La dodicesima notte Read Online
MARIA - | Ve’ con che voce cavernosa il diavolo gli parla dentro! Ve l’avevo detto. Ser Tobia, la signora mia padrona vi prega che prendiate di lui cura. |
MALVOLIO - | Ah, ah, davvero v’ha detto così? |
TOBIA - | Andiamo, andiamo, zitti, state zitti! Bisogna prenderlo con molto garbo. Lasciate fare a me. Malvolio, ebbene, come vi sentite? Non vorrete competere col diavolo, amico, state attento, quello è un nemico dell’umanità! |
MALVOLIO - | Credo che non sappiate quel che dite. |
TOBIA - | Ohi là, sentite come se la prende quando si parla male del demonio! Dio non voglia che sia da lui stregato! |
FABIANO - | Portiamo dalla pizia le sue orine. |
MARIA - | Eh, sì, bisogna farlo; domattina, se sarò ancora in vita! La mia padrona non vorrebbe perderlo per nulla al mondo. |
MALVOLIO - | Ebbene, damigella? |
MARIA - | Oh, signore! |
TOBIA - | Vi prego di star zitta, non è maniera questa di trattarlo. Vedete come l’avete turbato? Lasciatemi a sbrigarmela da solo. |
FABIANO - | Non c’è altro mezzo che la gentilezza con lui, garbatamente, gentilmente… Il diavolo è brutale di per sé, e non giova trattarlo brutalmente. |
TOBIA - | (A Malvolio) Ebbene, come stai, cocchino bello? Che dici, pollastrello? |
MALVOLIO - | Ma, signore!… |
TOBIA - | Su, vieni, pìo, pìo, pìo, vieni con me! Ebbene, uomo, non è proprio serio con Satana giuocare a bucarella. Che s’impicchi, quel lercio carbonaio! |
MARIA - | Fategli recitar le sue preghiere, buon ser Tobia, fatelo pregare! |
MALVOLIO - | Le mie preghiere, pelle di cutrettola! |
MARIA - | No, v’assicuro, non ci sente più di rimettersi sulla buona strada! |
MALVOLIO - | Andate ad impiccarvi tutti quanti! Siete tutti creature oziose e vuote, io non son fatto della vostra pasta, e ve n’accorgerete fra non molto! |
(Esce) | |
TOBIA - | È mai possibile? |
FABIANO - | Se roba simile fosse rappresentata sulla scena, la bollerei senz’altro di finzione inverosimile ed infondata. |
TOBIA - | Gli s’è infettata, con la nostra burla, la parte più profonda del suo spirito. |
MARIA - | E allora sotto, inseguiamolo adesso, per far che il marchingegno non svapori e finisca a marcire. |
FABIANO - | Che, lo vogliamo far uscire pazzo? |
MARIA - | Così la casa sarà più tranquilla. |
TOBIA - | Beh, venite con me: lo chiuderemo in una stanza solo, al buio, incaprettato mani e piedi. Mia nipote non ha più nessun dubbio che sia davvero uscito fuor di senno. Questo scherzo lo tireremo a lungo per nostro spasso e per sua punizione, finché lo stesso nostro passatempo per mancanza di fiato anch’esso stanco non ci indurrà ad aver pietà di lui. A questo punto metteremo in pubblico la burla, e tu sarai incoronata come una scopritrice di dementi! Ma guardate chi viene, ser Andrea! |
Entra ser ANDREA con una lettera in mano | |
FABIANO - | Altro argomento da Calendimaggio! |
ANDREA - | Ecco il cartello di sfida; leggetelo. Ci ho messo, v’assicuro, aceto e pepe. |
FABIANO - | Così piccante? |
ANDREA - | Certo, garantisco: leggetela e saprete. |
TOBIA - | Date qua. |
(Gli prende la lettera dalle mani e legge) “Giovanotto, “qualunque cosa e chiunque tu sia, “sei sempre un individuo spregevole.” | |
FABIANO - | Attacco molto buono e coraggioso… |
TOBIA - | (Sempre leggendo) “Non domandarti, non trasecolare, “se ti chiamo così, “perché il motivo non te lo dirò.” |
FABIANO - | Felice annotazione, che vi mette al riparo dalla legge. |
TOBIA - | (c.s.) “Tu vieni a casa di madonna Olivia “ed ella ti ricolma, in mia presenza, “di cortesie; ma menti per la gola, “perché non è per questo che ti sfido.” |
FABIANO - | Breve, conciso e del tutto in… sensato”. |
