Partito che fu, la Bella andò a sedersi nella gran sala; e anche essa cominciò a piangere; ma essendo molto coraggiosa, si raccomandò a Dio e fece conto di non darsi tanto alla disperazione per quel poco di tempo che le restava ancora da vivere: perché ella credeva fermamente che la Bestia sarebbe venuta a mangiarla nella serata.

Intanto, mentre aspettava, pensò bene di girare e di visitare il castello, del quale non poteva starsi dall’ammirare le grandi bellezze.

E figuratevi se rimase a bocca aperta, quando vide una porta sulla quale c’era scritto: Quartiere della Bella.

Aprì in fretta e in furia questa porta e fu abbagliata dalle magnificenze che vi erano dentro; ma ciò che maggiormente la colpì, fu la vista di una gran biblioteca, di un clavicembalo e di molti quaderni di musica.

“Si vede proprio che non vogliono che io mi annoi”, disse fra sé e sé; quindi pensò:

“Se io dovessi albergare qui un giorno solamente, non mi avrebbero ammannito tutte queste belle cose”.

Questo pensiero rianimò il suo coraggio. Ella aprì la biblioteca e vide un libro sul quale era scritto a lettere d’oro: “Desiderate e comandate; voi siete qui signora e padrona!…”.

“Meschina me!”, diss’ella, “io non ho altro desiderio che di vedere il mio povero padre e di sapere che cos’è di lui in questo momento! “ Queste parole le aveva dette dentro di sé, ma quale non fu il suo stupore, quando gettando gli occhi sopra uno specchio, vi mirò la sua casa, e per l’appunto in quel momento in cui vi giungeva suo padre con un viso da far pietà.

Le sue sorelle gli andavano incontro; e malgrado le smorfie che facevano per parere afflitte, mostravano sul viso e a fior di pelle la contentezza provata per la perdita della loro sorella.

Dopo un minuto sparì ogni cosa, ma la Bella non poté far di meno di pensare che la Bestia era molto compiacente, e che non aveva nulla da temere da essa.

A mezzogiorno trovò la tavola bell’e apparecchiata: e durante il pranzo udì un’eccellente musica, senza che potesse vedere alcuno.

La sera mentre stava per mettersi a tavola, sentì il fracasso che faceva la Bestia e fu presa da un tremito di paura:

“Bella”, le disse il mostro, “siete contenta che io stia a vedervi mentre cenate?”.

“Non siete voi il padrone?”, rispose la Bella, tremando.

“No”, replicò la Bestia, “qui non c’è altri padroni che voi; se vi sono importuno, non dovete far altro che dirmelo e me ne anderò subito. Ditemi una cosa: non è vero che io vi sembro molto brutto?”

“È vero, sì”, rispose Bella, “perché io non sono avvezza di dire una cosa per un’altra; peraltro vi credo buonissimo di cuore.”

“Avete ragione”, disse il mostro, “ma oltre all’essere brutto io non ho punto spirito, e so benissimo d’essere una Bestia.”

“Non è mai una Bestia”, rispose Bella, “colui che crede di non avere spirito.

Gl’imbecilli non arriveranno mai a capire questa cosa.”

“Su dunque, mangiate, Bella”, le disse il mostro, “e cercate tutti i mezzi per non annoiarvi nella vostra casa: perché tutto quello che vedete qui, è roba vostra: e io sarei mortificato se non vi sapessi contenta.”

“Voi avete molta bontà per me”, disse la Bella, “e sono contentissima del vostro cuore: quando ci penso non mi sembrate nemmeno tanto brutto.”

“Oh! per questo”, rispose la Bestia, “il cuore è buono: ma io sono un mostro!”

“Conosco degli uomini che sono più mostri di voi”, disse Bella, “e quanto a me, mi piacete più voi con codesta vostra figura, di tant’altri che, sotto l’aspetto d’uomo, nascondono un cuore falso, corrotto e sconoscente.”

“Se avessi un po’ di spirito”, disse la Bestia, “farei un complimento per ringraziarvi: ma io sono uno stupido; e tutto quel che posso dirvi è che vi sono obbligato.”

La Bella cenò di buon appetito. Essa non aveva quasi più paura del mostro; ma fu lì lì per morire di spavento, quando egli le disse: “Bella, volete esser mia moglie?”.

Ella stette un po’ di tempo senza rispondere: aveva paura di svegliare la collera del mostro con un rifiuto; a ogni modo disse con voce tremante:

“No, Bestia”.

A questa risposta il povero mostro volle mandar fuori un sospiro e gli venne fatto un sibilo così spaventoso, che ne rintronò tutto il palazzo.

Ma la Bella fu presto rassicurata, perché la Bestia, dopo averle detto “addio, dunque, Bella”, uscì dalla camera voltandosi indietro tre o quattro volte per poterla ancora vedere.

Quando la Bella fu sola cominciò a sentire una gran compassione per la povera Bestia, e diceva: “Che peccato che sia così brutta, mentre sarebbe tanto buona!”.

La Bella, per tre mesi, menò in questo palazzo una vita abbastanza tranquilla.

Tutte le sere la Bestia andava a farle visita, e durante la cena si tratteneva con lei, facendo mostra di molto buon senso, ma giammai di ciò che si chiama spirito fra le persone del mondo galante. Ogni giorno che passava, la Bella scopriva nuovi pregi nel mostro. A furia di vederlo, aveva fatto l’occhio alle sue bruttezze, e invece di temere il momento della sua visita, ella guardava spesso l’orologio per vedere quanto mancava alle nove, perché la Bestia a quell’ora era sempre precisa.

Una sola cosa metteva di mal umore la Bella; ed era che tutte le sere, avanti di andare a letto, il mostro le domandava se voleva essere sua moglie, e rimaneva mortificatissimo quand’essa rispondeva di no.

Ella disse un giorno: “Voi mi fate una gran pena, Bestia; vorrei potervi sposare, ma sono troppo sincera per darvi a sperare una cosa che non sarà mai.

Io sarò sempre vostra buon’amica. Contentatevi di questo”.

“Per forza!” rispose la Bestia.