La dodicesima notte Read Online
ORSINO, duca d’Illiria, innamorato di Olivia | |
SEBASTIAN, fratello di Viola | |
ANTONIO, capitano di mare, amico di Sebastian | |
Un altro CAPITANO di mare, amico di Viola | |
VALENTINO | gentiluomini al servizio del duca |
CURIO | |
Ser TOBIA RUTTO, zio di Olivia | |
Ser ANDREA GUANCIATERZANA, pretendente alla mano di Olivia | |
MALVOLIO, maggiordomo di Olivia | |
FABIANO, gentiluomo al servizio di Olivia | |
FESTE, giullare di Olivia | |
VIOLA, | sorella gemella di Sebastian, innamorata del duca Orsino (CESARIO nel travestimento maschile) |
MARIA, damigella di Olivia | |
Un Prete | |
Signori - Marinai - Ufficiali - Musici - Persone del seguito dei vari personaggi |
SCENA: una città dell’Illiria e una zona costiera nei pressi.
ATTO PRIMO
SCENA I - Sala nel palazzo del duca Orsino | |
Entra ORSINO, CURIO e altri nobili. Son già presenti in sala dei musici, che al loro ingresso intonano una melodia. | |
ORSINO - | Oh, la musica, sì! S’è vero ch’essa è cibo dell’amore, somministratemene ancora tanto, che la mia fame alfine d’esso sazia, possa ammalarsene, fino morire! Di nuovo quella melodia! Ancora! Aveva una sì languida cadenza, che mi sentivo come carezzare l’orecchio da un soave venticello che alitando su un prato di violette ne rubi e ne diffonda la fragranza… Ma basta, ora cessate… Non m’è più così dolce come prima. |
(Cessa la musica) | |
Oh, spirito d’amore, come sei fresco tu, e vivificante, tu che, se nella tua capacità puoi ricevere tutto, come il mare, non ti lasci da nulla penetrare, qual che ne sia l’altezza e la sostanza, senza svilirlo di senso e valore in men che non si creda! Perché l’amore è sempre così pieno d’estrose fantasie da esser alta fantasia da solo. | |
CURIO - | Andrete a caccia oggi, mio signore? |
ORSINO - | E di che, Curio? |
CURIO - | Del cervo, signore. |
ORSINO - | Oh, di quello lo sono ogni momento e del più nobile ch’io abbia in me. Oh, quando gli occhi miei videro Olivia per la prima volta mi parve come se l’aria dintorno fosse purgata da una pestilenza: da quell’istante mi sentii appunto tramutato in un cervo, braccato ed inseguito tutto il tempo dalla muta famelica e crudele dei desideri… |
Entra VALENTINO | |
Che nuove da lei? | |
VALENTINO - | Così vi piaccia, vostra signoria, mi fu impossibile d’esservi ammesso; ma dalla bocca della sua fantesca vi posso riferir la sua risposta: prima che sian trascorse sette estati, ella ha deciso che nemmeno l’aria dovrà vedere scoperto il suo volto; simile ad una suora di clausura ella s’aggirerà velata in casa, ed una volta al giorno inonderà di lacrime cocenti la propria camera; e tutto ciò per mantenere vivo in lei l’amore per il fratello morto, il cui triste ricordo vuol serbare sempre fresco e costante nel suo animo. |
ORSINO - | Ah, s’ella ha un cuore di tal fine tempra da pagare un tal debito d’amore soltanto alla memoria d’un fratello, di quale amore non sarà capace quel cuore quando l’indorato strale abbia abbattuto in lei l’intero gregge degli altri affetti che v’hanno dimora; quando in lei fegato, cuore e cervello, questi troni sovrani, siano stati occupati tutti e tre, insieme alla sue dolci perfezioni, da un solo re! Oh, pensieri d’amore, correte almeno voi avanti a me verso dolcissimi letti di fiori: adagiatevi sotto ricche pergole come sotto lussureggianti alcove! |
(Escono) | |
SCENA II - La costa dell’Illiria | |
Entrano VIOLA, un CAPITANO di mare e alcuni marinai | |
VIOLA - | Che terra è questa, amici? |
CAPITANO - | Questa terra è l’Illiria, mia signora. |
VIOLA - | E che ci faccio nell’Illiria, io? Mio fratello è in Eliso… O forse no, forse non è annegato… Che pensate di ciò voi marinai? |
CAPITANO - | Noi pensiamo ch’è stato sol per caso che voi stessa vi siate messa in salvo. |
VIOLA - | Povero mio fratello!… E se per caso fosse stato anche… |