TOBIA - | (Sempre leggendo) “Mi troverò appostato sui tuoi passi “al tuo rientro a casa, “e là se la tua sorte avrà deciso “che tu mi uccida… |
FABIANO - | Bene, molto bene! |
TOBIA - | (c.s.) “… mi ucciderai da quella gran canaglia “e ribaldo che sei.” |
FABIANO - | Bene, benissimo, e sempre dalla parte della legge. |
TOBIA - | (c.s.) “Statti bene, e che Dio abbia pietà “dell’anima di uno di noi due; “potrebbe avere pietà della mia, “ma ho speranze migliori, “perciò attento a te, sta’ bene in guardia. “Il tuo amico oppure il tuo nemico, “a seconda che tu vorrai trattarlo, “Andrea Guanciaterzana”. |
Se questa lettera non saprà smuoverlo, non lo sapranno manco le sue gambe. Gliela vado a portare. | |
MARIA - | Potete cogliere il buon momento per questo: egli si trova proprio adesso a conversare con la mia padrona e non tarderà molto a congedarsi. |
TOBIA - | Andate, ser Andrea, andate fin da ora ad appostarvi come un gendarme all’angolo dell’orto. Come vi appare, snudate la spada e cominciate a sberciare di grosso come un ossesso, perché non di rado a dare prova di virilità val più un’imprecazione tonda tonda appioppata con voce da bombarda che provarla coi fatti. Andate, andate! |
ANDREA - | Quanto ad imprecazioni, sono un asso. |
(Esce) | |
TOBIA - | Questa lettera mi guarderò bene dal consegnarla al suo destinatario: perché quel giovane dal suo contegno è persona perbene e intelligente; n’è conferma la grande discrezione con la quale s’adopera da tramite fra il duca suo signore e mia nipote. Perciò questa missiva, nella sua eccellente balordaggine, non potrebbe destare alcun timore nell’animo del suo destinatario: il giovanotto capirebbe subito che gli proviene da un grosso baggiano. Invece porterò la sfida a voce, descrivendogli ser Guanciaterzana come un uomo famoso per coraggio, di modo che quel giovin gentiluomo - e la sua gioventù, sono convinto, glielo farà sicuramente credere - possa farsi un’idea terrificante della sua furia, della sua maestria, della sua irruenza scatenata. Tutto ciò metterà in tutti e due una tale paura l’un dell’altro, che basterà si scambino un’occhiata per uccidersi, come basilischi. |
Entrano OLIVIA e VIOLA | |
FABIANO - | Eccolo, viene con vostra nipote. Lasciamo che si scambino i saluti e si congedino: subito dopo ci metteremo alle di lui calcagna. |
TOBIA - | E nel frattempo voglio meditare il tono di una sfida orripilante. |
(Escono ser Tobia, Fabiano e Maria) | |
OLIVIA - | Ho parlato anche troppo ad un cuore di pietra come il vostro, e con troppa imprudenza ho messo a rischio innanzi a voi la mia reputazione. Sento qualcosa in me che mi rinfaccia l’errore commesso; ma esso è sì caparbio ed ostinato che sfida ogni censura, e se ne ride. |
VIOLA - | Nella vostra passione vedo i segni della stessa che angoscia il mio padrone. |
OLIVIA - | Ecco, vorrei che portaste per me questo gioiello, con il mio ritratto. Non rifiutatelo. Non ha una lingua per muovervi rimproveri di sorta. E domani tornate, vi scongiuro. Che mai potreste chiedermi ch’io vi possa negare, e che l’onore possa concedere senza suo danno? |
VIOLA - | Solo una cosa: un amore sincero da parte vostra per il mio padrone. |
OLIVIA - | Come potrei, senza danno all’onore, dare a lui quel che ho già concesso a voi? |
VIOLA - | Io ve ne assolverò. |
OLIVIA - | Bene, tornate ancor domani. Addio. Anche un demonio, se avesse il tuo aspetto, trascinerebbe con sé la mia anima fin nel profondo inferno. |
(Esce) | |
TOBIA - | (A Viola) Iddio vi dia salute, gentiluomo. |
VIOLA - | Salute a voi, signore. |
