Dal canto suo, Selva, vedendo l’atto di sua moglie, prontamente sussurrò al padre:

«Scenda diritto, subito!»

Ma non valse.

Non valse perché Noemi, meravigliata di veder sua sorella svoltare a destra, si fermò esclamando:

«Dove andate?» e don Clemente, forse per aver veduta questa signora ferma sulla sua via, invece di passare e scendere, andò a raccogliere l’ortolano che lo attendeva nell’angolo più oscuro del piazzaletto, dove il fianco della casa s’incontra col monte. Chiamò «Benedetto!» e si volse a Selva. «Se Lei volesse mostrargli il campicello?» Giovanni rispose: «A quest’ora?» mentre sua moglie diceva piano a Noemi: «C’è forestieri che partono, lasciamoli passare, restiamo qui al casino.» Ella le accennò in pari tempo del capo così risolutamente che la Dessalle se ne avvide, pensò tosto a qualche mistero.

«Perché?» disse. «Sono terribili?» E rallentò il passo. Invece Noemi che aveva afferrato l’intenzione della sorella, non però le ragioni occulte, mise troppo zelo a secondarla, abbracciò alla vita le due compagne, le spinse verso il casino. Jeanne Dessalle ebbe un moto istintivo di ribellione, si voltò di botto dicendo: «che fai?» vide Selva che veniva alla loro volta e che subito salutò allargando le braccia, come per nascondere don Clemente, il quale, seguito dall’ortolano, passò frettolosamente a cinque passi da Jeanne, prese la discesa.

Noemi, che al saluto di suo cognato si era pure voltata, corse ad abbracciarlo. Intanto Selva si compiacque di vedere che don Clemente era sfuggito all’incontro. Selva, scioltosi dall’abbraccio di Noemi, stese la mano a Jeanne, che non se ne avvide, mormorò, trasognata, qualche incomprensibile parola di saluto. In quel momento uscirono dalla villa Dane, Marinier, Faré, di Leynì, il padre Salvati. I due Selva mossero loro incontro, lasciando Noemi e la Dessalle ad aspettare in disparte. I saluti di commiato furono abbastanza lunghi. Dane desiderava salutare anche la Dessalle. Maria non la scorse più dove l’aveva lasciata, suppose che lei e Noemi fossero entrate in casa girando alle loro spalle, s’incaricò dei saluti del professore. Finalmente quando i cinque discesero, accompagnati da Giovanni, si udì chiamare da Noemi:

«Maria!»

Un accento particolare nella voce di sua sorella le disse che era accaduto qualche cosa. Accorse; la signora Dessalle, seduta sopra un fascio di legna, nell’angolo lasciato cinque minuti prima dall’ortolano di Santa Scolastica, ripeteva con voce debole: «niente, niente, niente, adesso entriamo, adesso entriamo.» Noemi, tutta palpitante, raccontò che l’amica si era sentita mancare a un tratto mentre quei signori discorrevano e che a lei era appena riuscito di trarla fino a quel fascio di legna.

«Andiamo, andiamo» ripeté Jeanne e si sforzò di alzarsi, si trascinò, sorretta dalle altre due, fino all’uscio della villa, sedette sullo scalino, aspettando un po’ d’acqua che poi assaggiò appena. Altro non volle e presto si rimise tanto da poter salire, adagio adagio, le scale. Si scusava ad ogni sosta e sorrideva; ma la fantesca che saliva innanzi col lume, a ritroso, venne quasi meno ella stessa vedendo quegli occhi smarriti, quelle labbra bianche, quel terribile pallore. La condussero al canapè del salottino; e là, dopo un momento di silenzioso abbandono a occhi chiusi, poté dire alla signora Selva, sorridendo ancora, ch’erano affetti di anemia e che c’era avvezza. Noemi e Maria si parlarono piano fra loro. Jeanne intese le parole «a letto» e assentì del capo con uno sguardo di gratitudine. Maria aveva disposto per lei e per Noemi la migliore camera del piccolo alloggio, la camera d’angolo opposta allo studio di Giovanni, dall’altra parte del corridoio. Mentre Jeanne vi si avviava stentatamente a braccio di Noemi, ritornò Selva che aveva accompagnato gli amici sino al cancello. Sua moglie ne udì il passo sulla scala, gli scese incontro, lo trattenne. Si parlarono al buio, sotto voce. Era dunque lui, ma come lo aveva riconosciuto? Eh, Giovanni aveva ben cercato di frapporsi, nel momento pericoloso, fra la signora e don Clemente, il padre era anche passato quasi di corsa, ma egli aveva sospettato subito, perché la Dessalle non aveva quasi risposto al suo saluto, non gli aveva stesa la mano, era rimasta come una statua. Anche il padre, quando aveva udito sulla terrazza ch’era arrivata la signora Dessalle, si era mostrato inquieto; poi aveva mostrato un vivo desiderio di evitarla; si era però serbato molto padrone di sé. Oh sì, molto padrone di sé! Questo era pure il giudizio di Maria che raccontò il suo colloquio con lui, lì in fondo alla scala. Marito e moglie salirono lentamente, compresi di quello straordinario dramma, di quel dolor mortale della povera donna, dell’impressione terribile che doveva aver riportato anche lui, dopo tutto, della notte che passerebbero l’uno e l’altra; pensosi di quel che accadrebbe l’indomani, di quel che farebbe lui, di quel che farebbe lei.

«Per queste cose è bene di pregare, non è vero?» disse Maria.

«Sì, cara, è bene. Preghiamo ch’ella sappia donare il suo amore e il suo dolore a Dio» rispose suo marito.

Entrarono, tenendosi per mano, nella camera nuziale, divisa in due da un cortinaggio pesante. Si affacciarono alla finestra guardando il cielo, pregarono silenziosamente.