CAPITANO - | Vero, signora; e se questo può darvi alcun conforto, mi sento di potervi assicurare che quando il nostro barco si spezzò in due tronconi, e voi e gli altri pochi che si sono salvati insieme a voi v’aggrappavate alla nostra scialuppa in balia delle onde, alla deriva, io potei scorgere vostro fratello che con atto di massima destrezza (suggeritogli insieme dal coraggio e da un potente istinto di salvezza in quello stato di estremo pericolo) si legava ad un albero maestro che aveva visto galleggiar sull’acqua e, come Arione in groppa del delfino, pareva che prendesse confidenza col mare grosso. Lo seguii con l’occhio fino a che mi fu dato di vederlo. |
VIOLA - | Per questo che mi dici, capitano, tieni, ecco dell’oro. Il fatto stesso della mia salvezza mi schiude adesso il cuore alla speranza, e queste tue parole mi fan pensare che così può essere anche di lui. Conosci questa terra? |
CAPITANO - | Sì, son nato e cresciuto in questi luoghi, signora; in luogo da qui non distante più di tre ore di cammino a piedi. |
VIOLA - | E chi governa qui? |
CAPITANO - | Un nobil duca, nobile di casato come d’animo. |
VIOLA - | Come si chiama? |
CAPITANO - | Orsino. |
VIOLA - | Orsino! Ho spesso udito questo nome pronunziare dal mio povero padre. A quel tempo sapevo che era scapolo. |
CAPITANO - | E l’è presentemente; o almeno lo era ultimamente; perch’io manco da qui da appena un mese, e già si cominciava a mormorare (sapete quanto piace al popolino pettegolar su ciò che fanno i grandi) che spasimasse per la bella Olivia. |
VIOLA - | E chi è costei? |
CAPITANO - | Una virtuosa giovane figlia d’un conte morto un anno fa e rimasta affidata alla custodia d’un altro figlio di lui, suo fratello, anche lui morto qualche tempo dopo; in onore del quale, come dicono, ella s’è proibita da se stessa la compagnia e la vista degli uomini. |
VIOLA - | Ah, potessi servire quella dama nella sua casa, e nascondermi anch’io al mondo, fino a che non sia matura l’occasione di rivelare al mondo qual è il mio vero stato! |
CAPITANO - | Mi sembra cosa difficile a farsi: perché quella rifiuta di ascoltare ogni specie di supplica o richiesta… le venga pure da parte del Duca. |
VIOLA - | Capitano, nel tuo comportamento verso di me mi sembra di vedere una carica di sincerità; e, se pur la natura usa recingere la falsità d’una bella muraglia ingannatrice, voglio credere che anche la tua anima s’accordi con le schiette tue maniere. Ti prego - e saprò ben remunerartene - di non svelare a nessuno chi sono, e d’aiutarmi a procurarmi qui quella tal foggia di travestimento che meglio si convenga al mio proposito. Io voglio entrare al servizio del duca, e tu mi devi presentare a lui come un eunuco; di questa fatica non avrai a pentirti, t’assicuro: perché io so cantare e so parlare in tali e vari toni musicali che mi riveleranno certamente degna di stare al suo servizio. Quanto al resto ed a quel che possa succedere in seguito, m’affido solo al tempo. Tu bada solo con il tuo silenzio a non fare scoprir questo mio trucco. |
CAPITANO - | Va bene, siate pure il suo eunuco ed io il vostro muto del serraglio; e si spenga la luce dei miei occhi se la mia lingua spiccicherà verbo. |
(Escono) | |
SCENA III - In casa di Olivia | |
Ser TOBIA è seduto ad un tavolo con bevande; con lui è MARIA. | |
TOBIA - | Che canchero è successo a mia nipote di prendere così penosamente la morte del fratello? L’afflizione è un nemico della vita. |
MARIA - | Ser Tobia, in coscienza, voi la notte dovreste rincasare un po’ più presto; vostra nipote, mia buona signora, trova molto da dire, in verità, al vostro rientrare ad ore illecite. |
TOBIA - | Trovi, trovi… lasciamola trovare. |
MARIA - | Eh, ma potreste pure contenervi nei limiti modesti del buon ordine. |
TOBIA - | Contenere! Mi voglio contenere non più smagrito di quello che sono. Questo vestito mi contiene bene per quando bevo, e così gli stivali; se non dovessero più “contenermi”, s’impicchino coi loro stessi lacci! |
