Inferno
August Strindberg
INFERNO
Introduzione di Mario Moretti
Traduzione di Carlo Picchio
Edizione integrale
Tascabili Economici Newton, Roma - 1994
100 pagine 1000 lire
ISBN 88-7983-442-8
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Introduzione
Nell’estate del 1894 August Strindberg arriva a Parigi. Lo raggiunge dopo poco Frida Uhl, la sua seconda moglie. I coniugi hanno lasciato in Austria Kerstin, la figlioletta di appena quattro mesi, che viene affidata alle cure della nonna materna. Frida ha ventitré anni meno dello scrittore: è capricciosa e volitiva, talora tirannica; sa essere deliziosamente corroborante, ma è, più spesso, esasperante. Insomma, anche il secondo matrimonio di Strindberg è burrascoso. «La mia prima moglie», dice Strindberg a Marcel Réja [1], «era un demonio, ma in confronto con la seconda era un angelo!» I due si erano conosciuti a Berlino nell’ambiente della bohème artistica e si erano presto sposati, nel maggio del 1893 (un anno appena dopo il divorzio di Strindberg), nell’isola di Heligoland. Frida, austriaca, è giornalista; Strindberg, che è già noto come scrittore, fa il bello spirito e dongiovanneggia nel caffè dell’«Abbazia», che lui stesso ribattezza «Al maialino nero». Lo scrittore polacco Stanislaw Przybyszewski - che sarà chiamato in Inferno Popoffsky - ci dà, in un suo memoriale su Strindberg, alcune informazioni che potranno essere molto utili per la genesi del libro.
Nel 1884 Strindberg aveva già subito un processo per Sposi (Giftas), un racconto pubblicato in Svezia e subito sequestrato e denunciato per «vilipendio di Dio o delle sue parole o dei suoi sacramenti». Dieci anni dopo, nel luglio del 1894, era iniziato in Germania il processo per l’edizione tedesca dell’Autodifesa di un folle, violento pamphlet contro Siri von Essen, la prima moglie. Przybyszewski ci fornisce di Strindberg un ritratto nient’affatto lusinghiero. Ce lo descrive come vanitoso e fatuo («non faceva altro che aggiustarsi i capelli con un pettine che si portava sempre dietro»); in compagnia, non si staccava mai da una chitarra che, a fine sera, usava per cantare «reggendosi su una gamba sola», malinconiche ed oscene canzoni goliardiche svedesi (probabilmente di Carl Bellman). Per lo scrittore polacco Strindberg era «afflitto da mania di persecuzione, che doveva trasformarsi, qualche anno dopo, in furore maniacale»: era il «genio dell’odio, non troverete mai amore nei suoi scritti». Inoltre, non tollerava la contraddizione, il suo modo di parlare «era autoritario, dogmatico»; il suo cervello dispotico, «di tipo spiccatamente femminile, era quasi incapace di pensare in modo astratto e metafisico». Questa animosità dello scrittore polacco nei confronti di Strindberg ha una spiegazione, come vedremo dopo. Quello che conta, tuttavia, agli effetti di una interpretazione della straordinaria avventura parigina di Strindberg negli anni dal 1894 al 1896, è quanto si può desumere da quella sorta di antefatto che è la permanenza tedesca dello svedese. A Berlino, Strindberg si era presentato con soli cinquanta centesimi in tasca, reduce dalla sua prima disavventura coniugale, e fu grazie ad una colletta dello scrittore polacco e di altri esuli ebrei che riuscì a sistemarsi in un piccolo albergo dell’Unter den Linden. Per il resto, «un certo Seligsohn pagava i conti dell’albergo, che spesso erano esorbitanti - Strindberg non si faceva mancare nulla».
