si lasciò condurre da quello, e si vide che, nella calca brulicante, c'era uno stretto passaggio libero, che forse separava due partiti; sembrava confermarlo anche il fatto che nelle prime file, a destra e a sinistra, K. non vedeva nemmeno un viso rivolto verso di lui, ma solo la schiena di persone che indirizzavano parole e gesti solo a persone del proprio partito. La maggior parte era vestita di nero, con vecchie giacche della festa, lunghe e cascanti. Se non fosse stato l'abbigliamento a sconcertarlo, K. avrebbe preso il tutto per un'assemblea politica di quartiere.
All'altro capo della sala, dove K. venne condotto, su una pedana bassissima, anch'essa gremita di gente, c'era un tavolino disposto per traverso dietro al quale, vicino al bordo della pedana, sedeva un uomo piccolo, grasso e ansimante, che stava discorrendo, fra grandi risate, con uno in piedi dietro di lui - questo aveva appoggiato il gomito allo schienale della seggiola e incrociato le gambe. Ogni tanto agitava il braccio in aria, come se facesse la caricatura di qualcuno. Il ragazzo che guidava K. trovò difficoltà a fare il suo annuncio. Già due volte, alzandosi sulla punta dei piedi, aveva tentato di raggiungere il suo scopo, ma non era stato notato dall'uomo là sopra. Solo quando uno di quelli che stavano sul podio ebbe richiamato l'attenzione sul ragazzo, l'uomo si volse verso di lui e, curvandosi in basso, ascoltò il messaggio appena sussurrato. Poi estrasse l'orologio e lanciò una rapida occhiata a K. «Lei si sarebbe dovuto presentare un'ora e cinque minuti fa», disse. K. voleva rispondere qualcosa, ma non ne trovò il tempo, perché non appena l'uomo ebbe finito di parlare, nella metà destra della sala si levò un mormorio generale. «Si sarebbe dovuto presentare un'ora e cinque minuti fa», ripeté l'uomo alzando la voce, e lanciò anche una rapida occhiata giù in sala. Subito anche il mormorio crebbe e, visto che l'uomo non diceva più niente, si spense solo dopo un po'. La sala adesso era molto più silenziosa di quando K. era entrato. Soltanto quelli su in galleria non la smettevano di fare le loro osservazioni. Per quanto lassù la penombra, il fumo e la polvere permettevano di distinguere, sembravano vestiti peggio di quelli di sotto. Molti di loro avevano portato dei cuscini e li avevano sistemati tra la testa e il soffitto per non farsi male.
K. aveva deciso piuttosto di stare a osservare che di parlare, rinunciò quindi a difendersi per il suo presunto ritardo limitandosi a dire: «Se anche sono arrivato troppo tardi, adesso eccomi qui». Venne un applauso, sempre dalla metà destra della sala. Gente facile da conquistare, pensò K., infastidito ora dal silenzio che veniva dalla metà sinistra, che stava giusto dietro a lui e dalla quale si era levato solo qualche applauso isolato. Rifletté su quello che avrebbe potuto dire per conquistare il favore di tutti insieme, o, se non era possibile, almeno per un po' anche quello degli altri.
«Sì», disse l'uomo, «ma ora non sono più tenuto a interrogarla». Di nuovo il mormorio, ma questa volta per un malinteso, perché l'uomo zittì il pubblico con un cenno della mano, e proseguì: «Tuttavia oggi, in via eccezionale, lo farò. Ma un simile ritardo non dovrà più ripetersi. E ora venga avanti!». Qualcuno saltò giú dalla pedana, liberando un posto per K.
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