MARIA - | Quel trincare, quel bere vi fa male; ho udito appunto ieri la mia padrona parlare di questo, e di un certo scapato cavaliere che vi siete portato qui una sera perché la corteggiasse. |
TOBIA - | Chi era? Ser Andrea Guanciaterzana? |
MARIA - | Appunto, era di quello che parlava. |
TOBIA - | Ma quello è un cavaliere come ce n’è ben pochi qui in Illiria. |
MARIA - | E con questo? Che importa? |
TOBIA - | Importa, sì, che importa. Quello ha tremila bei ducati all’anno. |
MARIA - | E potranno bastargli giusto un anno tutti quei suoi ducati, se seguita ad andar di questo andazzo. È un grosso allocco, uno scialacquatore. |
TOBIA - | Ah, che dici! Vergogna a dir così! Lui sa suonare la viola da gamba, parla benissimo tre o quattro lingue parola per parola, senza libro, e ha tutti i più bei doni di natura. |
MARIA - | Già, ma di una natura un po’ balorda; oltre ad essere infatti un gran babbeo, è anche un maledetto attaccabrighe; e se a levargli il gusto della rissa non possedesse il dono del vigliacco, avrebbe presto il dono di una tomba, come dice la gente di buon senso. |
TOBIA - | Quelli che parlano di lui così, giuro su questa mano, sono tutti bassi calunniatori. Di’, chi sono? |
MARIA - | (Incalzando) E dicono anche, per soprammercato, che s’ubriaca con voi ogni notte. |
TOBIA - | Sì, certo: con brindare alla salute di mia nipote; cosa ch’io farò fintanto che il mio gozzo avrà un passaggio e che in Illiria ci sarà da bere. E vigliacco e bastardo sia colui che non alzi il bicchiere alla salute di mia nipote finché il suo cervello non si metta a girare sul suo perno come un galletto in cima a un campanile. Via, via, ragazza! Castilliano vulgo, che arriva ser Andrea Guanciaterzana. |
Entra ser ANDREA | |
ANDREA - | Ser Tobia Rutto! Caro ser Tobia! |
TOBIA - | Mio dolce ser Andrea! |
ANDREA - | (A Maria) E salute anche a voi, bella scorbutica! |
MARIA - | E altrettanto a voi, mio buon signore. |
TOBIA - | Attracca, ser Andrea! |
ANDREA - | Attracca, che? |
TOBIA - | La camerista della mia nipote. |
ANDREA - | Cara madama Attracca, avrei piacere di far con voi migliore conoscenza. |
MARIA - | Il mio nome è Maria, caro signore. |
ANDREA - | Cara Maria Attracca, che piacere! |
TOBIA - | No, vi state sbagliando, cavaliere! “Attracca” vuol significare “affrontala”, “abbordala”, “corteggiala”, “assaltala”… |
ANDREA - | Non vorrei impicciarmi con costei davanti a voi, perbacco, ser Tobia, se è questo che intendete per “attracca”. |
MARIA - | (Andandosene) Salute, gentiluomini. |
TOBIA - | Se la lasciate partire così, possiate non sguainar mai più la spada vostra vita durante, ser Andrea! |
ANDREA - | (A Maria) Se ve ne andate via così, madama, fo voto di non più sguainar la spada. Bella signora, vi credete forse d’avere per le mani due citrulli? |
MARIA - | Io non vi tengo per mano, signore. |
ANDREA - | Dovete, invece; eccovi la mia. |
(Le porge la mano; Maria la prende) | |
MARIA - | Bene, “il pensiero è libero”, si dice: questa mano, signore, portatela, vi prego, all’osteria e datele da bere. Ne ha bisogno. |
ANDREA - | E perché mai, dolcezza? Che vuole intendere questa metafora? |
MARIA - | Ch’è asciutta, signor mio. |
ANDREA - | Lo credo bene; non sono tale asino da non tenere le mani all’asciutto. Ma che significa il vostro scherzo? |
MARIA - | Uno scherzo, signore, anch’esso asciutto. |
ANDREA - | E ne avete altri in serbo? |
MARIA - | Oh, sì, li ho sulla punta delle dita: però vi lascio andare, ecco, la mano, e non ne ho più nessuno. |
(Esce) | |
TOBIA - | Vi ci vuole un bicchiere di canaria, eh, caro cavaliere! Quando v’ho visto mai così abbattuto? |
ANDREA - | Mai nella vita, penso, salvo forse che non sia stato qualche volta effetto del vin delle Canarie. Di quando in quando ho come l’impressione di non aver dentro di me più spirito d’un cristiano o d’altr’uomo qual che sia. Ma sono un gran mangiatore di manzo, e credo che dev’esser proprio questo a mandarmi talvolta giù di corda. |
TOBIA - | Senza dubbio è così. |
