Questo primo furto  mise  in  evidenza  che  Buck  era  capace  di

      sopravvivere nell'ostile ambiente del Nord: mise in rilievo la sua

      capacità di adattamento alle mutevoli condizioni,  la cui mancanza

      avrebbe significato morte pronta e terribile.  Nello stesso  tempo

      segnò  la  decadenza  o  addirittura  lo sfacelo delle sue qualità

      morali,  vano ingombro nella selvaggia lotta per l'esistenza.  Nel

      Sud,  sotto la legge dell'amore e dell'amicizia, il rispetto della

      proprietà privata e dei sentimenti personali erano buone cose;  ma

      nel  Nord,  sotto  la legge del bastone e della zanna,  chi avesse

      dato importanza ad esse sarebbe stato un pazzo, e finché le avesse

      osservate avrebbe avuto ben pochi vantaggi.

      Non che Buck ragionasse così. Era adatto all'esistenza, tutto qui,

      e si adattava inconsapevolmente al nuovo genere di vita.  In tutta

      la  sua vita non aveva mai evitato un combattimento senza badare a

      disparità di condizione.  Ma il bastone dell'uomo in maglia  rossa

      gli  aveva istillato un codice più fondamentale e primitivo.  Come

      civile, avrebbe potuto morire per un principio morale, ad esempio,

      per difendere il frustino del giudice Miller;  ma l'insieme  della

      sua  regressione era adesso messo in evidenza dalla sua abilità di

      evitare le proibizioni di ordine morale per salvare così la pelle.

      Non rubava per il piacere di rubare,  ma per placare  le  esigenze

      del suo stomaco;  e non lo faceva apertamente, ma in segreto e con

      astuzia,  fuori del raggio d'azione del  bastone  e  della  zanna.

      Insomma, faceva quello che era più facile fare che non fare.

      Il suo sviluppo,  o la sua regressione,  fu rapido: i suoi muscoli

      divennero duri come acciaio,  si  abituò  a  tutte  le  sofferenze

      quotidiane  e  riuscì  a  formarsi  un'economia  interna  come una

      esterna.  Poteva mangiare qualunque cosa  anche  se  ripugnante  e

      indigeribile;  e quando l'aveva mangiata, i succhi del suo stomaco

      ne traevano ogni minima particella di nutrimento;  e il sangue  la

      portava  nei  più reconditi angoli del suo corpo trasformandola in

      forti e solidi tessuti. La vista e l'odorato divennero acutissimi,

      e l'udito gli si sviluppò tanto,  che nel  sonno  poteva  udire  i

      rumori più deboli e capire se annunciavano pace o pericolo. Imparò

      a  strapparsi  coi denti il ghiaccio che gli impastava le dita;  e

      quando aveva sete e uno strato di ghiaccio  ricopriva  una  pozza,

      egli   sapeva  spezzarlo  drizzandosi  e  colpendolo  colle  zampe

      davanti.  La sua più notevole abilità era  quella  di  fiutare  il

      vento e di prevederlo anche con una notte di anticipo.  Per quanto

      non tirasse un filo d'aria,  quando si scavava  il  suo  giaciglio

      presso  un albero o una roccia,  il vento che sorgeva più tardi lo

      trovava inevitabilmente al riparo, ben coperto e tranquillo. E non

      solo imparò per propria esperienza, ma si risvegliarono in lui gli

      istinti  da  molto  tempo  sopiti.   Le   generazioni   domestiche

      scomparivano  via  via  dal  suo  ricordo.  In  modo  confuso egli

      riandava con la memoria alla gioventù del mondo, ai tempi in cui i

      cani selvaggi si riunivano in branchi nelle foreste primordiali  e

      uccidevano  la  loro preda facendo scorrerie.  Non fu faticoso per

      lui imparare a combattere lacerando e azzannando al modo dei lupi,

      perché così  avevano  combattuto  i  suoi  avi  dimenticati.  Essi

      ravvivavano  in  lui  l'antica vita,  e le antiche astuzie da loro

      lasciate in eredità all'esistenza erano  le  sue  stesse  astuzie.

      Apparivano in lui senza sforzo e senza meraviglia, come se fossero

      sempre  state  sue;  e  quando nelle lunghe notti gelate levava il

      muso alle stelle gettando lunghi ululati  nello  stile  dei  lupi,

      erano i suoi antenati morti e ridotti in polvere,  che levavano il

      muso alle stelle e ululavano nei secoli attraverso  di  lui.  Quel

      grido  modulato era il loro grido con cui avevano espresso la loro

      pena e tutto ciò che potevano suggerire loro la quiete,  il freddo

      e la notte.

