Il professore (Italian Edition)

 

 

Opere di Charlotte Brontë
pubblicate dalla Fazi Editore
Villette
Shirley

Le strade
282

I edizione digitale: aprile 2016
© 2016 Fazi Editore srl
Via Isonzo 42, Roma
Tutti i diritti riservati

Titolo originale: The Professor
Traduzione dall’inglese di Martina Rinaldi

ISBN: 978-88-7625-991-3

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Charlotte Brontë

 

Il professore

 

 

 

traduzione di Martina Rinaldi

 

 

 

 

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Questo piccolo libro è stato scritto prima di Jane Eyre e di Shirley, ma non è possibile considerarlo un primo tentativo. Non si tratta di un primo tentativo, poiché la penna che lha scritto già andava consumandosi nella pratica da diversi anni. Prima di cominciare Il professore non avevo pubblicato niente, ma nei molti tentativi immaturidistrutti subito dopo averli scrittiavevo abbandonato il mio precedente gusto per lornamentale o il ridondante nella composizione, arrivando a preferire uno stile semplice e diretto. Contemporaneamente, per quanto riguarda gli avvenimenti, mi ero data una serie di regole del tipo che sarebbero generalmente approvate nella teoria, ma i cui risultati procurano spesso allautore più sorpresa che soddisfazione. Mi dicevo che il mio protagonista doveva farsi strada nella vita come avevo visto fare agli uomini nella realtà, che non doveva avere in tasca neppure uno scellino che non si fosse guadagnato da solo, che nessuna circostanza improvvisa lavrebbe elevato dun tratto alla ricchezza e a una posizione di prestigio, che in ogni caso si sarebbe guadagnato col sudore della fronte qualsiasi forma di sussistenza, che prima di trovare un posto in cui potersi riparare e riposare avrebbe dovuto scalare almeno a metà la collina delle avversità, e non avrebbe sposato una donna bella, ricca o di un certo rango. Avrebbe condiviso la sorte di Adamo in quanto figlio di Adamo: fatica per tutta la vita e una coppa di felicità misurata e composta.

Con gli anni, tuttavia, ho scoperto che gli editori non approvano affatto questo metodo, e preferiscono composizioni più fantasiose e poetiche, più affini a una ricca ed elaborata immaginazione, a uninclinazione per il pathos, a sentimenti più teneri, elevati, spirituali... E finché uno scrittore non prova a misurarsi con un manoscritto di questo tipo, non potrà mai sapere quali riserve romanzesche e sentimentali si nascondono nel petto di chi non avrebbe mai sospettato celasse tali tesori. Gli uomini daffari si dice prediligano la realtà, ma a conti fatti questidea si rivela spesso fallace: unappassionata preferenza per ciò che è selvaggio, straordinario, eccitante, per linsolito, il sorprendente e il tormento agita molte anime che in superficie appaiono calme e sobrie.

Stando così le cose, il lettore capirà che questo breve scritto, per aver raggiunto la forma di un libro stampato, deve aver vissuto diverse battaglie (come in effetti è stato), sebbene la battaglia peggiore e la prova più ardua siano ancora da venire, eppure si consola, governa la paura, sappoggia al sostegno delle aspettative misurate e sussurra, alzando locchio verso quello del pubblico: «Chi è in basso non tema di cadere».

CHARLOTTE BRONTË, 1850

Capitolo I

L’altro giorno ho guardato tra le mie carte nella scrivania e ho trovato questa copia di una lettera che ho inviato un anno fa a un vecchio compagno di scuola:

Caro Charles,

non si può dire che fossimo due tipi alla mano quando eravamo insieme a Eton: tu eri una creatura sarcastica, rigorosa, pungente, a sangue freddo. Il mio ritratto non tenterò di farlo, ma da quanto ricordo non era poi tanto attraente. Sbaglio? Non saprei quale magnetismo animale ci abbia attratto l’uno verso l’altro, personalmente non ho mai provato per te nulla dei sentimenti di Oreste e Pilade, e ho ragione di credere che tu fossi altrettanto libero da ogni possibile romanticismo nei miei confronti. Eppure passeggiavamo e parlavamo sempre, fuori dalla scuola; quando l’argomento della conversazione erano i nostri compagni o maestri ci intendevamo bene, e quando io esprimevo un qualche sentimento di affetto o di vago amore per qualcosa di eccellente o di molto bello, che fosse animato o inanimato, la tua freddezza sardonica non mi smuoveva. Allora come oggi mi sentivo superiore a quella censura.

È trascorso molto tempo da quando ti ho scritto, e più ancora da quando ti ho visto. Poi l’altro giorno ho per caso preso in mano un giornale del tuo paese e ho letto il tuo nome. Ho iniziato a pensare ai vecchi tempi, a ricordare tutto quello che è successo da quando ci siamo separati; e così mi sono seduto e ho cominciato questa lettera. Non so cos’abbia fatto tu nel frattempo, ma se avrai voglia di ascoltare potrai sapere come va il mondo per me.

