Nel recarsi dai Guermantes, il Narratore indugia appositamente e preferisce fare a piedi una parte del percorso proprio perché non ha voglia di ascoltare tutto il concerto. Si direbbe che, se il suo amore per Albertine ormai è decisamente morto, anche quello per la musica non sia più così intenso.

Ma ecco che, quasi senza volerlo, siamo entrati nel complesso labirinto della critica genetica, un ramo della filologia che, quando non è fine a se stesso, merita attenzione. Cercherò di sintetizzarne alcuni risultati.

In varie occasioni Proust ha dichiarato di avere scritto quasi contemporaneamente le prime e le ultime pagine della Ricerca. A Madame Straus, il 16 agosto 1909: «Ho appena cominciato – e finito – un intero lungo libro».8 A Paul Souday, il 17 dicembre 1919: «Quest’opera è composta in modo così meticoloso che l’ultimo capitolo dell’ultimo volume è stato scritto subito dopo il primo capitolo del primo volume».9

Naturalmente, Proust esagera. Pur di contrastare nei primi lettori l’impressione di trovarsi di fronte a futili ricordi accostati a caso, insiste fin troppo sull’architettura saldamente logica e quindi “classica” del romanzo. Ma in quello che dice c’è molto di vero. In effetti già nel Carnet I, noto anche come Carnet de 1908,10 troviamo la straziante invocazione agli alberi diventati muti («Alberi, non avete più niente da dirmi, il mio cuore raggelato non vi sente più [...]»).11 Troviamo «l’ineguaglianza delle lastre del pavimento del Battistero di San Marco [...] che ci restituiscono il sole accecante del Canal Grande».12 E c’è già l’idea di un qualche accenno a un bal de têtes con l’insistenza sul decadimento fisico e mentale della vecchiaia.13

Se dunque la “fine” del romanzo era già scritta nel 1909, è però anche vero ciò che racconta Céleste Albaret, la devota cameriera, nel libro Monsieur Proust: «Il fatto si situa all’inizio della primavera del 1922 [...] Erano quasi le quattro del pomeriggio quando ha suonato [...] Era molto stanco, ma sorrideva. [...] Buongiorno Céleste [...] è accaduta una cosa grande stanotte. [...] È una grande notizia. Stanotte ho scritto la parola “fine”. [...] Ora posso morire».14 Però, come sappiamo, Proust ha continuato a correggere, aggiungere, spostare fino all’ultima notte, fino al 18 novembre di quell’anno. Insomma: la Ricerca è quello strano romanzo che era già finito nel 1909 ma non era ancora finito nell’inverno di tredici anni dopo.

Il materiale narrativo compreso in questo volume è formato da quattro o cinque blocchi saldati insieme.

Un primo blocco è il soggiorno a Tansonville, in quella che era stata la dimora di Swann, con le passeggiate notturne in direzione di Méséglise o di Guermantes e la sconvolgente “scoperta” che le due “parti” (o côtés) non erano affatto antitetiche come il giovane Narratore aveva creduto. Da qui in poi cominciano a convergere tutte le alternative che nell’infanzia gli si erano presentate come se fossero scisse in un kierkegaardiano aut-aut. Sul piano sociologico-simbolico, i due punti culminanti di questa inversione di rotta sono il matrimonio tra Madame Verdurin e il principe di Guermantes, e, ancor più, l’incontro con Mademoisellelle de Saint-Loup. Sul piano dell’estetica, ciò che conta è la riconciliazione tra le poetiche irrazionaliste del mistero e quelle che affidano ampi poteri alla ragione narrante.15 Anne Henry ha molto insistito nei suoi studi sulla presenza, nella visione del mondo di Proust, di elementi ispirati a Schelling e alla sua filosofia dell’indifferenziazione tra soggetto e oggetto. Mi chiedo se non sarebbe invece più corretto ipotizzare una qualche forma di resurrezione della dialettica hegeliana. Proust ci presenta una tesi e una antitesi non indifferenziate ma ben distinte tra loro; lascia però a noi il compito di elaborare la necessaria sintesi. Anzi: in un certo senso, la sintesi hegeliana è incarnata proprio in questa figlia di Gilberte e di Robert.16

A Tansonville incontriamo due libri. Gilberte legge uno dei romanzi brevi più “audaci” di Balzac, La Fille aux yeux d’or, una torbida e cruenta storia di amore lesbico. Il Narratore legge invece alcune pagine inedite del diario di Edmond de Goncourt che accrescono il suo scoraggiamento. In un divertente pastiche dello stile di Edmond, Proust ne mette in ridicolo il miscuglio di raffinatezze un po’ volgari e l’esagerata attenzione per i dettagli, che finisce per sconfinare nell’idolatria dell’oggetto. E fin qui non ci sarebbe nessun motivo valido, per il Narratore, per dubitare della propria vocazione letteraria. Se, a differenza di Edmond, invece di fotografare le persone, egli ne fa la radiografia, cioè le scruta in profondità, questo per un aspirante scrittore come lui non è certo un difetto, semmai è un pregio. Però Edmond ha “visto” anche cose importanti che al Narratore erano sfuggite, ad esempio il fatto che il signor Verdurin non fosse solo un ricco speculatore intellettualmente mediocre e grossolano: era anche un critico raffinato, autore di un bel saggio sul pittore Whistler. Più in generale, nell’impressione complessiva che il Narratore aveva tratto da quella società prevalevano in modo eccessivo gli aspetti negativi e grotteschi.

C’è poi l’irrompere della malattia, con i lunghi ricoveri in case di cura per disturbi nervosi, intervallati da ritorni in una Parigi che è ormai alla vigilia o nel bel mezzo della Prima guerra mondiale. Malattia interiore e malattia collettiva si rispecchiano l’una nell’altra. La guerra entra nel romanzo per via indiretta, attraverso i discorsi e i comportamenti assai diversi tra loro di Saint-Loup, di Bloch e di Morel e mediante i racconti epistolari di Gilberte, trasferitasi a Tansonville per salvare la casa paterna dalla distruzione. Distruzione cui invece non sfugge Combray, con la sua chiesa, il campanile, il vecchio ponte, e tutti quei luoghi che Proust ci aveva fatto amare. Ma Combray non sarebbe stata distrutta se non avesse subito un vertiginoso trasloco dall’Eure-et-Loir (la bella e pianeggiante regione a sudovest di Parigi, in cui si trova la vera Illiers) alle zone dove infuriò la battaglia della Marna, a nordest della capitale: è questa la più vistosa trasformazione genetico-geografica provocata nel romanzo dal conflitto mondiale. Esso offre lo spunto a pagine di alto livello emotivo scritte nel registro tragico17 (basti pensare all’eroica morte di Saint-Loup), ma complessivamente prevale il registro satirico.