Ma nel cuore di un giovane ocone i richiami avevano suscitato la febbre dell’avventura. — Se passa ancora uno stormo, andrò con loro — disse il papero.
Ed ecco comparire un altro stormo, e l’ocone prese a gridare: — Aspettatemi, aspettatemi, vengo con voi! — Spiegò le ali e si staccò da terra ma, non avendo l’abitudine al volo, ricadde al suolo.
Dal muretto, Nils vedeva e udiva tutto. Sarebbe stato un guaio se il papero, intento a rinnovare i propri sforzi, se la fosse svignata: al ritorno, il papà e la mamma si sarebbero arrabbiati moltissimo. E, dimentico ancora una volta di essere piccolo e inetto, balzò in mezzo alle oche e afferrò il papero per il collo. — Tu resti qui, inteso? — gridò. Ma proprio in quel momento il papero aveva capito come fare ad alzarsi da terra. E dimentico, nella foga, di scrollarsi di dosso il ragazzo, lo portò in alto con sè. Salivano con velocità tale che Nils fu preso dalle vertigini, e prima che gli passasse per la mente di lasciare il collo della candida oca, si ritrovò tanto in alto che se fosse ricaduto a terra si sarebbe sfracellato. Non gli restava che aggrapparsi con tutte le sue forze alla schiena del volatile. Bene o male riuscì a tenersi in equilibrio sul dorso liscio e scivoloso, tra le due ali battenti, stringendo penne e piume con le due mani.
LA STOFFA A RIQUADRI
A lungo Nils fu talmente preda delle vertigini da non riuscire a rendersi conto di niente. L’aria fischiava e lo frustava, le ali battevano, le penne sibilavano con fragore di tempesta. Attorno a lui, tredici oche volavano agitando le ali e schiamazzando. A Nils bruciavano gli occhi, ronzavano le orecchie, non sapeva se volava in alto o in basso, né tantomeno dove l’oca lo stesse portando. Alla fine si riprese e si rese conto che doveva tentare di capire in quale direzione stesse andando, ma non aveva il coraggio di guardare all’ingiù. Finì per vincere la paura e gli si offerse uno spettacolo singolare: quello di un’immensa tela suddivisa in una miriade di rettangolini.
— Dove sono? — chiese ad alta voce. — E che cos’è quella strana tela laggiù? —
Le oche che gli volavano attorno risposero: — Sono campi e prati. Sono campi e prati.
Nils comprese allora che la stoffa a quadretti era null’altro che la pianura della Scania. I rettangoli verde tenero erano campi di segale, quelli gialli stoppie, quelli scuri campi arati, i neri prati trifoglio vecchio, le macchioline non potevano essere che i tetti di paglia delle case. C’erano poi dei rettangoli verdi orlati di scuro tra l’uno e l’altro tetto: orti verdeggianti circondati da siepi e boschetti non ancora rivestiti di foglie.
Alla vista di tutti quei rettangoli, adesso che aveva capito di che cosa si trattava, non poté trattenere una risata. Ma le oche lo udirono e gridarono con tono di rimprovero: — Paese buono e fertile, paese buono e fertile! — e Nils tornò serio e si disse: — Come osi ridere, tu cui è capitata la più terribile sventura che possa toccare a un essere umano?
Ormai però si era abituato a quel modo di viaggiare, e poteva pensare anche ad altro che non a tenersi semplicemente in equilibrio. Costatò a esempio che l’aria era piena di stormi di uccelli, tutti diretti a nord, e dall’uno all’altro gruppo era un continuo scambio di richiami e saluti. — Ah, eccovi qua, avete compiuto oggi la traversata? — gridavano alcuni uccelli.
— Ma sì, ma sì — rispondevano le oche. — A che punto è la primavera?
— Non ha ancora una foglia sugli alberi, e l’acqua dei laghi è gelata — suonò la risposta.
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