Il primo ha solo dei sentimenti, il secondo ha dei sentimenti e delle idee. Perciò presso i selvaggi il cervello riceve, per così dire, poche impronte, è preso tutto intero dal sentimento che l’invade, mentre nell’uomo civilizzato le idee discendono nel cuore trasformandolo; questi è aperto a mille interessi, a vari sentimenti, mentre il selvaggio non ammette che un’idea per volta. È questa la causa della superiorità momentanea del bambino sui genitori, che cessa con la soddisfazione del desiderio; mentre nell’uomo vicino alla natura, questa causa di superiorità è sempre presente. La cugina Bette, la lorenese selvatica, un po’ infida, apparteneva a questa categoria di caratteri, più comuni che non si pensi nel popolo, e che può spiegarne il comportamento durante le rivoluzioni.

Nel momento in cui si alza il sipario di questa scena, se la cugina Bette avesse voluto lasciarsi vestire alla moda, se si fosse, come le parigine, abituata a seguire ogni nuova foggia, sarebbe stata presentabile e accettabile; ma conservava la rigidezza di un bastone. Ora, senza grazia, la donna a Parigi non esiste. Così, la capigliatura nera, i begli occhi duri, la severità delle linee del volto, l’aridità calabrese del colorito che facevano della cugina Bette una figura di Giotto, e da cui una vera parigina avrebbe tratto profitto, il suo strano abbigliamento soprattutto, le davano una apparenza così bizzarra, che a volte ella rassomigliava a quelle scimmie vestite da donna che i piccoli savoiardi si portano in giro. Poiché era ben nota nelle case unite da legami di parentela nelle quali viveva; infatti limitava i suoi rapporti sociali a questa cerchia, e per il resto amava starsene in casa sua - le sue stranezze non meravigliavano più nessuno e sparivano, fuori di lì, confondendosi nell’immenso movimento parigino delle strade, dove non si guardano che le donne graziose.

X • L’INNAMORATO DI BETTE

Le risate d’Hortense erano in quel momento causate da un trionfo riportato sull’ostinazione della cugina Bette, alla quale era riuscita a strappare, dopo tre anni, una confessione. Per quanto una zitella possa mascherare il proprio stato d’animo, vi è un sentimento che le farà sempre rompere il silenzio: è la vanità! Da tre anni Hortense, divenuta estremamente curiosa su un certo argomento, assillava la cugina con domande che erano fatte del resto con grande innocenza: voleva sapere perché Bette non si era sposata. Hortense, che conosceva la storia dei cinque pretendenti rifiutati, aveva costruito il suo romanzetto, credeva che la cugina Bette custodisse nel cuore una passione, e ciò dava luogo a una schermaglia affettuosa. Hortense diceva: «Noi ragazze!» parlando di sé e della cugina. La cugina Bette aveva, a più riprese, risposto con un tono divertito: «Chi vi dice che non ho un innamorato?»

Da allora l’innamorato della cugina Bette, falso o vero che fosse, fornì lo spunto ad affettuose prese in giro.

Infine, dopo due anni di schermaglie, l’ultima volta che la cugina Bette era venuta, le prime parole d’Hortense erano state:

«Come sta il tuo innamorato?»

«Ma bene,» aveva risposto lei; «soffre un po’ quel povero giovane.»

«Ah! è delicato?» aveva domandato ridendo la baronessa.

«Certo, è biondo… Una ragazza nera come il carbone, come sono io, non può amare che un biondino, color della luna.»

«Ma che cos’è? Che fa?» disse Hortense. «È un principe?»

«Principe dell’utensile, come io sono la regina del rocchetto. Una povera ragazza come me può essere amata da un proprietario che abbia dei beni al sole e dei titoli di stato? o da un duca e pari, o da qualche Principe Azzurro dei tuoi racconti di fate?»

«Oh! Vorrei tanto vederlo!…» aveva esclamato Hortense sorridendo.

«Per sapere com’è fatto quello che può amare una vecchia capra?» aveva risposto la cugina Bette.

«Deve essere un mostro di vecchio impiegato con la barba da caprone!» aveva detto Hortense guardando sua madre.

«Ebbene, vi sbagliate, signorina.»

«Ma allora ce l’hai un innamorato?» aveva chiesto Hortense con un’aria di trionfo.

«Vero come è vero che tu non ne hai!» aveva risposto la cugina con un’aria piccata.

«Ebbene, se hai un innamorato, perché non lo sposi, Bette?…» aveva detto la baronessa facendo un cenno a sua figlia. «Son tre anni che si parla di lui, hai avuto il tempo di osservarlo, e, se ti è rimasto fedele, non devi prolungare una situazione penosa per lui. È, del resto, una questione di coscienza; e poi, se è giovane, è tempo che tu prenda un bastone per la vecchiaia.»

La cugina Bette aveva guardato fissamente la baronessa e, vedendo che rideva, aveva risposto:

«Sarebbe come far sposare la fame e la sete; lui è operaio e io sono operaia; se avessimo dei figli, sarebbero operai… No, no; ci amiamo solo spiritualmente…! Costa meno!»

«Perché lo nascondi?» aveva domandato Hortense.

«Non è presentabile,» aveva replicato la zitella ridendo.

«Lo ami?» aveva domandato la baronessa.

«Ah: lo credo bene! Lo amo così com’è, quel cherubino. Sono ormai quattro anni che lo porto nel cuore.»

«Ebbene, se l’ami così com’è,» aveva detto con tono serio la baronessa, «e se esiste, saresti veramente crudele verso di lui. Tu non sai cosa vuol dire amare.»

«Lo sappiamo tutte dalla nascita!» disse la cugina.

«No, ci sono delle donne che amano e rimangono egoiste, ed è il tuo caso!…»

La cugina aveva abbassato la testa, e il suo sguardo avrebbe fatto fremere chi ne fosse stato colpito, ma lei aveva guardato la sua spoletta.