ANDREA - | Se potessi di questo essere certo, rinuncerei per sempre a trangugiarne. Domani, ser Tobia, ritorno a casa. |
TOBIA - | Pourquoi, mio riverito cavaliere? |
ANDREA - | Che vuol dire pourquoi? Che devo, o no? Vorrei aver potuto consacrare a studiare le lingue tutto il tempo che ho speso nella scherma, nella danza e a veder gli spettacoli degli orsi. Ah, se mi fossi dato alle arti belle! |
TOBIA - | Avreste avuto allora certamente una splendida chioma. |
ANDREA - | Perché? Vorreste forse dir che l’arte farebbe bene alla capigliatura? |
TOBIA - | Sicuro; ché la vostra, lo vedete, non è bella arricciata per natura. |
ANDREA - | Eppure mi sta bene, non trovate? |
TOBIA - | Oh, sì, vi pende tutta per le gote come ciuffi di lino da conocchia, e mi pare mill’anni di vedere un giorno o l’altro una brava massaia prenderli fra le gambe per filarli. |
ANDREA - | Bah, domani comunque, ser Tobia, sarò senz’altro di ritorno a casa. Vostra nipote non si fa vedere, e se pur si facesse, quattro a uno, che di me non vorrà proprio saperne. Il Duca, qui da presso, la corteggia. |
TOBIA - | Il Duca? Non ne vuol proprio sapere; non sarà mai che voglia andare sposa a qualcuno che le sia superiore per blasone, o per censo, o per età o per intelligenza. L’ho udita io stesso che se lo giurava. Insomma, cavaliere, finché c’è vita c’è speranza in tutto. |
ANDREA - | Resterò ancora un mese. Io sono un tipo tra i più stravaganti che ci siano al mondo; mi diletto di feste mascherate e di festini, qualche volta di tutti e due insieme. |
TOBIA - | Di certe frivolezze siete pratico, eh, cavaliere? |
ANDREA - | Più di qualsiasi altro in Illiria, purché non s’appartenga a quelli che lo sono più di me; non vorrei compararmi tuttavia con qualcuno più pratico di me. |
TOBIA - | Quali prodezze riuscite a fare ballando la gagliarda, cavaliere? |
ANDREA - | Eh, alla piroetta sono un asso! |
TOBIA - | Ed io son bravo al taglio-di-candela. |
ANDREA - | Ed io per me son certo che in tutta Illiria non ci sia nessuno più provetto di me a fare lo scambietto rovesciato. |
TOBIA - | Ah, queste nostre belle qualità, perché dovremmo tenerle nascoste, perché tener celate ed invisibili queste nostre virtù come dietro a una specie di cortina? Che male ci sarebbe, se, ad esempio, andaste in chiesa a passo di gagliarda, o rincasaste a passo di corrente? Temiamo forse che prendan la polvere come il ritratto di Madama Mall? Per me, il mio passo è quello della giga; e non vorrei di meglio che orinare al ritmo d’un vivace saltarello. Che mi volete dire? È questo un mondo da tenerci nascosti i nostri meriti? Pensavo giusto che le vostre gambe, per l’eccellente lor costituzione, siano state plasmate sotto il segno d’una costellazione di gagliarda. |
ANDREA - | Ah, sì, essa è robusta, e non manca di far la sua figura in un paio di calze rosso-fiamma… Beh, che direste di un po’ di bisboccia? |
TOBIA - | Che altro fare, altrimenti, noi due? Non siamo forse nati sotto il Toro? |
ANDREA - | Il Toro?… Ah, sì, presiede a fianchi e cuore. |
TOBIA - | No, no, mio cavaliere, a gambe e cosce. Su, fatemi vedere lo scambietto. |
(Ser Andrea fa la capriola) | |
Eh, no, un po’ più alto! | |
(Ser Andrea fa un’altra capriola) | |
Ora va bene, sì, così, perfetto! | |
(Escono) | |
SCENA IV - Sala nel palazzo del duca Orsino | |
Entrano VALENTINO e VIOLA travestita da uomo come CESARIO | |
VALENTINO - | Se il Duca seguita così con te, a favorirti, ne farai di strada, Cesario!… Ti conosce da tre giorni e già non sei per lui per nulla estraneo. |
VIOLA - | Se metti un “se” - “se il Duca - alla continuità del suo favore nei miei riguardi, ne debbo dedurre che temi un suo cambiamento d’umore o una mia negligenza nel servirlo. È sì volubile nei suoi favori? |
VALENTINO - | Al contrario, tutt’altro, mi puoi credere. |
VIOLA - | Ti ringrazio. Ma eccolo che viene. |
Entrano il duca ORSINO, CURIO e altri | |
ORSINO - | Dov’è Cesario? Chi di voi l’ha visto? |
