Era tutta una curiosa faccenda di conti: suo nonno, che non aveva mai conosciuto, era un conte; e conte sarebbe diventato anche lo zio più grande, se non fosse morto per una caduta da cavallo; l’altro zio sarebbe potuto a sua volta diventare conte, se durate un soggiorno a Roma non fosse stato colpito da una forte febbre improvvisa che ne aveva causato la morte... Suo padre pure, se fosse vissuto, sarebbe stato conte, ma siccome erano tutti morti e rimaneva soltanto Cedric, era logico che proprio lui, alla morte del nonno, avrebbe ereditato il titolo. E per il momento era Lord Fauntleroy.
Quando udì per la prima volta questo intricato discorso, Cedric divenne pallidissimo.
«Oh», esclamò, «ma io non vorrei mai essere un conte!... Nessuno dei miei amici è conte, perché mai dovrei esserlo io?».
Ma la cosa sembrava inevitabile. E quella sera, quando Cedric e sua madre si sedettero accanto alla finestra aperta sulla squallida stradina, parlarono a lungo di quell’argomento. Cedric se ne stava rannicchiato su uno sgabello nella sua posa preferita, tenendosi un ginocchio tra le mani, il visetto concentrato e accalorato nello sforzo di afferrare la situazione. Suo nonno desiderava tanto che partisse per l’Inghilterra, e la mamma era d’accordo con lui.
«Sono convinta che tuo padre avrebbe voluto così, Cedric», diceva guardando fuori con aria mesta. «Lui amava molto la sua casa... e poi ci sono parecchie altre cose di cui un bambino non si può rendere conto. Sarei una madre egoista se non ti lasciassi andare, e quando sarai adulto capirai il perché».
Cedric scosse tristemente la testa. «Mi dispiacerà parecchio lasciare Mr Hobbs», disse. «Credo che sentirà la mia mancanza, e io pure sentirò la sua. Sentirò la mancanza di tutti...».
Il giorno appresso, quando tornò di nuovo Mr Havisham – l’avvocato di fiducia del conte di Dorincourt venuto dall’In- ghilterra a a prendere Lord Fauntleroy – il bambino ebbe ulteriori spiegazioni, ma non lo consolò affatto apprendere che da grande sarebbe stato molto ricco e che avrebbe avuto castelli da ogni parte, vasti parchi e profonde miniere, enormi tenute e possedimenti. Era piuttosto preoccupato riguardo al suo amico, Mr Hobbs, e dopo la colazione decise di andare a trovarlo in negozio, con il cuore in subbuglio per l’agitazione.
Lo trovò immerso nella lettura del giornale, e gli si accostò con aria assorta. Sapeva bene che quanto gli era accaduto sarebbe stato un bel colpo per il droghiere, e strada facendo si era arrovellato a pensare quale fosse il modo migliore per dargli una simile notizia.
«Salve!», disse finalmente Mr Hobbs. «Buongiorno».
«Buongiorno», rispose Cedric.
Non si inerpicò come al solito sull’alto sgabello, ma andò a sedersi sopra una scatola di biscotti: rannicchiò le ginocchia e rimase in silenzio per un bel pezzo, finché Mr Hobbs non gli lanciò un’occhiata interrogativa al di sopra del giornale.
«Salve!», disse di nuovo.
Cedric si fece coraggio e disse: «Mr Hobbs, ricordate di cosa parlavamo ieri mattina?»
«Oh, me’...», rispose il droghiere, «dell’Inghilterra, mi sembra...».
«Sì», continuò Cedric, «ma cosa dicevamo esattamente quando Mary è venuta a prendermi?».
Mr Hobbs si grattò la testa.
«Mi sembra che stavamo parlando della regina Vittoria e dell’aristocrazia...».
«Proprio così», disse Cedric, «e per la precisione parlavamo di conti, ricordate?»
«Come no», rispose Mr Hobbs, «e gliene abbiamo dette quattro, accidenti!».
Cedric si fece rosso fino alla radice dei capelli. Non si era mai sentito così in imbarazzo in vita sua, e temeva di mettere in imbarazzo anche Mr Hobbs.
«Avete detto che non avreste mai voluto vederne uno seduto sulle vostre scatole di biscotti...».
«L’ho detto eccome!», annuì convinto il droghiere. «Mi piacerebbe proprio che ci provassero!».
«Mr Hobbs», proseguì Cedric, «proprio in questo momento uno di loro sta seduto sulle vostre scatole di biscotti».
Il droghiere quasi cascò dalla sedia per la sorpresa.
«Cosa?», farfugliò.
«Ecco», spiegò Cedric con modestia, «io... io sono un conte, o almeno sto per diventarlo... Non voglio ingannarvi oltre».
Mr Hobbs appariva sconvolto. Si alzò e andò a controllare il termometro.
«Oggi è una giornata molto afosa. Il caldo deve averti dato alla testa!», esclamò tornando a esaminare il suo giovane amico. «Dimmi, come ti senti? Hai dei dolori? Da quanto ti senti così?».
Posò la sua grossa mano sulla testina del piccolo. La situazione diveniva sempre più imbarazzante.
«Grazie», disse Cedric, «ma io sto benissimo e non ho nessuna allucinazione... Mi dispiace, Mr Hobbs, ma questa è proprio la verità. È per questo che Mary era venuta a prendermi. Mr Havisham stava parlando con la mamma, e lui è un avvocato».
Mr Hobbs si lasciò ricadere sulla sedia e prese ad asciugarsi la fronte con un fazzoletto.
«Uno di noi due è sicuramente vittima di una brutta insolazione!», esclamò.
«No», ribatté Cedric, «non è così. Dobbiamo rassegnarci, caro Mr Hobbs. Mr Havisham è venuto apposta dall’Inghil- terra per darmi questa notizia. È mio nonno che l’ha mandato».
Mr Hobbs scrutò con attenzione il visetto serio e innocente che gli stava dinanzi.
«E chi sarebbe tuo nonno?», chiese.
Cedric estrasse di tasca un pezzetto di carta su cui era annotato qualcosa con una scrittura tonda e irregolare.
«Non riesco mai a ricordarlo bene, così me lo sono segnato qui», disse; e lesse scandendo lentamente: «John Arthur Molyneux Errol, Conte di Dorincourt.
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