Il secondo libro della giungla

Rudyard Kipling

Il secondo libro della giungla

Queste sono le Leggi della Giungla, e molte e rigorose esse sono.

Ma la testa e lo zoccolo della Legge, e l’anca e la gobba è: obbedisci.

COME VENNE LA PAURA.

Il fiume si è ridotto a ruscello, secca è la pozza, E siamo diventati compagni, tu ed io; Con la ganascia febbrile e i fianchi impolverati, A vicenda ci scontriam lungo la riva; E la sola paura della sete ha sopito in noi Ogni precedente idea di rapina o di strage.

Ora il lupo smagrito può osservare il cerbiatto, Come lui avvilito, accucciato sotto la madre, E il daino slanciato può fissare imperterrito Le zanne che lacerarono la gola di suo padre. L’acqua si è ritratta nelle pozze… i fiumi sono asciutti, Ed ora siamo compagni di gioco, tu ed io, Finché quella nube laggiù, Buona Caccia! si scioglierà In pioggia che troncherà la nostra Tregua dell’Acqua.

La Legge della Giungla, che è la più antica di tutte le leggi del mondo, ha predisposto per quasi tutti gli incidenti che possono capitare al Popolo della Giungla, ed ormai, col tempo e con l’uso, è diventata il più perfetto codice che esista. Se avete letto gli altri racconti di Mowgli, vi ricorderete che egli passò una gran parte della sua vita nel Branco dei Lupi di Seeonee e apprese la Legge da Baloo, l’Orso Bruno.

Quando Mowgli si spazientiva a sentirsi sempre comandare, Baloo gli diceva che la Legge è come la Liana Gigante, che tutti avviluppa e nessuno sa districarsene.

Quando avrai vissuto quanto ho vissuto io, Fratellino, ti accorgerai che c’è una Legge almeno a cui tutta la Giungla obbedisce, e questa scoperta non ti riuscirà molto gradita, sentenziava Baloo.

A Mowgli però questi discorsi entravano da un orecchio e uscivano dall’altro, poiché un ragazzo come lui, che passa la vita a mangiare e a dormire, non si preoccupa di nessun pericolo, finché non l’ha davanti agli occhi.

Ma un anno la profezia di Baloo si avverò, e Mowgli vide tutta la Giungla assoggettarsi alla Legge.

Cominciò una volta quando le piogge d’inverno vennero a mancare quasi del tutto e Ikki, il Porcospino, incontrando Mowgli in una macchia di bambù, gli disse che gli Ignaml, le patate selvatiche, si stavano seccando. Tutti sanno che Ikki è schizzinoso fino al ridicolo nella scelta del cibo, e mangia solo cose della miglior qualità e perfettamente mature; cosicché Mowgli si mise a ridere e disse: Che me ne importa a me!

Non molto, ora, ribatté Ikki facendo scricchiolare gli aculei con un rumore sinistro, te ne accorgerai in seguito. Non c’è più acqua sufficiente per tuffarsi nella pozza sotto le Rocce delle Api, Fratellino?

No, questa stupida acqua se ne va via tutta, e non ho voglia di spaccarmi la testa, disse Mowgli, che allora credeva veramente di saperne quanto altri cinque qualsiasi del Popolo della Giungla messi insieme.

Sarebbe tanto di guadagnato. Una piccola fessura potrebbe lasciarvi entrare un po’ di giudizio

Ikki fece subito civetta, per paura che Mowgli gli tirasse gli aculei del naso, ed il ragazzo andò a raccontare a Baloo quello che Ikki gli aveva detto.

Baloo assunse un’aria molto grave e borbottò quasi fra sé: Se fossi solo muterei territorio di caccia subito, prima ancora che comincino a pensarci gli altri, ma a cacciare fra gli stranieri si finisce sempre con l’azzuffarsi, e il mio Cucciolo potrebbe buscarne. Aspettiamo di vedere come fiorirà la mohwa.

Quella primavera la mohwa, l’albero che piaceva tanto a Baloo, non fiorì mai.

I fiori cerei, di una bianchezza lattea un po verdognola, furono uccisi dal caldo eccessivo prima ancora che sbocciassero e, quando egli si rizzò sulle 2

zampe di dietro e scrollò l’albero, non ne caddero che pochi petali puzzolenti. Poi, a poco a poco, il caldo terribile penetrò fin nel cuore della Giungla, che diventò prima gialla, poi bruna, poi nera bruciata. Sulla proda delle forre i virgulti verdi riarsero, finché non rimasero altro che ramoscelli secchi e spezzati come fili di ferro e qualche foglia morta ridotta ad una pellicola accartocciata.

Le pozze nascoste si ritrassero e si seccarono, lasciando uno strato di fango indurito che serbava le ultime minime impronte di zampe sui margini, come gettate nel ferro fuso; i rampicanti dallo stelo succoso, già gonfio di linfa, ricaddero dall’albero che avevano avvinto nel loro abbraccio per morire ai suoi piedi; i bambù avvizziti scricchiolavano ad ogni soffio del vento infuocato e, fin nel cuore profondo della Giungla, il muschio si staccò a poco a poco dalle rocce, finché esse diventarono n ude e roventi come i massi turchini che sul letto del fiume apparivano con contorni indecisi e tremuli nell’aria rovente.

Gli uccelli e le scimmie migrarono verso il nord al principio dell’anno, poiché sapevano quello che sarebbe avvenuto, ed i cervi ed i cinghiali si spinsero lontano e invasero i campi desolati presso i villaggi, e qualche volta stramazzavano morti davanti agli occhi degli uomini, che erano troppo deboli per ucciderli. Chil, il Nibbio, rimase ed ingrassò, poiché le carogne abbondavano. Tutte le sere informava le belve, troppo deboli per cercar nuovi territori di caccia, che, per tre giorni di volo intorno, il sole aveva ucciso la Giungla.

Mowgli, che non aveva mai provato quel che fosse fame vera, si buttò sul miele stantìo di tre anni, gra ttato da qualche alveare abbandonato fra le rocce; del miele nero come le prugnole e impolverato di zucchero secco. Dava anche la caccia ai vermi, che scavavano buchi profondi sotto la scorza degli alberi, e rubava le nuove covate alle vespe. Tutta la selv aggina della Giungla era ridotta pelle ed ossa, e Bagheera poteva ammazzare tre volte in una notte senza levarsi interamente la fame.