ma in fondo bisogna pensare che è stato scotennato tante di quelle volte... Quando si viene scotennati così spesso probabilmente si finisce per perdere un po’ la memoria».
Undici giorni dopo aver salutato il suo amico Dick il piccolo Cedric arrivò a Liverpool, e la notte seguente la carrozza in cui viaggiava insieme alla mamma e a Mr Havisham si fermò davanti al cancello di Court Lodge. Nel buio non riuscirono a scorgere gran che della casa: Cedric distinse soltanto una strada fiancheggiata da due alti filari di alberi, e dopo che la carrozza ebbe percorso un breve tratto sotto la volta del fogliame vide una porta aperta dalla quale usciva un fascio di luce.
Mary li aveva preceduti per poter accogliere confortevolmente Mrs Errol. Quando Cedric balzò giù dalla carrozza vide due servitori nell’atrio ampio e illuminato, mentre Mary era nel vano della porta.
«Mary, sei qui, sei qui!», gridò. «Tesoro, guarda, c’è Mary!», e poi le stampò un bacio sulle gote ruvide e rosse.
«Sono davvero felice di vedervi, Mary», disse Mrs Errol con la sua voce pacata. «È davvero un grande conforto per me... Mi fa sentire un po’ meno estranea...», aggiunse, porgendole la mano che Mary strinse quasi a volerle infondere coraggio, poiché capiva bene quanto dovesse sentirsi “estranea” quella giovane madre che aveva appena lasciato il suo paese e si apprestava a lasciare anche suo figlio.
La servitù inglese guardava incuriosita il ragazzo e sua madre. Avevano udito ogni sorta di chiacchiere sul loro conto; sapevano quanto astioso fosse il vecchio conte e sapevano perché Mrs Errol dovesse vivere a Court Lodge e il suo bambino al castello; inoltre, erano al corrente di quale enorme ricchezza sarebbe toccata al ragazzo, così come conoscevano benissimo il carattere autoritario del nonno, la sua gotta e il suo temperamento tirannico.
«Non lo aspettano tempi facili, povero piccolo!», commentavano fra di loro. Ma ancora non sapevano che tipo sarebbe stato il piccolo lord, né conoscevano il carattere del futuro Conte di Dorincourt.
Cedric si tolse il soprabito, come uno che non è abituato a essere servito, e prese a guardarsi intorno: alle pareti del vasto salone si vedevano quadri, corna di cervo e varie altre cose che gli parvero alquanto curiose, dal momento che non aveva mai visto nulla del genere prima di allora, nelle case comuni.
«Tesoro», disse, «non trovi che questa casa sia proprio bella? È molto, molto grande. Sono felice che tu possa abitare qui».
Era davvero enorme a paragone di quelle stanzette nella misera stradina di New York, ed era assai graziosa e accogliente.
Mary li condusse al piano di sopra, in una stanza tappezzata di stoffa chiara, dove una bella fiamma crepitava nel camino e un grosso gatto persiano bianco come la neve dormiva beatamente sul tappeto accanto al fuoco.
«È stata la governante del castello a mandarglielo», spiegò Mary indicando la bestiola. «È una brava donna piena di premure, che ha fatto di tutto perché ogni cosa fosse a posto per il vostro arrivo. L’ho incontrata solo per pochi minuti, ma mi sono bastati per capire che era molto affezionata al capitano e che è stata molto in pena per lui. Ha detto che quel gatto sul tappeto le avrebbe reso la stanza più accogliente... Conosceva il capitano Errol fin da quando era piccino: ha detto che era un bimbo bellissimo, e che anche da adulto aveva sempre una parola gentile per tutti, grandi e piccoli. Allora io le ho risposto: “Il capitano ha lasciato un figlio che gli assomiglia come una goccia d’acqua e che certamente è il bambino più bello del mondo”».
Quando si furono sistemati scesero al pianterreno, in un’altra grande sala: il soffitto non era molto alto, i mobili erano massicci e ben fatti, le sedie comode con alti schienali; su vari scaffali stavano in bella mostra diversi oggetti strani e graziosi. Davanti al caminetto si vedeva una pelle di tigre, e ai lati due poltrone.
Il grosso gatto bianco aveva ricambiato le carezze di Lord Fauntleroy facendo le fusa e seguendolo di sotto, e quando il bambino si era sdraiato sul tappeto gli si era acciambellato accanto come desideroso di fare amicizia. Cedric era così contento che avvicinò il viso al musetto dell’animale e si mise a giocare con lui senza badare troppo a ciò che sua madre e l’avvocato si stavano dicendo.
Stavano infatti parlando sottovoce, e Mrs Errol appariva pallida e turbata.
«Non dovrà andare via già stasera?», stava chiedendo. «Al- meno stasera resterà con me?»
«Sì», rispose Mr Havisham con lo stesso tono basso, «non è necessario che vada stasera. Subito dopo cena andrò io stesso al castello a informare il conte del vostro arrivo».
Mrs Errol gettò uno sguardo a Cedric: se ne stava tranquillamente sdraiato sulla pelle gialla striata di nero: il fuoco rischiarava il suo grazioso faccino e faceva brillare i riccioli scomposti che gli ricadevano sul tappeto; il grosso gatto faceva le fusa, pigro e soddisfatto, godendo le carezze di quella manina gentile sul suo pelo.
Mrs Errol ebbe un debole sorriso.
«Il conte non sa cosa mi sta portando via», mormorò mestamente; poi fissò l’avvocato e soggiunse: «Riferitegli, vi prego, che preferirei non avere il suo denaro».
«Quale denaro?», chiese Mr Havisham. «Non intenderete parlare della rendita che vi ha offerto?»
«Proprio quella», rispose la donna con semplicità. «Prefe- risco non prenderla. Sono già costretta ad accettare questa casa, di cui lo ringrazio perché mi permette di restare vicina a mio figlio, ma ho del denaro, quanto basta per vivere modestamente, e non ne voglio altro... Se mi odia così tanto, accettando i suoi soldi mi sembrerebbe quasi di vendergli Ceddie, mentre invece glielo affido soltanto perché lo amo a tal punto da dimenticare me stessa per il suo bene, e perché suo padre avrebbe desiderato così».
Mr Havisham si accarezzò con aria pensosa il mento.
«Questo è piuttosto strano», disse. «Il conte si arrabbierà. Non riuscirà a capirlo».
«Io credo invece che capirà, dopo averci riflettuto», rispose calma Mrs Errol.
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