VIOLA - | Son qui, son qui, signore, per servirvi. |
ORSINO - | (A Curio e agli altri) Vogliate allontanarvi per un poco. Cesario, tu di me sai tutto ormai; a te ho dischiuso il libro dei segreti più intimi del cuore. Perciò, ragazzo mio, volgi i tuoi passi a lei, alla sua casa, e se ti fosse negato di entrare, resta fermo davanti alla sua porta e fa’ loro saper che le tue piante là metteranno le loro radici, finché da lei non ti sia data udienza. |
VIOLA - | Son sicuro, mio nobile signore, che s’ella s’è concessa, come dicono, completamente in braccio al suo dolore, mai vorrà consentire di ricevermi. |
ORSINO - | E tu mettiti a urlare e a strepitare oltre ogni limite di convenienza; ma non devi tornarmi a mani vuote. |
VIOLA - | Diciamo pure ch’io possa parlarle, signore, ma che cosa devo dirle? |
ORSINO - | Oh, devi rivelarle, se riesci, tutta la foga della mia passione; sbigottirla, col dirle in modo acconcio di quanto l’amor mio le sia fedele: tu puoi essere interprete ideale presso di lei di tutte le mie pene. Dalla tua giovinezza ella ascolterà meglio queste cose che non s’esse le fossero recate da messaggero di più grave aspetto. |
VIOLA - | Ne dubito, signore. |
ORSINO - | Credilo, invece, caro il mio ragazzo, ché mentirebbe ai tuoi anni felici chi dicesse che tu sei uomo fatto; non è il labbro di Diano tenero e arrubinato come il tuo; e la tua voce ha il suono penetrante e aggraziato di quella d’una vergine, sì che tutto di te appare adatto a farti fare una parte di donna. So anche che il tuo segno zodiacale ti rende idoneo a questo ufficio. |
(Richiamando le persone di servizio) Quattro o cinque di voi vadan con lui, ed anche tutti quanti: io meno gente ho intorno e meglio sto. | |
(A Viola) Porta a buon fine questa ambasceria, e vivrai bene, come il tuo signore, da chiamar tue le stesse sue fortune. | |
VIOLA - | Farò quanto di meglio m’è possibile per corteggiar per voi la vostra dama. |
(A parte) Però, che ingrato compito, dovergli conquistare io le grazie d’un’altra donna, mentre bramo io stessa d’essere la sua moglie! | |
(Escono tutti) | |
SCENA V - La casa di Olivia | |
Entrano MARIA e FESTE | |
MARIA - | No, no, o tu mi dici chiaro e tondo dove sei stato tutto questo tempo, o io non vorrò aprire le mie labbra nemmeno da passarci un pel di capra, a dire le tue scuse alla padrona: t’impiccherà per questa tua assenza. |
FESTE - | E che m’impicchi pure! Chi trova buona forca a questo mondo, non teme più bandiera. |
MARIA - | Che vuoi dire? |
FESTE - | Che non avrà più paura di niente. |
MARIA - | Una bella risposta da quaresima! Lo sai tu dov’è nato questo detto: “Io non temo bandiera?” |
FESTE - | Dove, dove? |
MARIA - | È nato in guerra. E tu ti vuoi far bello a dirlo nelle tue buffonerie. |
FESTE - | Bene. Che Dio conservi la saggezza a chi ce l’ha, e conceda agli sciocchi di impiegarla per loro a lor talento. |
MARIA - | Comunque vada, tu sarai impiccato per la tua assenza, o se no, licenziato. Tanto per te impiccato o licenziato non fa nessuna differenza, o no? |
FESTE - | Qualche volta una buona impiccagione ti salva da un cattivo matrimonio. In quanto poi all’esser licenziato, l’estate mi darà ben una mano a sopportarlo. |
MARIA - | Allora, sei deciso? |
FESTE - | Non troppo, né per l’uno né per l’altro; ma sono risoluto su due punti. |
MARIA - | Sì, su due punti come le tue braghe: che se uno si rompe, l’altro tiene; però se ti si rompon tutti e due, resti sbracato, a natiche scoperte. |
FESTE - | Ben detto, assai ben detto, in fede mia! Ebbene, vattene per la tua strada. Se ser Tobia smettesse di sborniarsi, tu saresti il più arguto pezzettino di carne d’Eva di tutta l’Illiria. |
MARIA - | Taci, canaglia! Basta con gli scherzi. Ecco la mia signora, falle garbatamente le tue scuse. È la cosa migliore che puoi fare. |
(Esce) | |
Entra OLIVIA in gramaglie, seguita da MALVOLIO e altre persone del suo seguito | |
