Gli ufficiali e i soldati non sopportavano più l’inattività cui erano condannati.
Non restava altro da fare che togliere l’assedio. Se volevano festeggiare Christmas in famiglia, non avevano più molto tempo.
38
Quest’ultimo argomento aveva scatenato la collera di Exmoor. Aveva pestato i pugni sul tavolo urlando alla diserzione e al tradimento. La sorte era dalla sua, come dimostrava la serata memorabile in cui aveva messo in ridicolo Faber. E additava lo specchio veneziano, prova concreta del favore di cui godeva presso Fortuna.
Poi, si era rivolto a Sylvain e gli aveva ordinato di portare il prezioso calice.
Sylvain aveva eseguito. Exmoor gli intimò di riempirlo di vino novello. Poi si alzò e volle fare un brindisi solenne al modo inglese. Il braccio in aria, aspettò che si facesse silenzio. Infine dichiarò:
— Fintanto che berrò da questo calice… giuro, parola di Exmoor… che…
Non si seppe mai cosa voleva giurare. Forse di non lasciare le sponde della Loira senza aver conquistato Cléricourt? Non lo si seppe mai perché accadde allora qualcosa di stupefacente, d’incredibile, d’incomprensibile. Una palla di colubrina trapassò la tela della tenda, colpì il calice nella mano di Exmoor e finì la sua corsa mandando in pezzi lo specchio veneziano che si trovava alle sue spalle. Si sarebbe potuto pensare che il colpo fosse partito da un punto non molto lontano dalla tenda.
Ma niente affatto, giacché si sentì la lontana detonazione di partenza quasi un secondo dopo l’impatto del proietto. Bisognava supporre che il colpo fosse stato sparato dalle mura della città, ma com’era possibile un simile centro in piena notte, in piena nebbia, da una distanza così grande?
Exmoor era inondato di vino e coperto di schegge di cristallo. Sembrava che dal suo “superbo grugno” fosse sparito tutto il sangue: era bianco come la sua gorgiera.
Guardava inebetito il piede del calice che gli era rimasto in mano. Si voltò a metà per osservare lo specchio in frantumi. Poi si lasciò cadere nella poltrona. Si prese la testa fra le mani e rimase in silenzio per un po’. Infine pronunciò queste parole, con voce così alterata che si stentava a riconoscerla:
— Ordino che si faccia il necessario per togliere il campo prima dell’alba.
Tale fu il racconto di Sylvain, solo testimone francese dell’incredibile colpo di fortuna cui Cléricourt doveva la sua liberazione.
«Dunque» pensò Faber, «quella colubrina – che doveva consentire un tiro preciso, studiato, intelligente – è stata soltanto l’irrisorio balocco di Fortuna. E tutti sono convinti – colmo del ridicolo – che Exmoor si sia condannato offrendo la sua parrucca-feticcio al nostro campo. Che miseria!»
Quella sera, nondimeno, ciò che vide lo colmò di una fierezza paterna che non avrebbe confessato a nessuno e per niente al mondo. Lucio, suo figlio, il suo bambino
– che, ahimè, gli somigliava così poco – era stato liberato. Gli avevano messo in capo la corona ossidionale e lo portavano in trionfo come liberatore della città, fra i lampi brutali dei petardi e dei falò.
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