TOBIA - | Affidatevi a tutte le difese di cui potete disporre, signore. Non so di che natura siano i torti che gli avete recato, ma colui che vi sta aspettando al varco, appostato nel fondo del giardino, è gonfio di dispetto e sanguinario quanto un cacciatore. Sguainate la spada e siate rapido nel prepararvi ché il vostro avversario è un destro e stagionato spadaccino, e il suo colpo è mortale. |
VIOLA - | Voi v’ingannate su di me, signore; io son sicuro che nessuno al mondo ha in sospeso con me alcuna lite: la mia memoria è sgombra d’ogni immagine d’offesa da me fatta a chicchessia. |
TOBIA - | Vedrete da voi stesso che le cose stanno altrimenti, ve lo garantisco. Per cui se fate alcun apprezzamento della vita, restate bene in guardia, perché il vostro avversario, vi ripeto, è provvisto di ciò che giovinezza, forza, esperienza e collera compressa sanno tenere in serbo per un uomo. |
VIOLA - | Vi prego, ditemi chi è quest’uomo. |
TOBIA - | Un cavaliere, che fu armato tale con spada senza tacche e su tappeto, ma che sarebbe un autentico diavolo, se provocato a battersi in privato. Ha fatto già divorziare tre anime dai loro corpi, ed è così implacabile la sua collera in questa circostanza, che non avrà altra soddisfazione se non nei patimenti della morte e nel sepolcro. “Avere e non avere” è il suo motto, sarebbe come a dire: “O suonarle o buscarle”. |
VIOLA - | Io torno a casa e chiedo alla signora di fornirmi una scorta. Non sono uso a manovrar la spada. Ho udito che ci son delle persone che vanno in giro a provocar duelli senza ragione e con il solo intento di mettere alla prova il lor coraggio. Costui probabilmente è della risma. |
TOBIA - | No, no, signore, il suo risentimento discende da un’offesa vera e propria; perciò siete obbligato, non c’è dubbio, a rendergliene il conto che pretende. E non pensate di rientrare a casa per chiedere uno scorta alla padrona, prima d’aver intrapreso con me quello che con la stessa sicurezza voi potreste intraprendere con lui; perciò o andate avanti con la sfida, o snudate la spada qui con me: ché battervi dovete in ogni caso, o rinunciare altrimenti per sempre a portare una spada al vostro fianco. |
VIOLA - | Tutto ciò è incivile quanto strano. Vi prego, fatemi la cortesia di chiedere a codesto cavaliere quale offesa gli avrei io mai recato. Dev’esser cosa ch’io posso aver fatto senza volerlo, e senza alcun proposito. |
TOBIA - | Andrò a sentire. Voi, signor Fabiano, restate presso questo gentiluomo fin ch’io non sia tornato. |
(Esce) | |
VIOLA - | Di grazia, signor mio, sapete nulla di tutta questa storia? |
FABIANO - | So soltanto che il detto cavaliere è su tutte le furie contro di voi e risoluto a battersi fino all’ultimo sangue Non so altro. |
VIOLA - | Ma ditemi: che razza d’individuo è? |
FABIANO - | A giudicarlo dall’aspetto esterno non si direbbe che possieda in sé la portentosa potenzialità che scoprirete in lui quando fra poco metterà a prova tutto il suo valore. Certo, ch’è senza dubbio il più provetto, sanguinario, fatale spadaccino che si possa trovare in tutta Illiria. Se volete, vi posso accompagnare da lui, per fare io stesso il tentativo di rimettere pace fra voi due. |
VIOLA - | Ve ne sarei davvero assai obbligato. Io, vedete, son uno che sempre ha preferito accompagnarsi con reverendi uomini di chiesa, piuttosto che con uomini di spada; e non m’importa d’esser conosciuto d’esser di questo impasto di natura. |
(Escono) | |
Entrano ser TOBIA e ser ANDREA | |
