Il caso volle che il nostro incontro avvenisse così.

Ero in viaggio per Londra, proveniente dal nord, e volevo fermarmi durante il tragitto per dare un'occhiata alla casa. La salute mi obbligava a un temporaneo soggiorno in campagna; un mio amico che ne era al corrente, e al quale era capitato di passare davanti alla casa, mi aveva scritto per raccomandarmela come un posto adatto. Ero salito sul treno di mezzanotte, mi ero addormentatomi ero svegliato ed ero rimasto seduto guardando fuori del finestrino le luci del nord scintillanti nel cielo, mi ero riaddormentato e poi risvegliato per accorgermi che la notte era ormai passata, con la solita infelice convinzione di non aver per nulla dormito; cosa sulla quale,nello stato di idiozia in cui mi trovavo sul momento, credo e provo vergogna a dirlo, che avrei scommesso la testa con l'uomo che mi sedeva di fronte. Costui - come puntualmente succede a chi ti siede di fronte durante la notte aveva dato prova di possedere un numero spropositato di gambe e tutte troppo lunghe. Oltre a quella disdicevole condotta (benché fosse non più di quanto c'era da aspettarsi da lui) l'uomo aveva ostentato una matita e un taccuino ed era stato continuamente assorto ad ascoltare e prendere appunti. Mi era parso che quei fastidiosi appunti avessero a che fare con i sobbalzi e gli scossoni dello scompartimento e mi sarei rassegnato al fatto che ne prendesse nota, in base alla vaga ipotesi che quell'uomo fosse nel ramo dell'ingegneria civile, se non avesse guardato fisso, seduto com'era, proprio al di sopra della mia testa ogni volta che restava in ascolto. Era un tipo dagli occhi sporgenti e dall'aria perplessa, e il suo contegno diventò insopportabile.

Era un mattino freddo e spento (il sole non si era ancora alzato); dopo aver visto man mano svanire i fuochi della regione del ferro e la cortina di denso fumo sospesa insieme tra me e le stelle e tra me e il giorno, mi rivolsi al mio compagno di viaggio e dissi: - Vi chiedo scusa, signore, ma notate qualcosa di particolare in me? -.

Poiché, ve lo garantisco, quel tale sembrava prendere appunti sul mio berretto o sui miei capelli con una minuziosità che era sfacciataggine bella e buona.

Il tipo dagli occhi sporgenti distolse lo sguardo da quel punto alle mie spalle, come se il fondo dello scompartimento si trovasse cento miglia lontano da lì, e con un altezzoso sguardo di compassione per la mia nullità disse: - In voi, signore?... B.

- B signore? - dissi io, in tono più acceso.

- Non ho nessun interesse per voi, signore - ribatté - vi prego, permettetemi di ascoltare... O.

Pronunciò questa vocale dopo una pausa e ne prese nota.

Dapprima mi allarmai, poiché trovarsi con un pazzo a tutto vapore senza poter comunicare con il capotreno è un affare serio. Mi confortò il pensiero che costui potesse essere quel che comunemente si dice uno Spiritista: di quella setta cioè per i cui affiliati (non tutti) nutro il massimo rispetto, ma ai quali non do nessun credito.

Stavo per chiederglielo quando mi spense le parole in bocca.

- Vorrete scusarmi - disse l'uomo sdegnosamente - se mi trovo troppo al di sopra dei comuni mortali per darmene la benché minima pena. Ho passato la notte - come per la verità trascorro attualmente il mio tempo - in contatto con gli spiriti.

- Oh! - dissi io, un po' stizzito.

- I colloqui di questa notte – continuò, sfogliando parecchie pagine del suo taccuino - sono iniziati con questo messaggio: "Chi va con lo zoppo impara a zoppicare".

- Giusto - dissi io - ma è proprio una novità?

- E' una novità sentirlo dagli spiriti - ribatté.

Fui solo capace di ripetere il mio "Oh!"alquanto stizzito e chiedere se mi era concesso l'onore di conoscere l'ultima comunicazione.

- "Meglio un uovo oggi - disse quello leggendo con grande solennità la sua ultima annotazione - che una papera domani".

- Completamente d'accordo - dissi io - ma non dovrebbe essere "gallina"?

- A me è arrivato "papera" - ribatté.

