Nils notò che le oche non volavano in linea retta, ma che si spostavano qua e là, liete di essere tornate e di salutare ogni villaggio e casolare. Passarono anche sopra un grande edificio coronato da alte ciminiere, ai cui piedi erano accoccolate alcune casupole. — É lo zuccherificio di Jordberga, è lo zuccherificio di Jordberga! —
gridarono da terra i galli. Nils trasalì: come mai non aveva riconosciuto il posto? Era a due passi da casa sua, e a Jordberga l’estate scorsa aveva fatto il guardiano d’oche e conosciuto Åsa (In svedese si pronuncia “Osa”. N.d.T.), la guardiana, e il piccolo Mats, con cui aveva fatto amicizia.
Chissà cos’avrebbero detto ora se avessero saputo che volava sopra le loro teste!
Ben presto, però, perse di vista anche Jordberga. Volavano adesso verso Svedala e il lago di Skaber, girando poi in direzione del convento di Börringe, e Nils in quell’unica giornata aveva visto più cose della Scania che in tutta la sua vita.
Quando le oche selvatiche ne incontravano di domestiche, si divertivano più che mai; rallentavano il volo e gridavano: — Stiamo andando ai fiells! Perché non venite, perché non venite?
Ma le oche domestiche rispondevano: — L’inverno non è ancora passato.
Siete arrivate troppo presto. Tornate indietro, tornate indietro.
Le oche selvatiche scendevano allora bassissime per farsi udire meglio, e gridavano: — Venite con noi, vi insegneremo a volare e a nuotare! — Ma le altre facevano le offese, e non si degnavano più di rispondere, e allora le oche selvatiche calavano ancora più in giù, tanto da toccare quasi terra, per poi risalire come frecce, fingendosi spaventate. — Ohi, ohi — gridavano — non erano oche! Erano solo pecore, erano solo pecore — e le oche domestiche, infuriate:
— Che possano abbattervi a fucilate e mettervi tutte in pentola a bollire o al forno!
Il ragazzo a quei battibecchi rideva. Non aveva mai viaggiato con tanta rapidità, e gli era sempre piaciuto andare a cavallo spingendo la bestia alla massima velocità, in una corsa sfrenata. Non aveva mai supposto che lassù l’aria fosse così fine e che il profumo della terra e dei boschi salisse tanto in alto. E com’era divertente volare al di sopra della terra! Era come abbandonare tutte le preoccupazioni, staccarsi dai pensieri e dagli assilli d’ogni genere.
Akka di Kebnekajse
LA SERA
Il grosso papero bianco che si era unito alle oche selvatiche era fierissimo di sorvolare il paese in loro compagnia e di farsi beffe dei volatili domestici. Ma, per quanto felice, cominciava a essere stanco. Si sforzava, è vero, di respirare più a fondo, di battere più in fretta le ali, ma la distanza tra lui e le altre oche aumentava.
Quelle che erano in coda allo stormo, resesi conto che non riusciva più a seguirle, chiamarono l’oca che volava in testa: — Akka di Kebnekajse! Akka di Kebnekajse!
— Che vi succede?
— L’ocone bianco resta indietro!
— Spiegategli che si fa meno fatica a volare in fretta che adagio — gridò Akka senza rallentare il ritmo.
L’ocone si sforzò di seguire il consiglio e di accelerare, ma ben presto si sentì talmente sfinito che scese fin quasi all’altezza dei salici che bordavano campi e strade.
— Akka, Akka, Akka di Kebnekajse — gridarono le oche di coda, accortesi dello sfinimento dell’ocone.
— Che volete ancora? — chiese Akka con tono molto seccato.
— L’ocone bianco cade, l’ocone bianco cade.
— Ditegli che volare in alto è più facile che volare in basso — ribatté Akka e continuò col ritmo di prima.
Il papero si obbligò a seguire anche questo consiglio, ma lo sforzo di salire gli dava un tale affanno, che gli pareva che il petto stesse per scoppiargli.
— Akka, Akka! — presero a gridare le oche ai lati della formazione.
— Non potete lasciarmi in pace? — rispose Akka più seccata che mai.
— L’ocone bianco sta per scoppiare, l’ocone bianco sta per scoppiare.
— Chi non sa volare in formazione, se ne vada! — rispose l’oca di testa, senza neppure sognarsi di rallentare il suo volo.
— Ah, è così dunque? — si disse il papero domestico.
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