TOBIA - | Ebbene, amico, quello è un vero diavolo Non ho mai incontrato prima d’ora una firago[84] simile. Ho voluto saggiarlo in un assalto, spada, maschera e tutto: e m’ha affibbiato una tale stoccata che m’è stato impossibile parare tanto è stata diretta ed immediata. E quanto alla risposta, colpisce con la stessa sicurezza con cui i suoi piedi battono la terra quando cammina. Dicon che sia stato istruttore di scherma dello Scià. |
ANDREA - | Maledizione a lui! Non ci voglio aver niente a che competere. |
TOBIA - | Già, ma quello non vuol proprio saperne di far la pace. Fabiano è laggiù con lui e fa fatica a trattenerlo. |
ANDREA - | Peste lo colga! Se avessi saputo che si trattava d’un tal coraggioso e provetto nel maneggiar la spada, l’avrei spedito volentieri al diavolo a parole, piuttosto che sfidarlo. Se lascerà cadere la questione, gli regalo in compenso il mio cavallo, il grigio Capilet. |
TOBIA - | Posso proporglielo. Nel frattempo vogliate restar qui, e darvi un’aria altera e sussiegosa. Questa faccenda si concluderà senza perdita d’anime, vedrete. |
(A parte) Saprò ben cavalcare il tuo cavallo, come ho finora cavalcato te… | |
Rientrano FABIANO e VIOLA | |
(A parte, a Fabiano) Ho il suo cavallo, a comporre la lite. L’ho persuaso che quel giovanotto è un vero satanasso. | |
FABIANO - | (A parte a ser Tobia) E il giovanotto s’è fatto, a sua volta, un’idea terribile di lui. E s’è sbiancato e ansima di grosso come se avesse un orso alle calcagna. |
TOBIA - | (A Viola) Non c’è niente da fare: vuole battersi fino in fondo, signore; l’ha giurato. Ha meglio riflettuto sulla lite, e trova che non valga più la pena di riparlarne. Non vi resta altro che snudare la spada e assecondarlo ad onorare questo suo impegno. Assicura di non farvi alcun male. |
VIOLA - | (A parte) Dio mi protegga! Basterà un nonnulla per costringermi a far capire loro quel che mi manca per essere un uomo. |
FABIANO - | Se lo vedete che s’infuria troppo, badate solo a cedergli terreno. |
TOBIA - | Coraggio, ser Andrea, non c’è più scampo; il gentiluomo esige, per l’onore, di scambiare sia pure un solo assalto con voi; non può più proprio farne a meno, per via del codice cavalleresco che regola i duelli; ma ha promesso, da vero gentiluomo e da soldato, che si asterrà dal produrvi alcun male. E dunque andiamo avanti. Cominciate. |
ANDREA - | (Tra sé) Dio voglia che mantenga la promessa… |
VIOLA - | Vi giuro che lo faccio controvoglia. |
(Ser Andrea e Viola estraggono le spade accennando ad un timido, goffo tentativo di duellare, quando entra ANTONIO) | |
ANTONIO - | (Interponendosi tra i due, a ser Andrea) Riponete nel fodero la spada! Se questo giovane v’ha fatto offesa, prendo io la sua colpa su di me: se invece siete stato voi a offenderlo, vi sfido io per lui. |
TOBIA - | Voi, signore? Perché? Chi siete voi? |
ANTONIO - | Uno che per amore di costui oserà fare ancor molto di più di quanto avete udito ora vantarsi. |
TOBIA - | Beh, se volete fare il sostituto, sono qua io per voi. |
(Estraggono le spade. Entrano due UFFICIALI del Duca) | |
FABIANO - | Fermo, buon ser Tobia! Ecco le guardie! |
TOBIA - | (Ad Antonio, rinfoderando la spada) Sarò da voi tra poco. |
VIOLA - | (A ser Andrea) Signore, prego, con vostra licenza, vi spiace di rinfoderar la spada? |
ANDREA - | Non mi dispiace affatto, per la vergine! E quanto alla promessa che v’ho fatta, manterrò la parola: è un buon cavallo, si fa montare molto facilmente, ed è docile al morso. |
PRIMO UFFICIALE - | (Indicando all’altro Antonio) Questo è l’uomo; procedi al tuo dovere. |
SECONDO UFFICIALE - | Antonio, d’ordine del duca Orsino, ti dichiaro in arresto. |
ANTONIO - | Voi vi sbagliate su di me, signore. |
PRIMO UFFICIALE - | Niente affatto, signore, niente affatto. Riconosco assai bene il vostro volto, anche se adesso non abbiate in testa il berretto da marinaio. Avanti, conducetelo via. Lui sa benissimo che lo conosco. |