Strindberg era un formidabile bevitore, e gli anni di Berlino contribuirono non poco a creargli la fama di alcolizzato. Przybyszewski ce ne dà conferma testimoniale, e fa di più: interessato di scienze occulte ci informa di essere stato lui stesso ad instradare Strindberg nella conoscenza della magia nera, «naturalmente solo dal punto di vista teorico»: «Gli parlavo molto dell’azione della magia a distanza, gli dicevo che con l’aiuto di figurine di cera nel medioevo si uccidevano i propri avversari […] gli narravo delle forze ignote che possono sottoporre l’odiata vittima alle più atroci torture». Quindi, segue un passaggio molto enigmatico ma di grande efficacia per tentare di penetrare il mistero delle persecuzioni, vere o false che siano, di cui sarà vittima Strindberg a Parigi: «Se qualche lettore fosse interessato a conoscere quale influenza ebbero questi miei racconti su Strindberg qualche anno dopo, dovrebbe leggere in Inferno le crudeli sofferenze che il negromante Popoffsky, stando a Berlino, gli inflisse durante il tempo in cui, a Parigi, fu costretto a letto da una malattia» [2].
Przybyszewski, che fu scrittore notevole e personaggio noto nella Berlino fin-de-siècle e, ovviamente, in Polonia, dove tornò dopo gli anni trascorsi all’estero, è stato più volte il soggetto di disegni e di dipinti di Edvard Munch. In un disegno di Munch, Jalousie, 1896, la sua effigie un po’ stralunata, con gli occhi fissi del monomaniaco, campeggia in primo piano, mentre in secondo piano, sul fondo, una donna discinta, con il seno scoperto, si intrattiene su un letto con un uomo visto di spalle: si tratta di Dagny Juel, una giovane norvegese venuta a Berlino a studiare musica, e di August Strindberg. Jalousie, come abbiamo detto, è del 1896 (Munch era a Parigi): il disegno deve quindi essere considerato una sorta di studio a memoria o una elaborazione di schizzi precedenti. Ma quali erano stati i rapporti tra Przybyszewski, Dagny Juel e Strindberg? Lasciamo ancora la parola al polacco: «Strindberg, durante il tempo in cui non ci eravamo visti, e nonostante la sua età, aveva allacciato relazioni con vane donne. Si era fidanzato con la figlia del redattore-capo del Neue Freie Press, la signorina Uhi. Poi, quando la sua futura moglie era partita per Vienna per informare i genitori della sua straordinaria conquista, s’era innamorato di una norvegese giunta a Berlino per studiare musica, la signorina Dagny Juel, fino al punto da avanzarle proposta di matrimonio, dimentico del fidanzamento con la signorina Uhl. E allorché la signorina Juel gli fece notare che poteva essere suo padre, prese a odiare intensamente questa donna che aveva osato offenderlo così. Quindi aveva dedicato tutte le sue velleità a un’attrice finlandese il cui marito risiedeva a Weimar, e le era corso dietro fino in questa città […] Solamente dopo la partenza di Strindberg da Berlino con la consorte conobbi in circostanze curiose la mia prima moglie: Dagny Juel Questa è la verità sulla leggenda diffusa in tutta la Polonia e in Germania circa la mia corte alla “moglie” di Strindberg».
Il ritratto di questo Strindberg effimero, ubriacone, inveterato donnaiolo, ora è chiaro, nasce da un forte risentimento dello scrittore polacco nei confronti del collega svedese. E dalla gelosia, evidentemente, visto che è stata perfino istoriata. Stando a Munch, che era amico dei due rivali, non sembra che la norvegese abbia tanto disdegnato la corte di Strindberg [3]. In un altro suo disegno, la Juel è vista a figura intera, completamente nuda, con Strindberg vestito, sempre di spalle, mentre il viso del polacco occupa tre quarti del quadro ed appare non già stralunato come nell’altro disegno, ma più martoriato che inquieto, più rassegnato e stanco, come un voyeur condannato ad assistere eternamente alle effusioni sessuali della sua donna con l’«altro». Ma Przybyszewski sa di essere raffigurato da Strindberg in Inferno con il mimetico, ma non troppo, nome di Popoffsky? Sembrerebbe di no, dal momento che descrive questo Popoffsky come un «negromante» che «infligge crudeli sofferenze», da Berlino, allo Strindberg che abita a Parigi.
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