Ma costoro hanno molto talento e molto spirito; uno solo ha del genio, un genio disordinato che già si è conquistato un nome.
Ad ogni buon conto è una famiglia dove mi si vuol bene, ed io debbo gratitudine a questa gente. Chiudo perciò gli occhi, e gli orecchi, a tutto ciò che rientra nelle loro faccende private e che non mi riguarda.
Se avessi fuggito costoro per un non giustificato orgoglio, sarebbe stata logica la mia punizione; ma la ragione della mia fuga fu il desiderio di purificare la mia personalità e di edificare, nel raccoglimento della solitudine, il mio spirito. Non capisco, perciò, quale via abbia, in questo caso, seguito la Provvidenza. Tanto più che il mio carattere è così mite che, per mera socievolezza e per timore d’essere ingrato, mi adatto sempre all’ambiente.
Sbandito, per la mia povertà lacrimevole e indecorosa, dal consorzio sociale, ero ben felice d’aver trovato un rifugio per le lunghe sere d’inverno, anche se quella conversazione così lubrica mi faceva soffrire parecchio.
* * *
Da quando ho scoperto che la mano invisibile guida i miei passi sull’aspro cammino, non mi sento più solo e mi vigilo severamente sia nelle opere che nelle parole, sebbene ciò non sempre riesca. Ma, non appena io pecco, c’è qualcuno che sempre mi coglie in flagrante, e la punizione è inflitta con una puntualità ed una esattezza che non lasciano dubbio alcuno sull’intervento d’una potestà la quale si propone di emendare. Lo Sconosciuto è diventato una mia personale conoscenza: io gli parlo, lo ringrazio, gli chiedo consiglio. Talvolta me lo figuro come un mio servitore, simile al dàimon di Socrate, e la coscienza d’essere sorretto dallo Sconosciuto m’infonde tanta energia e tanta sicurezza che io estrinseco una potenza attiva quale mai avrei in me sospettata.
Naufrago tra gli uomini, io rinasco in un mondo diverso nel quale nessuno può seguirmi. Eventi senza importanza attraggono la mia attenzione; i sogni della notte assumono forma di presentimenti; penso di essere morto e che la mia vita trascorra in una sfera nuova.
* * *
Da quando ho provato che lo zolfo contiene il carbonio, mi restano ancora da scoprire l’idrogeno e l’ossigeno, di cui si può, per ragioni di analogia, supporre con fondamento la presenza.
Passano due mesi tra calcoli e meditazioni, ma mi mancano gli strumenti necessari per fare esperienze. Un amico mi consiglia di andare nel Laboratorio della Sorbona, il quale è aperto anche agli stranieri. Siccome sono timido e misantropo non ardisco prendere una risoluzione. Così il mio lavoro si arresta e sopraggiunge un attimo di abbattimento.
In un bel mattino di primavera mi alzo di buon umore, scendo per la rue de la Grande Chaumière e arrivo alla rue de Fleurus che sbocca nel giardino del Lussemburgo. La via, piccola e graziosa, è tranquilla; il grande viale d’ippocastani è tutto verde, splendente, largo e diritto come una pista da corsa e, laggiù in fondo, s’inalza come se fosse una pietra di confine, la colonna di David. Lontano, sopra di tutto, la cupola del Pantheon, la cui croce dorata quasi si confonde con le nuvole.
Rapito da questa scena simbolica mi fermo. Ma quando ne distolgo lo sguardo, noto alla mia destra, in rue Fleurus, l’insegna di un tintore. Ah! Una visione d’incontestabile realtà. Sulla vetrina del negozio stanno dipinte le iniziali del mio nome: A. S. Esse ondeggiano su di una nuvola argentea e vi s’incurva sopra un arcobaleno.
Omen accipio, ricordandomi del Genesi: «Ho collocato il mio arco nella nuvola, ed esso sarà il segno dell’alleanza fra me e la terra».
Non tocco più il suolo, entro con passo alato nel giardino dove non c’è anima viva. In quest’ora mattutina il parco è mio, mio è il roseto, ed io visito tutti i miei fiori nelle aiuole lunghe e strette: i crisantemi, le verbene, le begonie.
Oltrepasso la pista, arrivo alla pietra di confine, esco per il cancello della rue Soufflot e svolto in direzione del boulevard Saint-Michel. Davanti ai banchi della libreria di Blanchard mi fermo; prendo in mano, senza pensarci, un vecchio volume della chimica di Orfila, lo apro a caso e leggo:
«Lo zolfo è stato classificato tra i corpi semplici. Le accurate indagini di H. Davy e quelle più recenti di Berthollet sembrano tuttavia indicare che esso contiene idrogeno, ossigeno e una particolare base, che finora non è stato possibile isolare».
Si può immaginare il mio, vorrei dire, religioso rapimento mentre si compie per me questa rivelazione la quale confina col prodigio. Davy e Berthollet hanno accertato la presenza dell’idrogeno e dell’ossigeno; io ho trovato il carbonio. Spetta dunque a me enunciare la formula dello zolfo.
* * *
La mattina in cui mi recai alla Sorbona fu per me un giorno solenne. Sebbene non m’illudessi di poter convincere i professori, i quali mi avevano ricevuto con la fredda cortesia che si dimostra ad uno straniero e ad un intruso, una pacata serena letizia m’infondeva il coraggio del martire che assalta una falange di nemici. Poiché per me, e alla mia età, la gioventù è il naturale nemico.
Quando giungo sulla piazza dove si trova la chiesetta della Sorbona, trovo la porta aperta e vi entro, senza sapere esattamente il perché. La Vergine Madre e il Bambino mi salutano con un benigno sorriso; il Crocifisso mi lascia freddo; esso mi appare, come sempre, incomprensibile. San Luigi, la mia nuova conoscenza, l’amico dei miseri e dei lebbrosi, si fa presentare lì dei giovani teologi. Forse è San Luigi, il mio Santo protettore, il mio angelo buono, colui che mi ha sospinto all’ospedale perché vi potessi sperimentare il fuoco della suprema angoscia prima di riconquistare la fama che mena all’indegnità e al dispregio? È lui che mi ha mandato alla libreria di Blanchard? È lui che mi ha fatto venire qui?
Dall’ateismo sono piombato nella più completa superstizione.
Mentre contemplo le immagini votive che testimoniano del felice superamento di esami, faccio voto di non accettare, se mi arriderà il buon successo, i segni terreni della distinzione.
L’ora è sonata. Passo tra le diffidenti occhiate della gioventù spietata; essa sa quale chimerico compito io mi sia proposto, e mi deride.
* * *
Due settimane dopo, ho ottenuto le irrefutabili prove che lo zolfo è una combinazione ternaria di carbonio, di ossigeno e d’idrogeno.
Ringrazio il direttore del Laboratorio, il quale finge di non interessarsi alle mie faccende, e lascio questo altro purgatorio con un’intima ed ineffabile gioia.
Di mattina, quando non vado al giardino del Lussemburgo, faccio una passeggiata al Cimitero di Montparnasse.
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