FESTE - | (A parte) Arguzia, prestami ora il tuo spirito, mettimi in buona vena di facezie. Quelli che credono di possederti si dimostrano spesso grandi sciocchi; io, che son certo d’esserne sprovvisto posso passare per uomo da senno. Che cosa dice infatti Quinapàlus? “È meglio un imbecille spiritoso che un savio imbecillito.” (Forte) Iddio vi benedica, mia signora! |
OLIVIA - | (Ai servi, indicando il Giullare) Allontanate quella testa pazza. |
FESTE - | (Ai servi) Ehi, avete sentito, brava gente? Suvvia, allontanate la signora! |
OLIVIA - | Fuori dai piedi, insipido buffone! Di te ne ho abbastanza, tra l’altro mi diventi disonesto. |
FESTE - | Due difetti, madama, che a correggerli sono sufficienti un bicchiere di vino e un buon consiglio. Date da bere ad un buffone a secco, ed il buffone non sarà più a secco; incoraggiate l’uomo disonesto ad emendarsi, e se quello si emenda, non sarà più un uomo disonesto; se invece non riesce ad emendarsi, ci pensi ad emendarlo il capponaio. Tutto ciò che si emenda si rattoppa. Virtù che trasgredisce e che si emenda è virtù rattoppata dal peccato; e peccato emendato non è altro che peccato con toppa di virtù. Se questo elementare sillogismo vi può bastare, è bene; se no, quale altro rimedio trovare? Poiché non c’è di veramente becco che la calamità a questo mondo, ne consegue che la bellezza è un fiore. (Ai servi) La signora ha ordinato poco fa di “allontanare quella testa pazza”. E dunque che aspettate, allontanatela! |
OLIVIA - | Sei tu, messere, che ho loro ordinato di togliermi dai piedi. |
FESTE - | Un madornale “qui pro quo”, signora! Perché “cucullus non facit monachum”, che è quanto dire che nel mio cervello io non vesto la stoffa del buffone. Buona signora, datemi licenza di dimostrarvi che il matto buffone qui dentro non son io ma siete voi. |
OLIVIA - | Ah, sì? E come fai a dimostrarlo? |
FESTE - | Semplicissimo, mia buona signora. |
OLIVIA - | Avanti, allora, dammi questa prova. |
FESTE - | Prima ho da porvi io qualche domanda, e voi, mio buon topino di virtù, rispondetemi a tono. |
OLIVIA - | Bene, matto; in mancanza d’altri svaghi, mi sottometterò alla tua prova. |
FESTE - | Buona signora, perché porti il lutto? |
OLIVIA - | Per mio fratello morto, caro matto. |
FESTE - | C’è da credere allora, mia signora, che la sua anima stia all’inferno. |
OLIVIA - | Al contrario, matto, io son sicura che la sua anima sta in paradiso. |
FESTE - | Tanto più matto, allora, in voi, signora, portare il lutto per vostro fratello, se la sua anima sta in paradiso. Portate via questa matta, signori! |
OLIVIA - | Che pensate, Malvolio, di questo matto, non vorrà correggersi? |
MALVOLIO - | Sì, lo farà, seguiterà a correggersi fino a che non verranno a tormentarlo gli spasmi della morte. L’infermità, che infirma la saviezza, fa sempre prosperar la matteria. |
FESTE - | Che Dio vi mandi allora prontamente una cospicua infermità, signore, a rafforzar la vostra matteria. Ser Tobia sarà pur pronto a giurare ch’io non sono una volpe, ma non impegnerà la sua parola per due soldi se indotto ad affermare che voi non siete un matto. |
OLIVIA - | Che avete da ribattergli, Malvolio? |
MALVOLIO - | Mi stupisce che vostra signoria si diletti ad udir le baggianate di un simile insipido straccione. L’altro giorno l’ho visto messo a terra da un altro volgarissimo buffone che ha men cervello in zucca d’una pietra. Guardatelo: ha smontato già la guardia, e a meno che non vi mettiate a ridere, e gli offriate occasione di riprendersi, è bell’e imbavagliato. Per mio conto, rimango del parere che quelli che hanno un grano di saggezza e si beano a udire le scemenze d’una siffatta risma di buffoni son zanni da strapazzo pure loro. |
OLIVIA - | Eh, voi siete ammalato d’amor proprio, Malvolio, ed assaggiate tutti i cibi con appetito guasto. Basta essere un poco generosi, indulgenti e di libere vedute per valutare tutte quelle cose che per voi sono palle da cannone per nient’altro che frecce da uccelletti. Sul labbro d’un giullare patentato non c’è mai spirito di maldicenza, per quante ingiurie possa egli lanciare; così come non può trovarsi ingiuria in un uomo di nota discrezione se gli avvenga di muover qualche critica. |
