La breve giornata invernale, come intuivo dal sole già basso in lontananza, stava volgendo al termine. Una gelida nebbiolina ghiacciata andava sollevandosi dal fiume su cui sorge X., lungo le cui rive correva la strada: offuscava il cammino, ma non oscurava il chiaro gelido azzurro del cielo di gennaio. C’era una grande calma, vicino e lontano; l’ora del giorno favoriva una certa tranquillità, perché la gente era ancora tutta indaffarata al chiuso, non essendo arrivata l’ora dell’uscita serale dalle fabbriche. L’aria era piena solo del suono della corrente continua dell’acqua, perché il fiume era profondo e grosso, gonfiato dallo sciogliersi di una recente nevicata. Rimasi un po’ fermo in piedi, poggiato contro un muro, a guardare la corrente: osservavo l’impeto tumultuoso delle onde. Desiderai che la mia memoria fissasse un ricordo chiaro e durevole di quella scena e lo custodisse gelosamente negli anni futuri. L’orologio della chiesa di Grovetown batté le quattro. Sollevai lo sguardo e vidi l’ultimo raggio di sole di quel giorno scintillare rosso attraverso i rami spogli di alcune querce che circondavano la chiesa: quella luce colorò e caratterizzò il quadro come desideravo. Mi fermai finché il dolce, lento suono della campana non si perse nell’aria. Poi – con orecchie, occhi e sensibilità soddisfatti – uscii dalla chiesa e mi incamminai ancora una volta in direzione di X.

Capitolo VI

Tornai in paese affamato. Il pranzo che avevo saltato mi tornava seducente alla memoria e fu con passo svelto e un forte appetito che percorsi la stradina che saliva fino al mio alloggio. Era buio quando aprii la porta d’ingresso ed entrai in casa. Mi domandai se avrei trovato il fuoco acceso: la sera era freddissima e rabbrividii all’idea di una grata piena di cenere fredda.

Fu una piacevole sorpresa entrare nel soggiorno e trovare un bel fuoco e il camino pulito. Avevo appena notato questo dettaglio quando qualcos’altro ancora suscitò la mia meraviglia: la sedia su cui di solito sedevo, davanti al camino, era già occupata. C’era seduta una persona, con le braccia piegate sul petto e le gambe allungate sul tappeto. Miope come sono, e debole com’era la luce delle fiamme, mi ci volle un po’ per riconoscere in questa persona la mia conoscenza, il signor Hunsden. Non potevo certo essere troppo contento di vederlo, dato il modo in cui ci eravamo lasciati la sera prima, e, avvicinandomi al camino, attizzai il fuoco salutandolo con un distaccato «Buonasera». Il mio atteggiamento dimostrava bene quanta poca cordialità provassi; eppure sotto sotto mi domandavo cosa lo avesse spinto fino a lì. Mi domandavo anche quali motivi lo avessero portato a interferire tanto vivacemente tra me e Edward: era a lui, a quanto pareva, che dovevo il mio benvenuto licenziamento. Tuttavia, non potevo permettermi di fargli domande, né di mostrargli alcuna curiosità: se era lui a deciderlo, poteva pure darmi una spiegazione, ma doveva essere un atto volontario. Qualcosa mi disse che stava per entrare in argomento.

«Ha con me un debito di gratitudine...», fu la prima cosa che disse.

«Ah sì?», dissi. «Mi auguro che non si tratti di un debito troppo grosso, sono troppo povero per qualsiasi genere di pendenza».

«Allora dichiari bancarotta all’istante, perché questo è un debito da una tonnellata almeno. Quando sono arrivato ho trovato il fuoco spento. Ho chiesto a quella cameriera musona di riaccenderlo e l’ho fatta restare qui a soffiarci con il mantice finché non si è ben ravvivato: ora dica “Grazie”!».

«Devo prima mangiare qualcosa; non posso ringraziare nessuno se sono così affamato».

Suonai il campanello e ordinai del tè e della carne fredda.

«Carne fredda!», esclamò Hunsden, dopo che la cameriera ebbe chiuso la porta. «Lei è un uomo goloso! Carne e tè! Morirà per il troppo mangiare!».

«No, Hunsden, non morirò». Avevo voglia di contraddirlo; ero nervoso per la fame, nervoso per averlo trovato lì e nervoso per la puntuale durezza delle sue maniere.

«È il troppo mangiare che le dà questo caratteraccio», disse.

«E lei cosa ne sa?», gli chiesi. «È abituato a formulare tali pragmatiche opinioni senza sapere nulla delle circostanze. Io non ho pranzato».

Avevo parlato in modo piuttosto insolente e sgarbato, e Hunsden mi rispose solo guardandomi in faccia e ridendo.

«Oh, poverino!», si lagnò dopo una pausa. «Non ha pranzato? Ma com’è possibile! Immagino che sia stato il suo padrone a non lasciarla venire a casa. Crimsworth le ha ordinato di restare digiuno per una qualche punizione, William?».

«No, signor Hunsden».