      Così,  prova  evidente  di quale lieve cosa sia la vita,  l'antico

      canto tornava in lui, ed egli tornò nel suo antico essere; e tutto

      questo perché gli uomini avevano trovato  un  biondo  metallo  nel

      Nord,  e perché Manuel era un aiuto giardiniere che non guadagnava

      abbastanza per mantenere la moglie e le varie piccole copie di  se

      stesso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

      3. LA DOMINANTE BELVA PRIMITIVA.

 

      La belva primitiva dominava fortemente in Buck,  e in quelle fiere

      condizioni di vita  si  sviluppò  sempre  più.  Tuttavia  era  uno

      sviluppo segreto.  La sua nuova astuzia gli ispirava un equilibrio

      ed un controllo.  Era troppo occupato ad adattarsi alla nuova vita

      per sentirsi a suo agio, e non solo non cercò combattimenti, ma li

      evitò il più possibile.  Una certa ponderatezza era caratteristica

      del suo atteggiamento.  Non si abbandonava ad  atti  imprudenti  o

      precipitati, e nel suo profondo odio per Spitz non mostrava alcuna

      impazienza e celava ogni ostilità.

      D'altra  parte,  forse  perché  indovinava  in  Buck un pericoloso

      rivale,  Spitz  non  si  lasciava  mai  sfuggire  l'occasione  per

      mostrargli  i  denti.  Giunse  perfino ad attraversargli la strada

      cercando sempre di far sorgere una zuffa che sarebbe  finita  solo

      con  la  morte  dell'uno  o  dell'altro.   Questo  avrebbe  potuto

      succedere fin dall'inizio del viaggio,  se non fosse  avvenuto  un

      incidente inconsueto.

      Una sera avevano piantato un piccolo e triste campo sulle rive del

      lago  Le  Barge;  nevicava e tirava un vento che tagliava come una

      lama di coltello,  e l'oscurità li aveva  costretti  a  cercare  a

      tentoni  un  posto per accamparsi.  Difficilmente avrebbero potuto

      trovarne uno peggiore: alle  loro  spalle  sorgeva  una  roccia  a

      picco, e Perrault e François erano stati costretti ad accendere il

      fuoco  e  a stendere i loro lettucci sul ghiaccio del lago stesso.

      Avevano lasciato la tenda a Dyea per avere  meno  bagagli.  Furono

      accesi  pochi  rami  di legno secco,  ma il fuoco cadde nell'acqua

      attraverso il ghiaccio fuso e li lasciò a finire la cena al buio.

      Buck si scavò il giaciglio al piede della roccia.  Se ne stava 

      così  bene riparato e al caldo,  che lo lasciò a malincuore quando

      François distribuì il pesce dopo  averlo  sgelato  sul  fuoco.  Ma

      quando Buck ebbe finito la sua razione e tornò alla buca, la trovò

      occupata.  Un  ringhio  minaccioso lo avvertì che l'usurpatore era

      Spitz. Fino ad ora Buck aveva evitato ogni litigio col suo nemico,

      ma questo era troppo.  La belva che era in lui ruggì.  Balzò sopra

      Spitz  con  una  furia  che  li sorprese entrambi,  ma soprattutto

      Spitz,  perché tutta l'esperienza che  aveva  di  Buck  gli  aveva

      insegnato  che  il suo rivale era un cane molto timido,  capace di

      cavarsela solo in grazia del suo peso e delle sue dimensioni.

      Anche François fu sorpreso quando balzarono fuori dalla buca in un

      solo groviglio e capì la causa di quella zuffa. - Ah, ah!  - gridò

      a Buck, - dagli, perbacco! Dagli addosso a quel ladro!

      Spitz era non meno furioso.  Urlava pieno di rabbia correndo in su

      e in giù,  cercando il momento opportuno di slanciarsi.  Buck  era

      non  meno attento e non meno prudente,  e si aggirava anche lui in

      sù e  in  giù  cercando  il  momento  più  opportuno.  Proprio  in

      quell'istante accadde l'inaspettato,  che doveva differire la loro

      lotta a migliore occasione,  dopo molte e molte faticose miglia di

      pista e di lavoro.

