Quando ritornò nella stanza accanto, la porta di fronte si aprì e la signora Grubach fece per entrare. La si vide solo un istante perché, appena riconosciuto K., rimase visibilmente imbarazzata, chiese scusa, sparì e chiuse con estrema cautela la porta. «Entri pure», aveva appena fatto in tempo a dire K. Ma ora se ne stava in piedi in mezzo alla stanza con i suoi documenti, guardò ancora verso la porta che non si riapriva e si scosse solo a un richiamo delle guardie che sedevano a un tavolino vicino alla finestra e, come K. ora si accorse, consumavano la sua colazione. «Perché non è entrata?», chiese. «Non può», disse la guardia più alta. «Lei è in arresto». «Come posso essere in arresto? In questo modo, poi». «Non ricominci adesso», disse la guardia e intinse una fetta di pane imburrata nel vasetto del miele. «A queste domande non rispondiamo». «Dovrà rispondere», disse K. «Ecco i miei documenti d'identità, fatemi vedere ora i vostri e soprattutto il mandato di arresto». «Santo cielo!», disse la guardia, «possibile che lei non riesca a rassegnarsi alla sua situazione e per giunta sembri mettercela tutta per irritarci inutilmente, noi che adesso le siamo forse più vicini di qualsiasi altro essere umano!». «È così, creda», disse Franz, e non portò alla bocca la tazza di caffè che teneva in mano, ma fissò K. con un lungo sguardo, probabilmente carico di significato, ma incomprensibile. K. indulse senza volere a un muto colloquio con Franz, poi batté la mano sui suoi documenti e disse: «Ecco i miei documenti d'identità». «Che ce ne importa a noi?» gridò la guardia più alta. «Si comporta peggio di un bambino. Ma che cosa vuole? Vuole chiudere in fretta il suo grosso, maledetto processo discutendo con noialtre guardie di documenti e mandati? Noi siamo impiegati in sottordine che ne capiscono a malapena di documenti d'identità e che con la sua faccenda hanno a che fare solo per sorvegliarla dieci ore al giorno ed essere pagati per questo. Tutto qui quello che siamo, e tuttavia siamo in grado di comprendere che le alte autorità da cui dipendiamo, prima di disporre un simile arresto s'informano con esattezza sui motivi dell'arresto e sulla persona dell'arrestato. Qui non c'è errore. Le nostre autorità, per quanto le conosco, e conosco solo i gradi più bassi, non è che cerchino la colpa nella popolazione, ma, come è detto nella legge, vengono attratte dalla colpa e devono mandare noi guardie. Questa è legge. Dove ci sarebbe un errore?». «Questa legge non la conosco», disse K. «Tanto peggio per lei», disse la guardia. «Esiste solo nelle vostre teste, del resto», disse K. Cercava in qualche modo di penetrare nei pensieri delle guardie, di volgerli a suo favore o di farli suoi.
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