Gli assediati – la cui notte era stata accorciata dal falso allarme – uscirono più tardi del solito. Una sorpresa attendeva coloro che si sparpagliarono sulle mura: il silenzio del campo inglese. Di solito, dall’accampamento venivano rumori vitali, squilli di trombe, latrati di cani, imprecazioni, canti, tintinnii del martello del maniscalco sull’incudine. Quella mattina, per quanto si tendesse l’orecchio attraverso la nebbia fitta, c’era un silenzio perfetto. Ci si preoccupò di nuovo. Cosa significava quell’insolita calma? Che fosse l’imminenza di un assalto? Tutti presero le armi e andarono ai posti di combattimento, mentre i civili, rintanati in casa, aspettavano tremanti.

Il colpo di scena ebbe luogo alle dieci e dieci. In quel preciso momento, una brezzolina di sudovest spazzò via la nebbia e un sole splendente illuminò la campagna. Chini sui merli, gli assediati scrutavano in direzione del campo inglese.

Cosa videro allora? Niente. Non c’era più niente, più nessuno. Non una tenda, non un uomo, non un cavallo, non un cane. Gli inglesi avevano tolto l’assedio. Non un cavallo? Sì, per la verità, un povero ronzino che zoppicava a testa bassa sui mucchi di rifiuti e i fuochi spenti.

La notizia si diffuse subito in città. Lo stupore lasciò il posto a una gioia strepitosa.

Tutti si abbracciavano, si rallegravano… dimenticando che soltanto poche ore prima erano pronti ad arrendersi agli inglesi. Per la prima volta dopo mesi, le porte della città furono aperte e si abbassò il ponte levatoio. Com’era bello poter andarsene di nuovo in giro senza intralci! Rivedere il borgo di Boisrenard!

La locanda che aveva accolto con tanta benevolenza gli inglesi venne messa sossopra, e il proprietario e sua moglie si salvarono soltanto grazie a una fuga precipitosa. Sylvain, il giovane banconiere, che era stato portato di forza al campo inglese per un capriccio di Exmoor, non fu infastidito, tanto più perché aveva molto da dire su quanto era successo. Si trovava nella tenda di Exmoor nel momento cruciale di quella notte memorabile. Aveva visto e sentito tutto. Raccontò.

Il comandante aveva cenato abbondantemente e a lungo con il suo stato maggiore.

Si era anche molto bevuto, e sicuramente più del ragionevole. Gli animi erano accesi e i volti rubizzi. Di cosa si parlò? Sylvain rammentava che gli ufficiali rimproveravano il loro comandante perché aveva dato la parrucca a Faber. Non era la mascotte del reggimento? La sua perdita non si sarebbe rivelata funesta? Ma ciò che infiammava la disputa era, in particolare, il dilemma se si dovesse continuare l’assedio di Cléricourt. Bisognava ormai abbandonare la speranza di veder arrivare l’artiglieria. Ciò significava dover rinunciare a prendere la cittadella entro breve tempo.