Eppure, a costo di sembrare ripetitivo, se Thoreau non avesse fatto l’operaio o il giardiniere, l’imprenditore o il maestro, le sue opere avrebbero avuto una forma diversa. Anche le difficoltà economiche, in fondo, sono essenziali per la sua interpretazione del disobbedire: agli schiavi, agli ultimi, non poteva che sentirsi vicino. Thoreau affidava alla disobbedienza la sua speranza in un mondo migliore, in cui le vite quotidiane che scorrevano nella «tranquilla disperazione» sarebbero finalmente state libere. È in questa cornice che va considerata la principale critica al sistema democratico che muove Disobbedienza civile: l’individuo ha il diritto di opporsi, secondo coscienza, alle decisioni prese dallo stato, anche se queste sono sostenute da una maggioranza parlamentare. Sono i primordi di un’anarchia filosofica americana che arriverà fino a Noam Chomsky e che muove dall’idea che lo stato, come entità sociale, crei molti piú danni che benefici nella tenuta complessiva di quella che oggi si definisce «ontologia sociale». È una visione del mondo in cui l’etica deve essere anteposta al vantaggio economico e i diritti del singolo vengono prima della massimizzazione dei profitti. Thoreau invita a non pagare le tasse, o a non rispettare la leggi, sulla base del principio che è alla base del suo pensiero politico: qualsiasi governo, qualsiasi maggioranza, non sono legittimi, per gli uomini dotati di coscienza, se nei loro processi decisionali l’utile è piú importante del giusto.

Per Thoreau la filosofia, come già detto, è inscindibile dall’atto, non delega ad altri soggetti la pratica rivoluzionaria, ma la include. Disobbedienza civile può essere visto dunque come un invito a «restare adolescenti», a non abbandonare lo spirito di quel momento in cui si pensa che cambiare il mondo sia possibile e che ci sia una naturale continuità tra pensiero e azione. Filosofare per Thoreau significa non rassegnarsi ai modi di presentazione delle cose scelti da altri. E se il potere di una filosofia non si testa solo con il numero di citazioni, ma anche con i suoi effetti sulla realtà, allora la filosofia di Disobbedienza civile è una delle piú potenti di ogni epoca.

Le pagine di Thoreau hanno ispirato personalità come Gandhi e Martin Luther King, hanno dato una svolta alla Storia e alle storie di migliaia di esistenze. L’utopia morale di poter mettere sempre e comunque l’etica davanti al resto non può che essere considerata un orizzonte con cui tutti, prima o poi, dovranno confrontarsi. È nel radicale che si trovano le energie per il reale.

Lo spirito utopico e antirealista di questo pensiero quasi puerile, nell’accezione nobile del termine, nasce non a caso dalla poesia. La produzione poetica di Thoreau incomincia nel 1827 con The Seasons: la protagonista di questa poesia, e di tutti i versi successivi, sarà la natura. Natura che nel trascendentalismo ha una funzione metafisica importante, perché svolge il ruolo del noumeno nell’ontologia kantiana. Ma la natura è anche il termine di paragone che aiuta a comprendere come e quanto ci siamo allontanati dalla verità, dalla bellezza, dalla possibilità di condurre la nostra breve esistenza in modo semplice, felice, integrato con il resto del reale. L’utopia trascendentalista, aspetto spesso poco analizzato, è sempre paradossalmente un ritorno alle origini: la possibilità di abitare il mondo come animali, se non addirittura come forme di vita vegetali, oltre il pudore, liberi dal lavoro e dall’oppressione dei vincoli sociali. Disobbedienza civile, che rispetto a Walden è un testo di scienze sociali e non tanto di filosofia della natura, deve tuttavia essere inquadrato nella piú ampia produzione di Thoreau. È possibile rinunciare alle strutture dello stato, quelle che obbligano ad andare contro la propria morale, perché c’è sempre un altrove in cui l’uomo può rifugiarsi: la natura selvaggia.

Forse nessuno sguardo è lontano dalle metafisiche occidentali europee coeve quanto quello di Thoreau; lontano in particolare da Hegel e dalla sua idea di una natura vuota di senso. Nel canone minore della storia della filosofia, cioè un canone la cui bussola sia la filosofia della natura3, Thoreau acquista un’importanza quasi profetica. E la disobbedienza è appunto frutto anche dello spirito selvaggio mutuato dalla natura: ogni regola è una regola di sopravvivenza e si fa solo ciò che si vuol fare davvero.

I classici del pensiero sono tali perché, oltre a parlarci del tempo in cui sono stati prodotti, trovano sempre il modo di rinnovare il loro senso nel presente. Thoreau scriveva contro una schiavitú e una guerra che non ci sono piú, eppure oggi, in un’America che vorrebbe essere postrazziale, si progetta un muro al confine con il Messico e le carceri sono piene perlopiú di neri. In fondo, purtroppo, viviamo ancora in un contesto in cui il potere delle istituzioni governative viene troppo spesso utilizzato per punire e non per proteggere. Un classico abbandona il suo tempo ed entra in quello di chi lo legge con la forza che hanno le idee immortali ma ancora incompiute, le idee che prefigurano un futuro verso cui è inevitabile tendere anche se ancora non si vede. La Disobbedienza civile è il primo passaggio di una staffetta il cui traguardo è la libertà di un popolo senza geografie, nazioni, confini: il popolo degli anarchici, dei visionari, ovvero quello degli esseri umani.

LEONARDO CAFFO

1. Cfr. H. D. Thoreau, Apologia per il Capitano John Brown (1859), in Id., Uomini non sudditi, Piano B, Prato 2010.

2. Cfr. infra

3.