Innanzitutto, dopo aver lasciato Eton feci un colloquio di lavoro con i miei zii materni, Lord Tynedale e l’onorevole John Seacombe. Mi proposero di entrare nella Chiesa e, se avessi accettato, Lord Tynedale mi avrebbe offerto il beneficio di Seacombe, che è in sua dotazione. L’altro zio, il signor Seacombe, mi lasciò intendere che, se fossi diventato parroco di Seacombe-cum-Scaife, avrei potuto prendere come sposa, padrona di casa e capo della parrocchia una delle mie sei cugine, sue figlie, nessuna delle quali mi piace affatto.

Dunque rinunciai sia alla Chiesa sia al matrimonio. Un buon pastore è una buona cosa, ma io sarei stato pessimo. Quanto alla moglie... oh, che incubo il pensiero di dovermi legare per tutta la vita a una delle mie cugine! Sono senz’altro raffinate e graziose, ma non c’è nulla tra le loro qualità e attrattive che tocchi una sola corda del mio petto.

Il pensiero di trascorrere le serate d’inverno davanti al camino nel soggiorno della parrocchia di Seacombe con una di loro – la grande e statuaria Sara, ad esempio... No, in simili condizioni sarei un cattivo marito così come un cattivo pastore.

Quand’ebbi declinato le loro offerte, gli zii mi chiesero che intenzioni avessi. Risposi che ci avrei pensato. Mi ricordarono che non possedevo grandi ricchezze, né opportunità di averne e, dopo un lungo silenzio, Lord Tynedale mi chiese severamente se «non avessi intenzione di seguire le orme di mio padre mettendomi nel commercio». Io non ci avevo mai pensato. Non credo di essere adatto a diventare un buon commerciante, il mio gusto e la mia ambizione non spingono in quella direzione, ma tale fu il disprezzo sul volto di Lord Tynedale nel pronunciare la parola “commercio”, tale il sarcasmo arrogante del suo tono, che la mia decisione fu immediata. Mio padre per me era solo un nome: un nome che però non mi piaceva sentir pronunciato con un ghigno sprezzante. Risposi subito con un certo calore: «Non potrei fare cosa migliore che seguire le orme di mio padre; sì, farò il commerciante e mi darò agli affari». Gli zii non protestarono e ci congedammo con reciproca antipatia.

Ripensando a quello scambio sono convinto di aver fatto bene a rifiutare il fardello del patronato di Tynedale, ma fui uno sciocco a offrire immediatamente le spalle a un altro fardello – che poteva essere più insopportabile e che non era stato ancora provato.

Scrissi subito a Edward – conosci Edward, il mio unico fratello, dieci anni più grande di me, sposato con la figlia di un ricco commerciante e proprietario del fabbricato e dell’azienda che era di mio padre prima che fallisse. Come sai, mio padre, un tempo ritenuto ricco come Creso, andò in bancarotta poco prima di morire e mia madre visse in miseria per circa sei mesi dopo di lui, senza il minimo aiuto da parte dei suoi aristocratici fratelli, perché li aveva offesi a morte sposando Crimsworth, il padrone di una manifattura nello **shire. Passati questi sei mesi mi mise al mondo e poi lei stessa lo lasciò senza molto rammarico, sono portato a credere, dato che non aveva da offrirle grandi speranze o conforti.

I parenti di mio padre si presero cura di Edward, e anche di me, finché non ebbi nove anni. In quel periodo si liberò la carica di rappresentante in un importante municipio della nostra regione; il signor Seacombe si candidò. Mio zio Crimsworth, uno scaltro uomo d’affari, ne approfittò per scrivere una lettera aggressiva al candidato, in cui gli diceva che se costui e Lord Tynedale non avessero iniziato a contribuire per il mantenimento degli orfani della sorella, avrebbe reso nota la loro condotta spregevole e crudele nei confronti della stessa, e avrebbe fatto del suo meglio perché le circostanze fossero sfavorevoli all’elezione di Seacombe. Quel gentiluomo e Lord Tynedale sapevano molto bene che i Crimsworth erano una schiatta senza scrupoli così come sapevano quanto fossero influenti nel paese di X., e facendo di necessità virtù accettarono di coprire le spese della mia educazione. Così arrivai a Eton, dove restai dieci anni. Durante quel periodo Edward e io non ci incontrammo più. Lui, ormai grande, secondo quella che era la sua vocazione si mise nel commercio con tanto zelo, abilità e fortuna che già a trent’anni aveva cominciato ad accumulare una certa ricchezza. Ero aggiornato su queste vicende dalle brevi lettere che ricevevo da lui, tre o quattro volte l’anno.