Mi alzai velocemente, lo raggiunsi e lo guardai dritto in faccia.

«Metti giù quella frusta!», dissi. «E spiegami a che ti riferisci!».

«Ehi, con chi credi di parlare?».

«Con te. Non mi pare che ci sia qualcun altro qui dentro. Stai dicendo che ti ho infamato, lagnandomi del salario basso e del cattivo trattamento. Provamelo».

Crimsworth non aveva dignità e, quando gli chiesi tanto severamente una spiegazione, me la offrì a voce alta, con tono di rimprovero.

«Vuoi le prove? Le avrai. Ma girati alla luce, perché voglio vedere la tua faccia di bronzo arrossire quando ti darò le prove di quanto sei bugiardo e ipocrita. Ieri, durante una riunione pubblica in municipio, ho avuto il piacere di essere insultato dall’interlocutore della fazione opposta, che ha fatto allusione alla mia vita privata, blaterando di mostri incapaci di affetti naturali, tiranni della famiglia e altre simili sciocchezze. Quando mi sono alzato per rispondere si è levato un grido dalla folla: ho sentito che veniva fatto il tuo nome e ho subito capito da dove si fosse originato questo basso attacco. Guardandomi intorno ho visto quel farabutto traditore di Hunsden che guidava la protesta. Ti ho visto conversare di nascosto con lui in casa mia un mese fa, e so che sei stato da lui ieri sera. Negalo, se puoi».

«Oh, non lo negherò. Se Hunsden ha istigato la gente a fischiarti, ha fatto bene. Tu meriti il disprezzo del popolo; perché raramente è esistito al mondo un uomo peggiore, un padrone più duro di te».

«Insolente, insolente», ripeté Crimsworth, e per completare l’insulto mi fece schioccare la frusta sulla testa. Impiegai un minuto per strappargliela dalle mani, spezzarla in due e lanciarla oltre la grata del camino. Mi si gettò addosso, ma io lo schivai e dissi: «Prova a mettermi una mano addosso e ti trascinerò davanti al giudice più vicino». Gli uomini come Crimsworth, se gli si oppone una resistenza ferma e pacata, stemperano sempre un po’ la loro esagerata insolenza; non aveva alcun interesse a finire davanti al giudice e suppongo che gli fosse ben chiaro che facevo sul serio. Dopo avermi lanciato un’occhiata lunga e strana, fredda e stupita al tempo stesso, parve ricordarsi che in fondo la sua ricchezza gli conferiva una certa superiorità su un miserabile come me, e che per vendicarsi aveva in mano un’arma più sicura e dignitosa di una punizione personale che sarebbe stata alquanto rischiosa.

«Prendi il cappello», disse. «Prendi tutto ciò che ti appartiene ed esci da quella porta. Vai alla tua parrocchia, mendicante: chiedi la carità, ruba, muori di fame, vattene, fai quello che ti pare; ma se ti farai rivedere davanti a me, sarà a tuo rischio e pericolo. Se mai verrò a sapere che hai messo piede anche solo su un centimetro di terra che è di mia proprietà, assolderò qualcuno che venga a prenderti a legnate».

«È improbabile che avrai quest’occasione: finalmente lontano dalle tue proprietà, perché mai dovrei avere la tentazione di tornarci? Qui lascio una prigione, un tiranno, lascio il peggio del peggio che mi possa mai capitare, non c’è da temere, quindi, che io torni indietro».

«Vattene, o ti farò andare via io!», esclamò Crimsworth.

Andai alla mia scrivania, tirai fuori quel che c’era dentro e che mi apparteneva, misi tutto in tasca, chiusi la scrivania e vi poggiai sopra la chiave.

«Cosa hai preso da quella scrivania?», mi domandò il proprietario della fabbrica. «Lascia tutto dov’era o chiamerò un poliziotto che ti perquisisca».

«Allora fallo in fretta!», dissi. Presi il cappello, infilai i guanti e uscii con calma dall’ufficio per non tornarci mai più.

Ricordo che quando era suonata la campana all’ora del pranzo, prima che Crimsworth entrasse e si svolgesse la scena che ho descritto, avevo un certo appetito, e anzi avevo atteso impaziente di sentire il segnale del pasto. Ora, però, me n’ero dimenticato. Il pensiero delle patate e del montone arrosto era cancellato per via dell’agitazione e del trambusto dell’ultima mezz’ora. Avevo solo voglia di camminare, perché l’azione dei muscoli fosse in armonia con quella dei nervi; e camminai, infatti, veloce e lontano. Come avrei potuto fare diversamente? Mi si era tolto un peso dal cuore, mi sentivo leggero e libero. Me n’ero andato da Bigben Close senza infrangere risoluzioni, senza tradire la mia dignità. Non avevo forzato le circostanze; le circostanze stesse mi avevano liberato. La vita mi si apriva di nuovo davanti, il suo orizzonte non era più limitato dall’alto muro nero che circondava la fabbrica di Crimsworth.

Ci vollero due ore prima che le mie sensazioni si placassero e mi lasciassero abbastanza calmo da poter ragionare seriamente su quali più ampi confini mi aspettassero ora al posto di quella gabbia fuligginosa. Quando alzai gli occhi, toh, vidi che avevo di fronte Grovetown, un villaggio a circa cinque miglia da X.