L’altro pensò invece che Marinier era Marinier. Don Clemente osservò che neppure tutti i Santi si potevano mandare in China. Perché non sarebbe laico il futuro Santo?

«Questo lo credo» esclamò il padre Salvati. Invece l’entusiasta don Faré si teneva certo che sarebbe Sommo Pontefice. L’abate rise. «Idea semplice ed eccellente» diss’egli. «Ma io sento la carrozza che viene a pigliarci, Dane, me e chi vuol venire con noi a Subiaco; per cui vado a congedarmi dal signor Selva.»

Si chinò dal parapetto a cogliere una frondetta dell’olivo piantato nel terrazzo del piano inferiore.

«Dovrò presentargli questo» disse. «E anche a Loro signori» soggiunse con un gesto grazioso, sorridendo. E uscì della terrazza.

Si udì infatti, giù nella strada, il rumore di un legno a due cavalli che, venendo da Subiaco, girò lo scoglio sul quale la villetta è assisa e si fermò davanti al cancello. Pochi momenti dopo vennero nella terrazza Maria Selva e Dane col suo gran pastrano e il grandissimo cappello nero a cencio. Seguivano Giovanni e l’abate.

«Chi viene con noi?» disse Dane.

Nessuno parlò. S’intesero, sul rumore fondo dell’Aniene, voci e passi che salivano dal cancello verso la villa. Minucci che stava sull’angolo di levante della terrazza, guardò e disse:

«Signore. Due signore.»

Maria trasalì. «Due signore?» diss’ella. Balzò al parapetto, vide due figure chiare che salivano lentamente, facevano allora la prima svolta del ripido viottolo. Non era possibile distinguerne le forme, erano ancora troppo giù e faceva troppo scuro. Giovanni osservò che probabilmente si trattava di persone dirette al primo piano, a visitare i padroni di casa. Il professore Dane sorrise misteriosamente.

«Potrebbero venire anche al secondo» diss’egli. Maria esclamò:

«Lei sa qualche cosa!» e gridò abbasso:

«Noemi! est-ce vous?»

La voce limpida di Noemi rispose:

«Oui, c’est nous!»

Si udì un’altra voce femminile dirle forte:

«Che bambina! Dovevi tacere!»

Maria mise un piccolo grido di gioia e disparve, corse giù per la scala a chiocciola.

«Lei sapeva, professore Dane?» fece Selva. Sì, Dane sapeva, aveva veduto a Roma la signora Dessalle, conosciuta da lui nella sua villa del Veneto, nella villa degli affreschi del Tiepolo. Suo fratello, il signor Carlino Dessalle, era rimasto a Firenze. Lei e la signorina d’Arxel volevano fare una sorpresa, gli avevano proibito di parlare. Il nome Dessalle richiamò alla mente di Selva, in un baleno, quello cui subito non aveva pensato, la presenza di don Clemente, il dubbio che fosse lui l’amante scomparso di quella signora, la necessità di evitare un incontro che poteva essere terribile per l’una e per l’altro. Del colloquio fra sua moglie e il padre egli non sapeva, naturalmente. Intanto si udì Maria scender di corsa il sentiero, poi suonare le esclamazioni e i saluti festosi. Dane, inquieto per la troppo lunga fermata sulla terrazza, propose di scendere. Quelle signore si erano certo servite della carrozza che veniva a prender lui! Anche don Clemente pareva molto inquieto. Selva si affrettò, dissimulando la commozione propria, di prenderlo a braccetto.

«Se Lei non vuole imbarazzarsi con signore» diss’egli «venga subito con me che La faccio passare dal Casino, per il sentiero alto.» Il padre parve contentissimo, i due partirono in gran fretta, il benedettino senza nemmeno salutare.

«È anche tardi» diss’egli «Ho detto all’Abate, chiedendogli il permesso, che sarei ritornato alle nove e mezzo.»

Scesero a precipizio la scala a chiocciola; ma quando uscirono sul piazzaletto delle robinie, Jeanne Dessalle vi metteva il piede dall’altro capo con Maria e Noemi.

Non era tanto buio, sotto le robinie, che Maria non potesse riconoscere suo marito e don Clemente nelle due ombre che uscivano di casa sua. Ella, che a fianco di Jeanne precedeva sua sorella, prontamente piegò e fece piegare a destra la sua vicina, verso il piccolo casino ch’è un’appendice della villa, voltando le spalle a questa.