Due ci sono che non sembrano inalati, ma le loro facce rivelano angoscia e disperazione. Sono dei grandi ladri dell’alta società, che, grazie a potenti raccomandazioni, hanno potuto sfuggire, come malati alla prigione.

Un disgustoso odore di iodoformio mi toglie l’appetito. E, poiché ho le mani bendate, devo, per tagliarmi il pane e per versarmi da bere, chiamare in aiuto il mio vicino.

Per questo banchetto di delinquenti e di condannati a morte trascorre la buona Madre, la Superiora, nel suo severo costume nero e bianco, e porge a ciascuno di noi la velenosa medicina che gli spetta. Brandendo un bicchiere di arsenico bevo alla salute di una testa di morto, la quale mi ricambia con una coppa di digitalina. Tutto questo è spaventevole e, per giunta, ci si chiede ancora di esserne grati. Ciò mi rende furioso. Dovere ancora dire grazie per così poco, e per una cosa che spiace!

Mi si veste, mi si sveste, mi si assiste come un bambino. La caritatevole suora prende simpatia per me, mi tratta come un marmocchio, mi dice «figlio mio», ed io dico a lei «madre mia».

Come fa bene poter pronunciare questa parola «madre» che da trent’anni non è più venuta sulle mie labbra! La vecchia, un’agostiniana, che porta l’abito dei morti perché non ha mai vissuto la vita, è soave come la rassegnazione, e ci ammaestra a sorridere delle nostre pene, come di altrettante gioie, perché essa sa che il dolore è benefico. Non ha mai una parola di rimprovero; non tedia mai con ammonimenti o con prediche.

Essa è così esperta del regolamento di questi ospedali laicizzati che può financo concedere ai malati, non mai a se stessa, alcune piccole libertà. Così a me permette di fumare in camera mia, e si offre d’arrotolarmi qualche sigaretta. Ma io ricuso. Essa mi procura il permesso d’uscire fuori delle ore ordinarie. Appena scopre che mi interesso di chimica, mi presenta all’erudito farmacista dell’ospedale. Questi mi impresta dei libri e quando gli espongo la mia teoria sulla costituzione dei corpi semplici, m’invita a lavorare nel suo laboratorio. Nella mia vita questa monaca ha rappresentato qualcosa. Incomincio a riconciliarmi col mio destino e apprezzo la buona disgrazia che mi ha condotto in questo asilo benedetto.

Il primo libro che prendo nella biblioteca del farmacista si apre da sé e il mio sguardo, come un falco, piomba su di un rigo del capitolo: Fosforo.

Lì, in due parole, l’autore racconta come il chimico Lockyer abbia dimostrato, col mezzo dell’analisi spettroscopica, che il fosforo non è un corpo semplice. La relazione di Lockyer intorno ai suoi esperimenti fu presentata alla Accademia delle Scienze di Parigi e questa non poté contestare il fatto.

Rianimato da questo inatteso consenso, prendo le mie coppelle con i residui dello zolfo non interamente bruciato, e le consegno ad un ufficio di analisi chimiche, dove mi si promette il certificato d’esito per il mattino seguente.

Era il giorno del mio compleanno.

Al mio ritorno all’ospedale trovo una lettera di mia moglie. Essa compiange la mia disgrazia, vuole tornare a vivere con me, vuole curarmi ed amarmi.

Questa fortuna, d’essere ancora, nonostante tutto, amato, genera in me il bisogno di ringraziare; ma chi? Forse l’ignoto che si è celato per tanti anni?

Il cuore adesso mi palpita: confesso l’indegna menzogna della mia supposta infedeltà; chiedo perdono e, senza avvedermene, riscrivo una lettera d’amore a mia moglie. Rimando tuttavia la nostra riunione ad un momento più opportuno.

* * *

Il giorno appresso corro dal mio chimico al boulevard Magenta.

In una busta chiusa porto all’ospedale il certificato della analisi. Mentre passo, nel cortile interno, davanti alla statua di San Luigi, mi risovvengono le tre opere del Santo: l’istituto dei ciechi, l’Università e la Cappella. Io le interpreto così: «dal dolore, attraverso il sapere, alla penitenza».

Mi chiudo in camera, apro la busta che deve decidere del mio avvenire. Leggo:

«La polvere consegnataci per l’analisi presenta queste proprietà: Colore: grigio-nero; lascia tracce sulla carta. Densità: molto rilevante; superiore alla densità media della grafite; si direbbe una grafite dura. Analisi chimica: Questa polvere brucia facilmente sviluppando ossido di carbonio e acido carbonio. Essa contiene dunque carbonio!».

Lo zolfo puro contiene carbonio!

Sono salvo. Potrò in avvenire provare ai miei amici e ai miei parenti che non sono un pazzo. Le teorie che ho formulato nel mio scritto Antibarbarus sono confermate. Quando pubblicai questo saggio, or è un anno, la stampa lo trattò come l’opera di un ciarlatano o di un pazzo, e la mia famiglia mi scacciò come un cialtrone, un Cagliostro.

Adesso, avversari miei, siete a terra! Il mio Io si gonfia di legittimo orgoglio. Voglio lasciare l’ospedale, voglio urlare per le strade, voglio far chiasso davanti all’istituto, voglio demolire l’Università…; ma le mie mani sono fasciate e, se esco in cortile, gli alti muri del recinto mi consigliano: pazienza!

Quando comunico il risultato dell’analisi al farmacista, egli mi propone di convocare una commissione davanti alla quale io potrò dimostrare sperimentalmente il mio assunto.

Ma io non voglio aspettare e d’altra parte, conosco la mia riluttanza a presentarmi in pubblico. Perciò scrivo un articolo sull’argomento e lo mando al Temps.

L’articolo compare due giorni dopo.

L’avvio è dato.