«Tutto ciò è piuttosto nauseabondo», concludeva la dama del 1914, la quale avrebbe voluto che il ciclo delle nuove ammissioni si fosse chiuso con lei. Queste persone nuove, che i giovani trovavano molto antiche, e che a certi vecchi che non avevano frequentato solo il gran mondo non sembravano poi così nuove, non soltanto offrivano alla società i convenienti svaghi di conversazione politica e di musica nell’intimità; bisognava anche che fossero loro ad offrirli, giacché per far sembrare nuove le cose anche se sono vecchie, e persino se sono nuove, occorrono – nell’arte come nella medicina o nella mondanità – dei nomi nuovi. (Costoro, d’altronde, erano nuovi in certe cose. Madame Verdurin, per esempio, era andata a Venezia durante la guerra, ma – non diversamente da chi vuol evitare discorsi dolorosi e sentimentali – quando diceva che era «stupefacente», oggetto della sua ammirazione non erano né Venezia, né San Marco, né i palazzi, tutto ciò che m’era tanto piaciuto e che lei teneva in poco conto, ma l’effetto dei proiettori nel cielo, proiettori sui quali forniva informazioni suffragate da numeri. Così, d’epoca in epoca, come reazione all’arte ammirata fino a quel momento rinasce un certo realismo.)
Il salotto Saint-Euverte era un’insegna ormai sbiadita sotto la quale la presenza dei più grandi artisti, dei ministri più influenti non avrebbe attirato nessuno. Si accorreva invece, per ascoltare una frase pronunciata dal segretario di quelli o dal sottocapo di gabinetto di questi, nei salotti delle nuove dame inturbantate, il cui stuolo alato e gracchiante invadeva Parigi. Le dame del primo Direttorio avevano una regina che era giovane e bella e si chiamava Madame Tallien. Quelle del secondo ne avevano due che erano vecchie e brutte e si chiamavano Madame Verdurin e Madame Bontemps. Chi avrebbe potuto avercela con Madame Bontemps perché suo marito aveva svolto un ruolo, aspramente criticato dall’«Écho de Paris», nell’affare Dreyfus? Dato che la Camera intera, a un certo punto, era diventata revisionista, era stato giocoforza reclutare fra gli ex revisionisti, come fra gli ex socialisti, il partito dell’ordine sociale, della tolleranza religiosa, della preparazione militare. Un tempo il signor Bontemps sarebbe stato oggetto di riprovazione perché gli antipatrioti, allora, si chiamavano dreyfusisti. Ma questo termine era stato ben presto dimenticato, e sostituito da quello di avversario della legge dei tre anni. Il signor Bontemps era uno degli autori di questa legge ed era dunque, invece, un patriota.
In società (e questo fenomeno sociale non è d’altronde che l’applicazione d’una legge psicologica ben più generale) le novità, colpevoli o no, ispirano orrore solo finché non sono assimilate e circondate da elementi rassicuranti. Era così per il dreyfusismo come per il matrimonio di Saint-Loup con la figlia di Odette, matrimonio che all’inizio aveva fatto scandalo. Adesso che dai Saint-Loup si vedevano tutte le persone “di conoscenza”, quand’anche Gilberte avesse avuto gli stessi costumi di Odette non si sarebbe smesso di “andarci”, e si sarebbero approvate le sue reprimende da madre nobile contro le novità morali non assimilate. Il dreyfusismo, adesso, era integrato in una serie di cose rispettabili e abituali. Quanto a chiedersi cosa valesse in sé, nessuno ci pensava, non più adesso per ammetterlo che un tempo per condannarlo. Non era più shocking. Non occorreva altro. A malapena ci si ricordava che era stato tale, così come, passato un po’ di tempo, non si sa più se il padre d’una fanciulla fosse o non fosse un ladro. All’occorrenza si può sempre replicare: «No, è del cognato, oppure d’un omonimo, che state parlando. Sul conto di questo, invece, non c’è mai stato niente da dire». Allo stesso modo, è evidente che c’era stato dreyfusismo e dreyfusismo, e quello che era di casa dalla duchessa di Montmorency e faceva passare la legge dei tre anni non poteva essere il cattivo. In ogni caso, c’è un perdono per ogni peccato. Questo oblio elargito al dreyfusismo lo si elargiva, a fortiori, ai dreyfusisti. In politica, del resto, non ce n’erano più, perché a un certo punto, se volevano far parte del governo, lo erano stati tutti, compresi quelli che rappresentavano il contrario di quanto il dreyfusismo, nella sua imbarazzante novità, aveva incarnato (ai tempi in cui Saint-Loup era su una brutta china): l’antipatriottismo, l’irreligione, l’anarchia ecc. Così il dreyfusismo del signor Bontemps, invisibile e costitutivo come quello di tutti gli uomini politici, non si vedeva più delle ossa sotto la pelle. Nessuno si sarebbe ricordato che era stato dreyfusista, per la distrazione e la smemoratezza della gente di mondo, e anche perché da allora era trascorso un tempo molto lungo e che si affettava di credere più lungo, essendo una fra le idee più alla moda sostenere che l’anteguerra era separato dalla guerra da qualcosa d’altrettanto profondo, e simulante un’altrettale durata, quanto un’era geologica, e lo stesso Brichot, quel nazionalista, quando alludeva all’affare Dreyfus diceva: «In quei tempi preistorici».
(A dire il vero, questo mutamento profondo operato dalla guerra era inversamente proporzionale al valore delle intelligenze coinvolte, almeno a partire da un certo livello. Al più basso, i puri imbecilli, i puri gaudenti, non si curavano che ci fosse la guerra. Ma al più alto, chi s’è fatto un ambiente della propria vita interiore non fa molto caso all’importanza degli avvenimenti. Per costoro l’ordine dei pensieri viene modificato ben più profondamente da qualcosa che sembra non avere, di per sé, alcuna importanza, e sovverte l’ordine del tempo rendendoli contemporanei d’un altro tempo della loro vita.
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