«Ah, be’,» esclamò Crevel, sempre più stupito. «Ma sapete che quel mostro d’uomo, vostro marito, ha protetto Jenny Cadine dall’età di tredici anni?»
«Ebbene, signore, e poi?» disse la baronessa.
«E siccome Jenny Cadine,» riprese l’ex negoziante, «ne aveva venti, come Josépha, quando si sono conosciute, il barone faceva la parte di Luigi xv davanti a Mlle de Romans, fin dal 1826, e voi avevate allora dodici anni di meno…»
«Signore, ho avuto delle ragioni per lasciare al signor Hulot la sua libertà.»
«Questa bugia, signora, basterà senza dubbio da sola a cancellare tutti i peccati che voi avete commesso, e vi aprirà la porta del Paradiso,» replicò Crevel con un’aria maliziosa che fece arrossire la baronessa. «Ditelo pure agli altri, donna sublime e adorata, ma non al vecchio Crevel, che, sappiatelo bene, troppo spesso se l’è spassata in festini a quattro col vostro scellerato marito per non sapere quello che voi valete! Egli si rivolgeva a volte dei rimproveri, fra un bicchiere e l’altro, descrivendomi tutte le vostre perfezioni. Oh! io vi conosco bene: voi siete un angelo. Fra una ragazza di vent’anni e voi, un libertino esiterebbe; io, invece, non esito.»
«Signore…»
«Bene, mi fermo… Ma sappiate, santa e degna donna, che i mariti, quando sono brilli, raccontano molte cose delle loro spose in casa delle loro amanti, le quali ne ridono a crepapelle.»
Le lacrime di pudore che scorsero di tra le belle ciglia della signora Hulot fermarono di colpo la guardia nazionale, che non pensò più a rimettersi in posa.
«Continuo,» disse. «Il barone e io siamo diventati amici grazie alle nostre donnine. Il barone, come tutte le persone viziose, è molto amabile e davvero un buon diavolo. Oh! mi è piaciuto quel furfante! Non c’è che dire, ne aveva delle trovate… Ma lasciamo perdere questi ricordi… Siamo diventati come due fratelli. Lo scellerato, vero stile Reggenza, tentava di depravarmi, di predicarmi il sansimonismo in fatto di donne, di darmi delle idee da gran signore, da giustacuore blu; ma, vedete, amavo la mia piccola al punto di sposarla, se non avessi temuto di avere dei figli. Fra due vecchi papà, amici come… come noi lo eravamo, come volete che non abbiamo pensato a far sposare i nostri figli?
Tre mesi dopo il matrimonio di suo figlio con la mia Célestine, Hulot (non so proprio come faccia a pronunciare il suo nome, quell’infame! perché ci ha ingannati tutti e due, signora!…), ebbene, quell’infame mi ha soffiato la mia piccola Josépha. Lo scellerato si sapeva soppiantato da un giovane consigliere di Stato e da un artista (e scusate se è poco!) nel cuore di Jenny Cadine, i cui successi erano sempre più sbalorditivi, e mi ha preso la mia povera piccola amante, un amore di donna; ma voi l’avete vista certamente agli Italiens, dove lui l’ha fatta entrare grazie alla sua autorità. Il vostro uomo non è prudente come me, che sono regolato come un orologio. (E Jenny Cadine doveva avergli già dato un bel colpo, poiché gli costava quasi trentamila franchi all’anno). Bene, sappiatelo, sta finendo di rovinarsi per Josépha.
Josépha, signora, è ebrea, si chiama Mirah (è l’anagramma di Hiram), un nome cifrato israelita per poterla riconoscere, perché è una trovatella di origine tedesca (le ricerche che ho fatto provano che è la figlia naturale di un ricco banchiere ebreo). Il teatro e soprattutto le istruzioni che Jenny Cadine, la signora Schoutz, Malaga, Carabine hanno dato, sul modo di trattare i vecchi, a quella bambina che io mantenevo in una vita onesta e poco costosa hanno sviluppato in lei l’istinto dei primi ebrei per l’oro e i gioielli, per il Vitello d’oro! La cantante celebre, divenuta avida e ingorda, vuole essere ricca, molto ricca. Così ella non dissipa niente di quanto viene dissipato per lei. Si è ben esercitata sul signor Hulot che ha spennato ben bene. Ma che spennato! sarebbe meglio dire pelato!… Quello sciagurato, dopo aver lottato contro uno dei Keller e il marchese d’Esgrignon, pazzi tutti e due di Josépha, senza contare gli adoratori sconosciuti, se la vede portar via da quel duca ricchissimo che protegge le arti. Come lo chiamate?… un nano…? Ah! il duca d’Hérouville. Quel gran signore ha la pretesa di aver Josépha tutta per sé, tutto il mondo delle cortigiane ne parla e il barone non ne sa niente; infatti nel tredicesimo rione capita come in tutti gli altri: l’amante è, come il marito, sempre l’ultimo a sapere.
Capite i miei diritti, ora? Vostro marito, bella signora, mi ha privato della mia felicità, della sola gioia che io ho avuto da quando sono rimasto vedovo. Sì, se non avessi avuto la sfortuna di incontrare quel vecchio bellimbusto, avrei ancora la mia Josépha, perché, credetemi, non l’avrei mai avviata al teatro, ed ella sarebbe rimasta oscura, saggia e mia. Oh! se voi l’aveste vista otto anni fa: snella e agile, la carnagione dorata di un’andalusa, come si usa dire, i capelli neri e lucenti come il raso, gli occhi dalle lunghe ciglia scure che mandavano lampi, una distinzione da duchessa nei gesti, la modestia della povertà, della grazia onesta, la leggiadria di una cerbiatta. Per colpa di Hulot, queste grazie, questa purezza, tutto è diventato trappola per selvaggina di grossa taglia, una rete acchiappapescicani. La piccola è la regina delle impure, come si dice. Infine mena tutti per il naso, lei che non sapeva niente di niente, nemmeno cosa volesse dire questa espressione.» A questo punto, l’ex profumiere si asciugò gli occhi dai quali scendeva qualche lacrima. La sincerità di questo dolore colpì la signora Hulot, che uscì dallo stato di torpore in cui era caduta.
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