È questo il suo nome, e vive in un castello, anzi, in due o tre castelli, mi sembra. E mio papà, che è morto, era il suo figlio più piccolo; io non sarei mai diventato un conte e nemmeno un lord se mio padre non fosse morto, ma del resto neppure mio padre lo sarebbe diventato se non fossero morti i suoi due fratelli maggiori... Il fatto però è che sono morti tutti e non c’è nessun altro bambino, quindi non rimango che io... Ecco, per questo mio nonno mi vuole in Inghilterra».

Mr Hobbs continuava a sudare sempre di più. Si asciugava la testa e la fronte pelata respirando affannosamente. Comin- ciava confusamente a rendersi conto che era davvero accaduto qualcosa che aveva dell’incredibile; guardava e riguardava quel ragazzino seduto sulla scatola di biscotti, con quell’espressione innocente e ansiosa negli occhi, e si accorgeva che non era affatto cambiato: era esattamente come il giorno prima, un bimbo buono e grazioso nel suo abitino nero con la cravatta rossa. E più lo guardava, più tutte le sue idee sulla nobiltà cominciavano a vacillare. Mentre lui si sentiva alquanto scosso e disorientato, Cedric continuava a comportarsi con semplicità, senza affatto scomporsi di fronte a un fatto tanto straordinario.

«Qua... quale sarebbe dunque il tuo nome?», balbettò Mr Hobbs.

«Cedric Errol, Lord Fauntleroy», rispose Cedric. «Così mi ha detto Mr Havisham. Quando sono entrato in salotto mi ha guardato e ha esclamato: “E così questo è il piccolo Lord Fauntleroy!”».

«Caspita!...», balbettò Mr Hobbs. «Che mi pigli un colpo!...».

«Caspita» era l’esclamazione che di solito Hobbs usava per esprimere stupore e meraviglia: in quei momenti non trovava nulla di meglio da dire.

Cedric, comunque, trovò che quella parola si adattasse a pennello alla situazione. Aveva talmente rispetto e stima per Mr Hobbs che approvava qualsiasi cosa uscisse dalla sua bocca: non aveva ancora frequentato la buona società e non poteva sapere che i modi di dire usati talvolta dal suo amico non erano considerati fra i più educati. Certo, capiva che tra lui e la mamma c’era una grande differenza, ma la mamma era una signora, e le donne, si sa, sono sempre molto diverse dagli uomini.

Guardò Mr Hobbs con un’occhiata alquanto malinconica.

«L’Inghilterra è piuttosto lontana, vero?», chiese.

«Dall’altra parte dell’Oceano Atlantico», rispose il droghiere.

«Proprio questa è la cosa peggiore di tutte», sospirò Cedric. «Forse non potremo vederci per un bel pezzo. Non riesco neppure a pensarci, Mr Hobbs».

«È destino che ci si debba separare dagli amici migliori», commentò l’altro.

«Già!...», annuì Cedric. «E noi siamo buoni amici da tanti di quegli anni!...».

«Fin da quando sei nato. Avevi appena sei mesi quando ti ho visto per la prima volta a passeggio in strada».

«Eh!...», sospirò Cedric. «Allora non avrei mai pensato di diventare conte!».

«Credi proprio che non ci sia nessun modo per venirne fuori?», chiese il droghiere.

«Ho paura di no», rispose Cedric. «La mamma ha detto che il papà avrebbe voluto così. Ma se proprio devo diventare conte, c’è almeno una cosa che posso fare: essere un buon conte. Non voglio diventare un tiranno, e se per caso dovesse esserci un’altra guerra con l’America, farei di tutto per fermarla».

La sua conversazione con Mr Hobbs fu molto lunga e seria. Dopo il colpo iniziale, il droghiere non aveva mostrato il livore che Cedric si era aspettato; si sforzava di adattarsi alle circostanze, e prima di terminare il discorso fece una gran quantità di domande. Siccome Cedric non era in grado di fornire tutte le risposte, Mr Hobbs, che era alquanto ferrato sull’argomento, cercò in ogni modo di venirgli incontro. Spiegò un mucchio di cose riguardo a conti e marchesi, e anche sui vari possedimenti dei lord, in un modo che probabilmente avrebbe lasciato sbigottito Mr Havisham, se solo avesse potuto sentirlo.

Del resto, Mr Havisham sarebbe rimasto stupito da molte altre cose. Aveva trascorso tutta la sua vita in Inghilterra e non conosceva affatto gli americani e il loro modo di vivere. Da circa quarant’anni era legato al Conte di Dorincourt per motivi professionali e ne conosceva a perfezione i vasti possedimenti e le enormi ricchezze, e ora, anche se in modo di- staccato, da uomo d’affari qual era, provava un certo interesse per quel ragazzino che sarebbe stato il prossimo Conte di Dorincourt, ovvero il futuro padrone di tutto. Sapeva di tutti i dispiaceri che i figli maggiori avevano procurato al vecchio conte, nonché della sua collera per il matrimonio del capitano Cedric con un’americana; sapeva anche quanto egli odiasse quella gentile e giovane vedova e come ne parlasse con acredine e con disprezzo. La considerava una volgare ragazza americana che, sapendo il capitano figlio di un conte, lo aveva intrappolato con il matrimonio. Anche il vecchio avvocato aveva finito per credere a quella versione: durante la sua vita aveva avuto modo di conoscere un gran numero di persone egoiste e avide di denaro, e poi lui pure non aveva certo una buona opinione degli americani.

Quando era arrivato in quella povera stradina e la sua carrozza si era fermata davanti al piccolo portone della modesta casetta, era rimasto piuttosto turbato: l’idea che il futuro Conte di Dorincourt, delle Torri di Wyndham, di Chorlorth e di tutti gli altri magnifici possedimenti fosse nato e cresciuto in un caseggiato con una drogheria all’angolo, gli sembrava francamente inaccettabile.