In seguito costui mi informò che lo spirito di Socrate, durante la notte, aveva fornito questa straordinaria rivelazione. “"Amico mio, spero stiate abbastanza bene. Siete in due nello scompartimento. Come va?'' Non potete vederli, ma ci sono diciassettemilaquattrocentosettantanove spiriti qui. C'è Pitagora. Non ha la facoltà di dirvelo, ma spera che il viaggio sia di vostro gradimento. Anche Galileo con la sua intelligenza scientifica era venuto a farci visita. "Lieto di incontrarvi, amico'' "Come state?" - ''L'acqua congela quando è fredda al punto giusto.'' "Addio!"”.

Durante la notte, inoltre, c'erano stati i seguenti fenomeni. L'arcivescovo Butler aveva insistito che la scrittura del suo nome era "Bubler" e per questa offesa all'ortografia e alle buone maniere era stato congedato in quanto fuori tono. John Milton (sospetto di mistificazione intenzionale) aveva ripudiato la paternità de "Il paradiso perduto" e come autori congiunti del poema aveva indicato due sconosciuti che rispondevano rispettivamente ai nomi di Grungers e Scadgingtone. E il principe Arturo, nipote di re Giovanni d'Inghilterra, aveva raccontato di passarsela discretamente bene giù al settimo cerchio, dove stava imparando a dipingere sul velluto sotto la guida della signora Trimmer e di Maria regina di Scozia.

Se queste pagine dovessero cadere sotto gli occhi di colui che mi concesse l'onore di accedere a simili rivelazioni, confido che egli vorrà scusarmi se confesso che la vista del sorgere del solee la contemplazione del magnifico ordine del vasto universo, me le rese tanto insopportabili: che fui infinitamente felice di scendere alla stazione successiva e di scambiare nuvole e vapori con l'aria fresca del cielo.

A quell'ora il mattino era splendido. Mentre mi allontanavo camminando sulle foglie già cadute dagli alberi dorati, marroni e rossastri e osservavo intorno a me le meraviglie del creato, considerando le leggi solide immutabili e armoniose che le governano, il contatto con gli spiriti di quel tipo mi sembrò il più mediocre passatempo di questo mondo. In questa scettica disposizione d'animo arrivai in vista della casa e mi fermai a esaminarla con attenzione.

Era una casa solitaria, che sorgeva all'interno di un giardino tristemente trascurato, un quadrato quasi perfetto di circa dieci acri. Era più o meno dell'epoca di Giorgio Secondo: altera, fredda, formale e di cattivo gusto, proprio come potrebbe desiderarla un fedele ammiratore dell'intero quartetto dei Giorgi. Era disabitata, ma da uno o due anni era stata restaurata alla meglio per renderla abitabile; dico alla meglio perché il lavoro era stato eseguito in modo superficiale; quanto alla vernice e all'intona, cosi stavano già deteriorando sebbene i colori fossero vivaci. Sul muro del giardino, inclinato da un lato, un cartello annunciava che la casa era "in affitto a condizioni molto vantaggiose, ben ammobiliata". Era troppo soffocata e ombreggiata dagli alberi; in particolare da sei grossi pioppi davanti alle finestre della facciata: la loro malinconia era eccessiva e la scelta della loro posizione era stata proprio inopportuna.

Facile capire che era una casa evitata; una casa dalla quale il villaggio, verso il mio sguardo fu guidato dalla cuspide di una chiesa un mezzo miglio più in là, si teneva alla larga; una casa che nessuno avrebbe preso in affitto. E l'ovvia conclusione era che aveva fama di essere infestata dai fantasmi.

Nessun momento nelle ventiquattro ore del giorno e della notte è per me così solenne come il mattino di buon'ora. D'estate, mi alzo spesso molto presto, mi ritiro nella mia stanza per sbrigare prima di colazione il lavoro del giorno e sono sempre colpito, in quei momenti, dalla quiete e dalla solitudine che mi circonda. C'è inoltre qualcosa di terribile nell'essere circondati dai volti addormentati dei nostri familiari, nel sapere che coloro che di più amiamo e dai quali siamo amati di più sono profondamente inconsapevoli di noi, in uno stato di impassibilità che prelude alla misteriosa condizione verso la quale tutti tendiamo: la vita interrotta, i fili di ieri tagliati, la sedia vuota, il libro chiuso, il lavoro lasciato a metà sono tutte immagini di morte.