Spitz, freddo e calcolatore anche nei suoi supremi slanci,  lasciò

      il  branco e tagliò attraverso un angusto lembo di terra intorno a

      cui il fiumiciattolo  faceva  una  vasta  ansa.  Buck  non  se  ne

      accorse,  e  mentre  girava la curva avendo sempre dinanzi a sé il

      gelido spettro del coniglio,  vide un altro più grande spettro  di

      ghiaccio  balzare  dalla  ripa sovrastante sulla strada stessa del

      coniglio.  Era Spitz.  Il coniglio non poté voltarsi,  e mentre  i

      denti  bianchi  del  cane gli spezzavano la schiena afferrandolo a

      mezz'aria,  diede  uno  strido  alto  come  può  gridare  un  uomo

      abbattuto. A questo suono, il grido della vita che precipita dalla

      propria  altezza  nella  stretta della morte,  tutto il branco che

      seguiva Buck levò un coro di gioia infernale.

      Buck non gridò.  Non frenò la sua  corsa,  ma  si  avventò  contro

      Spitz,  spalla contro spalla, con tanta violenza che non riuscì ad

      afferrarlo alla gola.  Rotolarono più  volte  sulla  neve  che  si

      alzava  in  polvere.  Spitz  si rimise in piedi così in fretta che

      sembrava non fosse stato nemmeno rovesciato,  azzannò la spalla di

      Buck  e  fece  subito  un  salto da parte.  Due volte i suoi denti

      urtarono insieme come le mascelle d'acciaio di una tagliola mentre

      indietreggiava per prendere una migliore  posizione  ringhiando  e

      contraendo le labbra sottili.

      In  un  lampo  Buck comprese: era venuto il momento,  era la lotta

      mortale.  Mentre si giravano attorno ringhiando,  le orecchie tese

      all'indietro,  attenti  a cogliere l'occasione propizia,  la scena

      apparve a Buck in un aspetto familiare.  Gli sembrò  di  ricordare

      tutto,  i  boschi bianchi di neve,  la terra,  la luce lunare e il

      fremito della battaglia.  Una  calma  spettrale  gravava  su  quel

      silenzioso  candore.  Non  vi  era  il minimo alito di vento,  non

      tremava una foglia,  e il respiro dei cani  si  alzava  lentamente

      visibile,  e indugiava nell'aria gelata.  Quei cani che rimanevano

      pur sempre  lupi  mal  domati,  avevano  spacciato  in  fretta  il

      coniglio  da  neve,   e  adesso  si  erano  raccolti  in  cerchio,

      aspettando.  Erano silenziosi,  solo i loro occhi brillavano  e  i

      loro fiati si alzavano lentamente nell'aria. Per Buck questa scena

      di  antichi tempi non aveva nulla di nuovo né di strano.  Sembrava

      che fosse stato sempre così, nella consueta vicenda delle cose.

      Spitz era un  combattente  esperto.  Dallo  Spitzberg  all'Artico,

      attraverso il Canadà e le Barrens, si era battuto con cani di ogni

      genere  e  li  aveva dominati.  La sua rabbia era intensa,  ma non

      cieca.  Nella sua ansia di lacerare e distruggere non  dimenticava

      mai che il suo nemico era animato dalla stessa ansia di lacerare e

      distruggere.  Non  si slanciava se non era pronto a resistere allo

      slancio dell'avversario;  non attaccava prima di essersi preparato

      a respingere un attacco.

      Invano Buck tentava di affondare i denti nel collo del grande cane

      bianco;   dovunque  le  sue  zanne  cercavano  la  morbida  carne,

      incontravano le zanne di Spitz.  I denti urtavano contro i  denti,

      le  labbra  erano  lacerate e sanguinanti,  ma Buck non riusciva a

      forzare la guardia  del  suo  avversario.  Allora  si  riscaldò  e

      avvolse Spitz in un turbine di attacchi.  Più e più volte tentò di

      raggiungere la bianca gola dove la vita pulsava alla superficie, e

      ogni volta Spitz lo colpì  balzando  poi  da  parte.  Allora  Buck

      cominciò  a  slanciarsi  come  se  mirasse  alla gola,  e volgendo

      improvvisamente la testa e curvandola da parte, cercava di colpire

      con la spalla la spalla di Spitz come un ariete  per  rovesciarlo.