      Una bestemmia di Perrault,  il colpo sonoro di un bastone su di un

      corpo ossuto e uno strido  di  dolore  segnarono  l'inizio  di  un

      pandemonio.  Il  campo  apparve  improvvisamente popolato di forme

      irsute: una sessantina di eschimesi affamati,  che avevano sentito

      l'odore  da qualche villaggio indiano,  si erano avvicinati mentre

      Buck e Spitz stavano per azzannarsi,  e quando  i  due  uomini  si

      scagliarono  in mezzo a loro a colpi di bastone,  indietreggiarono

      mostrando i denti. Erano esasperati dall'odore del cibo.  Perrault

      ne  trovò  uno con la testa infilata in una cassa;  il suo bastone

      piombò pesantemente sulle  costole  dell'animale  e  la  cassa  si

      rovesciò.  Immediatamente  il branco di bestie affamate si azzuffò

      contendendosi le gallette e il lardo.  Le bastonate caddero su  di

      loro  senza  avere  alcun  effetto: mugolavano e guaivano sotto la

      grandine dei colpi,  ma continuavano a lottare pazzamente fra loro

      finché  l'ultima  briciola  non  fu  divorata.  Frattanto  i  cani

      dell'attacco,  stupiti erano saltati  fuori  dalle  loro  buche  e

      subito  furono  aggrediti  dai fieri invasori.  Buck non aveva mai

      visto cani simili: con le ossa che quasi  scappavano  fuori  dalla

      pelle,  veri  scheletri  avvolti  in  sudice  pellicce,  con occhi

      fiammeggianti e la bava alla bocca.  Ma la fame li rendeva paurosi

      e  irresistibili.  Non  era  possibile opporsi a loro.  La muta fu

      respinta contro la rupe al primo assalto. Buck fu incalzato da tre

      eschimesi e in un attimo ebbe il muso e la  schiena  lacerati.  La

      mischia era paurosa. Billee guaiva come al solito. Dave e Sol-leks

      grondanti  sangue da molte ferite,  combattevano coraggiosamente a

      fianco a fianco;  Joe lottava come un demonio.  Una volta  i  suoi

      denti  strinsero  la zampa davanti di un eschimese e schiacciarono

      l'osso.   Pike,    balzò   accortamente   sull'animale   azzoppato

      spezzandogli  l'osso  del  collo con un morso furioso.  Buck prese

      alla gola un avversario e fu inzuppato di sangue quando gli recise

      coi denti la vena iugulare;  il caldo sapore  di  quel  sangue  lo

      inferocì ancor più,  si gettò su di un altro ma in quel momento si

      sentì addentare alla gola: era Spitz che lo attaccava a tradimento

      di fianco.

      Perrault e François,  dopo  aver  liberato  una  parte  del  campo

      corsero  in  aiuto  dei loro cani.  L'onda selvaggia degli animali

      affamati indietreggiò davanti a loro, Buck riuscì a liberarsi.  Fu

      solo  per  un  momento;  due  uomini  furono  costretti  a tornare

      indietro per salvare le riserve di viveri  su  cui  gli  eschimesi

      tornavano  a slanciarsi dopo aver lasciato la muta.  Billee,  reso

      coraggioso dal terrore,  balzò attraverso il cerchio  selvaggio  e

      fuggì  via  sul  ghiaccio.  Pike e Dub gli si misero alle calcagna

      tirandosi dietro il resto della muta.  Mentre Buck si  raccoglieva

      per balzare dietro di loro, vide con la coda dell'occhio Spitz che

      si  avventava  su di lui con l'evidente intenzione di rovesciarlo.

      Una volta abbattuto e caduto sotto la massa degli  eschimesi,  non

      c'era più speranza per lui.  Ma egli si preparò a sostenere l'urto

      di Spitz e poi fuggì sul lago con altri.

      Infine i nove cani  dell'attacco  si  riunirono  rifugiando  nella

      foresta.  Sebbene non fossero stati inseguiti,  si trovarono a mal

      partito: nessuno di loro era ferito in meno di  quattro  o  cinque

      punti, e alcuni gravemente. Dub era malamente colpito in una gamba

      posteriore;  Dolly,  l'ultimo eschimese aggiunto al tiro,  a Dyea,

      aveva una brutta ferita alla gola;  Joe  aveva  perso  un  occhio,

      mentre  quel  bonaccione  di  Billee,  con  un  orecchio ridotto a

      brandelli, mugolò e uggiolò tutta notte.