ANTONIO - | Devo obbedire. |
(A Viola) Questo mi succede per essere venuto qui a cercarvi. Ma purtroppo non c’è nulla da fare, sono costretto a render loro il conto. Ma che farete, ora che il bisogno mi forza a chiedervi di darmi indietro la mia borsa? M’affligge assai di più di non poter più fare nulla per voi, che il pensiero di ciò cui vado incontro. Siete tutto sconvolto. Su, coraggio! | |
SECONDO UFFICIALE - | (Ad Antonio) Signore, andiamo, venite con noi. |
ANTONIO - | (A Viola) Mi dispiace d’insistere con voi, ma mi necessita almeno una parte di quel denaro. |
VIOLA - | Qual denaro, amico? S’è per la premurosa cortesia che m’avete dianzi dimostrato, e per mostrarvi quanto sia commosso per la presente vostra mala sorte, ben volentieri m’induco a prestarvi qualcosa delle magre mie sostanze. Non è molto; dividerò con voi tutto il denaro che mi porto addosso. |
(Gli offre del denaro) | |
Tenete: è la metà del mio forziere. | |
ANTONIO - | Che! Mi rinneghereste dunque adesso? Possibile che quanto ho meritato fino adesso per voi debba esser negato in questo modo? Non mettete l’attuale mia disgrazia fino al punto di farmi diventar tanto insensato da rinfacciarvi tutti i miei servigi. |
VIOLA - | Quali servigi? Io non ne conosco; né riesco, alla voce ed all’aspetto, a ravvisar chi siete. Eppur son uno ch’odia l’ingratitudine nell’uomo più della vanagloria menzognera, più della petulante ubriachezza o di qualsiasi diverso vizio la cui profonda forza corruttrice si radichi nel nostro sangue fragile. |
ANTONIO - | O cieli onnipotenti! |
SECONDO UFFICIALE - | Su, su, signore, via, dobbiamo andare! |
ANTONIO - | Prima lasciate ch’io vi parli un poco. Questo giovane che vedete qui l’ho strappato alle fauci della morte che stava quasi ad esserne inghiottito, l’ho confortato con sacrale affetto e ho nutrito una vera devozione per l’immagine sua che m’era apparsa come una promessa della più venerabile virtù. |
PRIMO UFFICIALE - | E ce lo vieni a raccontare a noi? Il tempo passa. Andiamo. |
ANTONIO - | (Senza badargli) … Ma, oh!, qual vile idolo mi si rivela adesso questo dio! Ohimè, Sebastian, tu hai sfigurato con questo la tua nobile persona! Non esiste in natura altra bruttezza che la bruttezza d’animo: e deforme può esser solo detto colui che agisce contro la natura. La virtù è bellezza, ma la malvagità imbellettata è simile ad un canterano vuoto abbellito d’intagli dal demonio. |
PRIMO UFFICIALE - | Costui sragiona. Portiamolo via. Andiamo, andiamo, amico. |
ANTONIO - | Andiamo, sì. |
(Esce con gli Ufficiali) | |
VIOLA - | (A parte) Strano!… M’è parso che le sue parole gli sgorgassero da una tal passione ch’ei crede veramente a quel che dice. Ed io? Non credo forse a quel che penso? Possa tu dimostrarti veritiera, mia fantasia! Ch’io, caro fratello, sia stata ora scambiata per te! |
TOBIA - | Fabiano, cavaliere, avvicinatevi: qui converrà che ci mettiamo insieme a masticar due coppie di versetti pieni di massime moraleggianti. |
VIOLA - | (c.s.) … M’ha chiamato col nome di Sebastian. Io so che mio fratello nell’immagine della mia persona vive riflesso come in uno specchio: i lineamenti suoi erano identici in tutto ai miei, e andava anche vestito come me: stessi colori di stoffa, stessa foggia e stesse guarnizioni, perché son io che l’ho sempre imitato. Ah, fosse tutto vero! Le tempeste sarebbero gentili e amorose le salse onde del mare! |
(Esce) | |
TOBIA - | (A ser Andrea) Un ragazzaccio vile e disonesto, un vero cuor di lepre. Abbandonar l’amico nel bisogno e rinnegarlo… Razza di canaglia! E riguardo alla sua vigliaccheria Fabiano, qui, può dirvene qualcosa. |