      Ogni  volta la spalla di Buck veniva azzannata e Spitz balzava via

      leggermente.

      Spitz era ancora illeso mentre Buck grondava sangue e  ansava.  La

      lotta  era  ormai  disperata e il cerchio silenzioso degli antichi

      lupi attendeva per finire il vinto. Adesso che Buck sentiva che il

      fiato  gli  mancava,   Spitz  cominciò  ad  aggredirlo   facendolo

      barcollare.  Una volta Buck fu quasi rovesciato e l'intero cerchio

      dei sessanta cani balzò in piedi;  ma  egli  si  riprese  quasi  a

      mezz'aria e il cerchio tornò ad accovacciarsi aspettando.

      Buck    possedeva    una    qualità   propria   della   grandezza:

      l'immaginazione.  Lottava per istinto,  ma poteva anche combattere

      col  cervello.  Si slanciò come se volesse dare il solito colpo di

      spalla, ma all'ultimo momento si appiattì contro la neve, e i suoi

      denti afferrarono la zampa sinistra anteriore di Spitz. Si udì uno

      scricchiolio  di  ossa  spezzate,  e  adesso  il  cane  bianco  lo

      affrontava  su  tre  sole  zampe.  Per  tre  volte  egli  tentò di

      rovesciarlo.  Poi ripeté il colpo e gli spezzò  la  zampa  destra.

      Nonostante  il dolore e l'impotenza,  Spitz lottava follemente per

      tenersi in piedi.  Vedeva il  cerchio  silenzioso  con  gli  occhi

      fiammeggianti  e  le  lingue  penzoloni  e  i  fiati  argentei che

      salivano nell'aria,  chiudersi intorno a  lui,  come  aveva  visto

      altre  volte  quei  circoli  chiudersi  intorno  ai suoi avversari

      sconfitti. Questa volta il vinto era lui. Non vi era più speranza.

      Buck era inesorabile.  La pietà è propria di climi  più  miti.  Si

      preparò  all'ultimo assalto.  Il cerchio si era così ristretto che

      egli poteva sentire il respiro degli  eschimesi  sui  fianchi.  Li

      poteva  vedere  dietro  Spitz  e ai due lati,  già raccolti per lo

      slancio con gli occhi fissi su di lui.

      Vi fu una pausa; gli animali erano immobili, come impietriti. Solo

      Spitz fremeva ed ergeva il pelo  brancolando  avanti  e  indietro,

      ringhiando  minacciosamente  come  per  atterrire la morte vicina.

      Allora Buck balzò di fianco e finalmente la sua spalla colpì  bene

      l'altra  spalla.  Il  cerchio  buio divenne un'unica macchia sulla

      neve illuminata dalla  luna  e  Spitz  scomparve.  Buck  stette  a

      guardare,  campione  vittorioso,  belva dominatrice  dei primordi,

      che aveva ucciso e aveva trovato che era buona cosa.

 

 

 

 

 

 

      4. COLUI CHE HA RAGGIUNTO IL DOMINIO.

 

      - Eh!  Che vi dicevo?  L'avevo indovinata quando dicevo  che  Buck

      vale due diavoli.

      Così  parlò  François  la mattina dopo quando si accorse che Spitz

      mancava e Buck era coperto di ferite. Lo portò vicino al fuoco e a

      quella luce mostrò le sue piaghe.

      -  Quello Spitz combatte  come  un  demonio,  -    disse  Perrault

      osservando le ferite aperte.

      -  E  Buck come due demoni,  - rispose François.  - Ed ora andremo

      tranquilli. Non più Spitz non più confusioni, questo è certo.

      Mentre  Perrault  levava  il  campo  e  caricava  la  slitta,   il

      conducente  attaccava i cani.  Buck trotterellò al posto che Spitz

      avrebbe occupato come guida; ma François senza badare a lui, portò

      Sol-leks in quell'ambita posizione.  A suo parere Sol-leks era  la

      miglior guida che gli restava. Buck si scagliò furioso contro Sol-

      leks respingendolo e prendendo il suo posto.

      -  Eh,  eh?  -  gridò  François battendosi allegramente la coscia.