La Casa Del Poeta

Grazia Deledda

LA CASA DEL POETA

INDICE

–––––—

Il fidanzato scomparso

Il bacio del gobbino

La leggenda di Aprile

La promessa

Il sicario

Battesimi

La casa del poeta

Famiglie povere

Vetrina di gioielliere

Feriti

Storia di un cavallo

Cose che si raccontano

Borse

L’aquila

Il lupo nel baule

Pace

Il terzo

Denaro

Tramonti

L’amico

La sorgente

Il cieco di Gerico

Compagnia

La morte della tortora

Semi

La Roma nostra

La nostra orfanella

La fortuna

La ghirlanda dell’anno

IL FIDANZATO SCOMPARSO

Avevamo cambiato di casa, - racconta la mia amica, - e si lavorava per mettere gli oggetti a posto.

Nel salotto da pranzo, al piano di sopra, la serva, in mezzo a ondate di paglia e di pezzi di carta, tira fuori dalle ceste le scodelle e i piatti immersi nella segatura: pare una chioccia che dia vita ai suoi pulcini, e della chioccia ha pure il selvaggio senso di difesa quando Fausto e Billa, i miei fratellini, accennano a volerla aiutare.

- Alla larga, alla larga - grida, agitando in cerchio la scopa.

Ma si solleva, e dimentica anche le tazze più fini quando vede arrivare il mio fidanzato; i suoi occhi ridiventano giovani e belli, e pare che la fidanzata sia lei. Io però non sono gelosa, anzi ho l’impressione che tutte le donne debbano essere innamorate di lui, o almeno che sia la sua bellezza, unita alla sua cordialità generosa di forte, a spandere un riflesso di amore e di soggezione ovunque egli passi.

Anche sul viso appassito di mio padre si spande un’aria giovanile; e piccolo come egli è, stretto alle braccia dalle mani del futuro genero alto più di lui di tutta la testa, sembra un fanciullo. Infine, il mio fidanzato è in mezzo a noi come l’albero sopra i cespugli, come una divinità sopra i suoi adoratori: e io penso che basterebbe un suo cenno perché tutte le cose intorno, nel disordine delle stanze, si mettessero a posto da loro.

1

Tutti insieme andiamo a visitare il salotto da ricevere, lo studio del babbo, e anche la cucina dalla quale, per la scaletta di una piccola terrazza, si scende nel giardinetto. La cucina, tutta moderna, verniciata d’un bianco brillante sul quale risalta meglio il blu dei recipienti smaltati, con quella terrazza aperta sul verde, piace al mio fidanzato; ma sopratutto gli piacciono le camere del piano superiore, le cui finestre sono altrettanti quadri di paesaggio: quello della mia camera, con uno sfondo di cielo rosso e inciso su questo un profilo di monti lilla, sopra il verde acceso delle quercie di un ciglione, egli dice che sembra un paesaggio nordico estivo.

La carta della mia camera è di un lieve azzurro tutto ramato d’oro, e dà un tremolìo agli occhi che la guardano: anche sul soffitto c’è un rosone azzurro nel centro e intorno una lievissima decorazione dorata, di foglie e di ghiande di quercia.

- Era meglio metterci dell’uva: così t’illudevi di essere sotto un pergolato -

dice il babbo, che ha ripreso a mettere a posto gli oggetti, aiutato più o meno efficacemente dai bambini.

- Non si vive di solo pane, - osserva il fidanzato; - questa camera è bella e dà l’impressione di un rifugio fuori del mondo, di un giardino in fondo al mare.

E lo sguardo ch’egli volge intorno, con gli occhi che pare riflettano questa lontananza fuori della realtà, mi fa quasi male.

- Andiamo adesso in terrazza - dico sottovoce, correndo fuori della camera.

Andiamo in terrazza, e questa volta ci lasciano finalmente soli.

Anche la terrazza, lastricata di mattonelle bianche e con la balaustrata di finto marmo, è bella e pulita come una sala: egli osserva che ci si può offrire una festa da ballo. Quando? Egli intreccia le sue dita alle mie e un brivido mi scuote tutta: ho l’impressione appunto che una grande festa si svolga intorno a noi con tutta la sua folle ebbrezza di musica, di danze e di colori.

Ci affacciamo alla balaustrata, e nel cerchio del braccio di lui, che cinge la mia persona, io mi sento come il filo dentro la perla della quale partecipa allo splendore. Di fuori non vedo più nulla, o vedo il panorama come i miopi, a macchie, sfumato e fantastico. Se egli si volesse buttar giù io lo seguirei, dentro il suo braccio, come il suo braccio stesso, felice solo ch’egli mi considerasse appunto, anche nella sua distruzione, una cosa esclusivamente sua.

Ma egli non pensa a gettarsi giù; è calmo, fermo anche nel suo desiderio di me, padrone di sé stesso come lo è della sua piccola fidanzata.

Per togliermi dall’incanto quasi angoscioso che mi lega anche lo sguardo, dico sottovoce:

- Laggiù, vedi, sotto quella linea di cipressi velati dall’azzurro della pianura, c’è la mia mamma, ci sono i nonni. Io salirò spesso quassù per stare con loro.

- Per adesso stai con me, - egli dice, - i morti coi morti, i vivi coi vivi.

- Per me la mia mamma è sempre viva: soltanto che è lontana, ma io penso ed agisco come se ella mi fosse vicina.

Egli si solleva e mi trascina con sé di corsa fino alla balaustrata opposta, donde si vede tutta una città nuova, una città quasi orientale, tanto le case e i palazzi sono bianchi e i giardini pieni di cedri del Libano, di palmizî e di gigli in fiore: l’odore di questi e dei tigli fioriti dà all’aria un sapore di liquore, reso più forte dalle parole che egli mi dice. Il ricordo dei morti quindi svanisce. I vivi coi vivi. Ho l’impressione che le sue parole mi restino scritte sulla carne, anche perché egli sfiora il mio collo, la mia spalla e il mio braccio con piccoli baci che sono formati solo del suo alito.

- Ti ho portato un regalo - dice infine, sollevandosi.