Nella figura del barone nulla, bisogna convenirne, sapeva di vecchiaia: la sua vista era ancora così buona che leggeva senza occhiali; il suo bel viso ovale, al quale facevano da cornice dei favoriti troppo neri, ohimè!, mostrava una carnagione ravvivata da quelle marezzature tipiche dei temperamenti sanguigni; e il suo ventre, contenuto da una cintura, si manteneva, come dice Brillant-Savarin, nel maestoso. Una grande aria aristocratica, molta affabilità formavano l’involucro del libertino col quale Crevel aveva partecipato a tanti convegni galanti. Era insomma uno di quegli uomini i cui occhi si animano alla vista di una donna graziosa, e che sorridono a tutte le belle donne, anche a quelle che passano e che non rivedranno più.
«Hai parlato, amico mio?» disse Adeline vedendolo preoccupato.
«No,» rispose Hector, «ma sono distrutto per aver sentito parlare due ore senza arrivare a un voto… Fanno battaglie di parole, e i discorsi sono come cariche di cavalleria che non disperdono il nemico! Si è sostituita la parola all’azione, cosa che rallegra poco la gente abituata a marciare, come dicevo al maresciallo nel lasciarlo. Ma è già troppo essersi annoiati sui banchi dei ministri, divertiamoci qui… Buongiorno, Capra!… buongiorno, Capretta!»
E cinse il collo della figlia, l’abbracciò, la coccolò, se la fece sedere sulle ginocchia e appoggiò la testa di lei sulla propria spalla per sentire sul viso quella bella capigliatura d’oro.
«È contrariato, stanco,» si disse la signora Hulot, «non vorrei infastidirlo ancora: è meglio aspettare.»
«Resti con noi stasera?» gli domandò a voce alta.
«No, mie care. Dopo cena vi lascio e, se non fosse il giorno della Capra, dei miei ragazzi e di mio fratello, non mi avreste nemmeno visto…»
La baronessa prese il giornale, guardò i teatri e posò il foglio, dove aveva letto Robert le diable nella rubrica dell’Opéra. Josépha, che l’Opéra italiana aveva ceduto da sei mesi all’Opéra francese, cantava nella parte di Alice. Quei gesti non sfuggirono al barone, che fissò la moglie. Adeline abbassò gli occhi, uscì in giardino, ed egli la seguì.
«Allora, che c’è, Adeline?» disse prendendola per la vita, attirandola a sé e stringendola. «Non sai che ti amo più di…»
«Più di Jenny Cadine e di Josépha!» lo interruppe lei arditamente.
«E chi ti ha detto questo?» domandò il barone, che, lasciando la moglie, indietreggiò di due passi.
«Mi hanno scritto una lettera anonima, che ho bruciata, e nella quale mi si diceva, mio caro, che il matrimonio di Hortense è andato in fumo a causa delle strettezze in cui ci troviamo. Tua moglie, caro Hector, non avrebbe mai detto una parola; ha sempre saputo della tua relazione con Jenny Cadine, si è mai lamentata? Ma la madre di Hortense ti deve dire la verità…»
Hulot, dopo un istante di silenzio terribile per sua moglie, di cui si udivano i battiti del cuore, allungò le braccia, l’afferrò, la strinse sul cuore, la baciò sulla fronte e le disse con quell’enfasi che nasce dall’entusiasmo:
«Adeline, sei un angelo, e io sono un miserabile…»
«No! no!» rispose la baronessa mettendogli bruscamente la mano sulle labbra per impedirgli di dir male di se stesso.
«Sì, in questo momento non ho un soldo da dare a Hortense, e sono davvero infelice; ma poiché tu mi apri così il tuo cuore, io posso versarvi i dispiaceri che mi soffocavano… Sì, tuo zio Fischer si trova in difficoltà, sono io che ce l’ho messo; mi ha sottoscritto delle cambiali per venticinquemila franchi! E tutto questo per una donna che mi inganna, che si prende beffa di me quando io non ci sono, che mi chiama vecchio gatto tinto!… Oh! è spaventoso che un vizio costi di più che una famiglia da mantenere!… Ed è irresistibile… Ti prometterei sull’istante di non ritornare più da quella abominevole israelita, eppure sono certo che, se essa mi scriverà due righe, andrò da lei come si andava al fuoco sotto l’imperatore.»
«Non tormentarti, Hector,» disse la povera donna in preda alla disperazione e dimenticando la figlia alla vista delle lacrime che apparivano negli occhi del marito. «Ecco, ho i miei diamanti; salva, prima di tutto, mio zio!»
«I tuoi diamanti valgono appena ventimila franchi, oggi. Una somma che non basterebbe al vecchio Fischer; perciò conservali per Hortense. Domani vedrò il maresciallo.»
«Povero caro!» esclamò la baronessa prendendo le mani del suo Hector e baciandogliele.
Fu questa tutta la reprimenda. Adeline offriva i suoi diamanti, il padre li dava a Hortense, ella considerò questo slancio come una cosa sublime e rimase senza forze.
«È il padrone, può prendersi tutto, mi lascia i miei diamanti, è un dio!»
Tale fu il pensiero di quella donna, che certamente aveva ottenuto più con la dolcezza che non un’altra con una scenata di gelosia.
Il moralista non potrebbe negare che, in genere, le persone bene educate e molto viziose sono assai più amabili delle persone virtuose; avendo delle colpe da farsi perdonare esse sollecitano in anticipo l’indulgenza, mostrandosi tolleranti verso i difetti dei loro giudici, e passano per essere eccellenti. Benché fra la gente virtuosa vi siano delle persone affascinanti, la virtù si crede già abbastanza bella per se stessa e non si dà da fare per abbellirsi; poi le persone realmente virtuose, poiché bisogna escludere gli ipocriti, hanno quasi tutte dei lievi dubbi sulla propria situazione; si credono ingannate nel grande mercato della vita, e hanno parole un po’ agre alla maniera di coloro che si pensano misconosciuti. Così il barone, che si rimproverava la rovina della famiglia, ricorse a tutte le risorse del suo spirito e delle sue grazie di seduttore per la moglie, per i figli e la cugina Bette. Vedendo venire il figlio e Célestine Crevel, che dava da mangiare al piccolo Hulot, fu delizioso con la nuora, la colmò di complimenti, nutrimento al quale la vanità di Célestine non era abituata, poiché mai ragazza ricca fu così grossolana e così perfettamente insignificante. Il nonno prese il marmocchio, lo baciò; lo trovò delizioso e incantevole, gli parlò con il linguaggio delle balie, profetizzò che quel bamboccio sarebbe diventato più grande di lui, disse delle parole adulatrici a suo figlio Hulot, e rese il bambino alla grassa normanna incaricata di accudirlo. Così Célestine scambiò con la baronessa uno sguardo che voleva dire:
«Che uomo adorabile!» Naturalmente ella difendeva il suocero dagli attacchi di suo padre.
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