FESTE - | Ti dia Mercurio il dono di mentire, visto che parli bene dei giullari. |
Entra MARIA | |
MARIA - | Signora, c’è alla porta un giovinetto che insiste di voler parlar con voi. |
OLIVIA - | È da parte del duca Orsino, vero? |
MARIA - | Non so; è un giovane di bell’aspetto accompagnato da una buona scorta. |
OLIVIA - | E chi dei miei s’oppone a farlo entrare? |
MARIA - | Ser Tobia, vostro zio. |
OLIVIA - | Allontanatelo! Quello non sa dir altro che scempiaggini. È una vergogna. Andate voi, Malvolio: s’è da parte del Duca, dite che non sto bene… o che son fuori… insomma dite quello che volete, purché lo licenziate. |
(Esce Malvolio) | |
(A Feste) Ora lo puoi vedere anche da te, birbante, come le tue buffonate sian divenute ammuffite e stantìe, e quanto poco sian gradite al prossimo. | |
FESTE - | Eppure voi, signora, poco fa avete detto bene dei buffoni, come se il vostro figlio primogenito dovrà esserne uno; ed io non posso che pregare Giove che ben gli stipi di cervello il cranio, perché questo che viene, (Indica Ser Tobia che sta arrivando dal fondo) anch’egli membro del tuo parentado ha la pia madre alquanto deboluccia. |
Entra ser TOBIA | |
OLIVIA - | (A parte) Parola mia, è già mezzo ubriaco. |
(Forte) Chi c’è alla porta, zio? | |
TOBIA - | Un gentiluomo. |
OLIVIA - | Un gentiluomo: chi? |
TOBIA - | Un gentiluomo, che lingua parlo? Ho detto un gentiluomo… |
(Rutta) Maledette le anguille marinate!… | |
(Al Giullare) Ohilà, baggiano! | |
FESTE - | Caro ser Tobia! |
OLIVIA - | Eh, zio, zio, ma come può succedere che vi troviate così di buon’ora in questo stato di rimbambimento? |
TOBIA - | Io, in fermento?… No, sono calmissimo. C’è qualcuno alla porta, ve l’ho detto. |
OLIVIA - | Eh, ma insomma, chi è questo qualcuno? |
TOBIA - | Per me può essere anche messer diavolo, faccia il suo comodo, non m’interessa; dovete credermi, se ve lo dico, e se no, fa lo stesso, non m’importa. |
(Esce) | |
OLIVIA - | Buffone, a chi somiglia un ubriaco? |
FESTE - | A un annegato, a un grullo, a un mentecatto: il primo goccio in più lo istupidisce, il secondo lo fa uscir di senno, e con il terzo è bello che annegato. |
OLIVIA - | Vammi in cerca del Coroner, che venga ad occuparsi di mio zio, perché è nel terzo stadio della sbornia, ed è annegato. Va’, prendine cura. |
FESTE - | Per ora è solamente alla pazzia, e così un matto si prenderà cura di un altro matto. Ma come va il mondo! |
(Esce) | |
Rientra MALVOLIO | |
MALVOLIO - | Signora, il giovinetto che sta giù giura che vuol parlarvi ad ogni costo. Gli ho detto che stavate poco bene: s’è dichiarato molto comprensivo di questo, ma ha aggiunto ch’è per questo che vi vuole parlare; gli ho detto che stavate ancora a letto, e lui, come se fosse a conoscenza anche di ciò, pare proprio che in ciò trovi buona ragione per parlarvi. Che dirgli ancora, mia buona signora? È corazzato contro ogni ripulsa. |
OLIVIA - | Semplicemente che non è possibile. |
MALVOLIO - | Gli è stato detto, ma la sua risposta fu che starà impalato sulla porta dritto là come un palo di sceriffo, e ch’è anche disposto salvognuno a fare da sostegno a una panchina, ma vuol parlarvi. |
OLIVIA - | Ma che uomo è? |
MALVOLIO - | Mah, della specie umana. |
OLIVIA - | Ed i suoi modi? |
MALVOLIO - | Smodati, in verità, quant’altri mai; vi parlerà, che lo vogliate no. |
OLIVIA - | Ma com’è di persona? E di che età? |
MALVOLIO - | Non abbastanza adulto per un uomo, non tanto giovane per un ragazzo, come un baccello non ancor granato o una meluzza non ancora mela: sta in acqua ferma tra il ragazzo e l’uomo. D’aspetto è assai piacevole, direi, ma parla che somiglia ad una pica; si direbbe che ancora ha sulle labbra il latte della madre. |
OLIVIA - | Introducetelo, e mandatemi la mia damigella. |
MALVOLIO - | (Avviandosi ad uscire) Damigella, vi vuole la signora. |
(Esce) | |
Entra MARIA | |
OLIVIA - | Maria porgimi il velo. |
(Maria le porge il velo nero e le copre la testa) Ecco, così, abbassalo sul viso… Vogliamo prepararci ad ascoltare ancora un’altra ambasceria d’Orsino. | |
Entra VIOLA | |
VIOLA - | Qual è di voi l’onorata signora di questa casa? |
OLIVIA - | Dite pure a me, rispondo io per lei: desiderate? |
VIOLA - | O beltà radiosissima, squisita, impareggiabile, vogliate dirmi se la signora della casa è qui, perché non l’ho mai vista di persona e mi dorrebbe di gettare al vento il discorso che son venuto a farle; perché non solo è scritto a perfezione, ma ho faticato molto ad impararlo. Amabile beltà, non mi guardate in questo modo, come se a schernirmi; sono molto sensibile anche al più lieve cenno di rudezza. |
OLIVIA - | Parlate dunque: da dove venite? |
VIOLA - | So dirvi poco più di quanto è scritto nella mia parte, e la vostra domanda non c’è. Ma datemi, gentil creatura, un qualsivoglia cenno di conferma d’essere voi la padrona di casa, ch’io possa proseguire il mio discorso. |
OLIVIA - | La vostra parte… Siete un commediante? |
VIOLA - | Non proprio, mio sagacissimo spirito, ma giuro sull’impero della frode di non essere nella realtà quello del quale recito la parte. Siete voi la padrona della casa? |
OLIVIA - | Se non usurpo me stessa, son io. |
VIOLA - | Allora senza dubbio vi usurpate, perché quello ch’è vostro di natura affinché ne facciate parte agli altri, non è vostro per essere serbato così gelosamente da voi stessa. Ma tutto questo è fuori dell’oggetto della mia ambasciata. Io voglio proseguire il mio discorso in vostra lode per poi rivelarvi il cuore del messaggio che vi reco. |
OLIVIA - | Al fatto. Dalle lodi vi dispenso. |
VIOLA - | Ahimè, se m’è costato di fatica ad impararlo, ed è molto poetico! |
OLIVIA - | Tanto più falso allora, rischia d’essere, e ipocrita; tenetelo per voi. Siete stato insolente alla mia porta, come m’han riferito, ed io ho consentito a farvi entrare piuttosto più per la mia curiosità di veder la persona che eravate, che di ascoltare ciò che avreste detto. Se non siete insensato, andate via; altrimenti, se siete ragionevole, siate breve: non ho la luna dritta per dialogare in chiave così frivola. |
MARIA - | Volete dunque spiegare le vele, signore, e filar via? La rotta è questa. |
(Indica la porta) | |
VIOLA - | No, caro mozzo, devo bordeggiare ancora un poco per questi paraggi. |
(A Olivia) Dite al vostro gigante di calmarsi, dolce signora. | |
OLIVIA - | Insomma, che volete? |
VIOLA - | Nulla per me; son solo un messaggero. |
OLIVIA - | Avrete cose orribili da dirmi, sicuramente, se l’introduzione v’impone tanta paurosa cautela. Parlate dunque. Che volete dirmi? |
VIOLA - | È riservato solo al vostro orecchio. Io non vi reco un annuncio di guerra, né un avviso di leva di tributi: stringo il ramo d’olivo nella mano, le mie son tutte parole di pace. |
OLIVIA - | Fu rude il vostro esordio, tuttavia. Chi siete? Che volete? |
VIOLA - | La rudezza nel mio comportamento qual può essere apparsa, l’ho imparata da coloro che m’hanno accolto qui. Quanto a quello che sono e a quel che voglio come voi mi chiedete, son segreti come è segreta la verginità: sacra alle vostre orecchie, profana a quelle di chiunque altro. |
OLIVIA - | (Agli altri) Lasciateci qui soli, vogliamo udire questa cosa sacra. |
(Escono Maria e gli altri) | |
Bene, signore, il testo del messaggio? | |
VIOLA - | Dolcissima signora… |
OLIVIA - | Dichiarazione molto incoraggiante, su cui sarebbe molto da ridire… Ma il testo del messaggio dove sta? |
VIOLA - | Sta nel petto di Orsino. |
OLIVIA - | Ah, nel suo petto… Ed in quale capitolo? |
VIOLA - | Nel primo del suo cuore, se vi debbo rispondere con metodo. |
OLIVIA - | L’ho già letto. |
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