FABIANO - | Un vigliacco, un vigliacco sacrosanto, che ha la codardia per religione! |
ANDREA - | Per le ciglia di Dio, quand’è così, gli corro dietro e gliene suono quattro! |
TOBIA - | Fatelo, sì, una buona batosta, ma senza mettere mano alla spada! |
ANDREA - | E se non gliele suono… |
(S’avvia come per correre dietro a Viola) | |
FABIANO - | (A ser Tobia) Andiamo, andiamo, si va a vedere quello che succede. |
TOBIA - | Posso scommettere qualsiasi somma ch’anche stavolta non succede niente. |
(Escono) |
ATTO QUARTO
SCENA I -Davanti alla casa di Olivia | |
Entrano SEBASTIAN e FESTE | |
FESTE - | Volete farmi credere per forza che non è vero quello che vi dico: che sono qui inviato per cercarvi. |
SEBASTIAN - | Va’, va’, tu sei uno sciocco compare, va’, liberami della tua presenza. |
FESTE - | Ben recitato, eh?, non c’è che dire! No, io non so chi siete, né che son stato mandato da voi per incarico della mia padrona per dirvi ch’ella vi vuole parlare, che Cesario non è il vostro nome. e questo naso mio non è il mio naso. Insomma quel che è per voi non è. |
SEBASTIAN - | Ti prego va’ a ventilare altrove la tua arguzia. Tu non sai chi sono. |
FESTE - | “Ventilare la mia arguzia altrove…” Deve avere sentita questa frase da chi sa quale illustre personaggio, ed ora l’applica ad un buffone! “Sbandierar la mia arguzia”… Temo assai che questo gran viziato, il nostro mondo, sia per farsi davvero effeminato. Ti prego, amico, togliti di dosso la tua pàtina di riservatezza, e dimmi quel che vuoi che riferisca alla padrona mia: devo sì o no ventilarle che vai oggi da lei? |
SEBASTIAN - | Ti prego, matto greco, gira al largo. Eccoti del denaro. Se tardi ancora un po’ ad allontanarti, avrai un ben peggiore pagamento. |
(Gli dà del denaro, che il Giullare prende) | |
FESTE - | Siete di mano larga, a quanto vedo. Questi saggi che dànno soldi ai matti si procacciano una buona fama… pari a una rendita di quindici anni. |
Entrano ser ANDREA, ser TOBIA e FABIANO | |
ANDREA - | (A Sebastian) Ebbene, debbo incontrarvi di nuovo? Tenete allora! Lo tenevo in serbo. |
(Gli dà un ceffone) | |
SEBASTIAN - | (Schiaffeggiandolo a sua volta) E questo è tuo… e quest’altro… e quest’altro… Ma che paese è questo: tutti matti? |
TOBIA - | (A Sebastian) Fermo, o vi scaravento quella spada al di là della casa! |
FESTE - | Uh, questo corro a dirlo alla padrona! Non vorrei essere nei vostri panni nemmeno per due soldi! |
TOBIA - | (Afferrando Sebastian per trattenerlo) Via, signore, fermatevi. |
ANDREA - | Lasciatelo. Me lo lavoro io, in un’altra maniera: a suo discapito intenterò un’azione per percosse, se in Illiria c’è ancora una giustizia, e se pur l’ho percosso io per primo, la qual cosa non ha grande importanza. |
SEBASTIAN - | (A ser Tobia che lo trattiene) Giù le mani! |
TOBIA - | Non vi lascerò andare. (A ser Andrea) E quanto a voi, mio giovane campione, rinfoderate pure quella spada. L’avete ben usata. Andiamo via. |
SEBASTIAN - | Intanto io mi libero di te! |
(Con uno strattone si libera dalla stretta di Tobia, e sguaina la spada) | |
E adesso che ti serve? Se hai coraggio di provocarmi ancora, avanti, sfodera! | |
TOBIA - | Oh, guarda, guarda! Allora vuoi davvero ch’io ti salassi un’oncia o due o tre del tuo sangue spavaldo! |
(Sguaina anch’egli la spada) | |
In questo istante entra OLIVIA, uscendo da casa | |
OLIVIA - | Fermo, Tobia, per la tua vita! Fermo! Te l’ordino! |
TOBIA - | Signora! |
OLIVIA - | Possibile! Sarai sempre lo stesso? Villano screanzato, degno di stare in mezzo alle montagne e in fondo alle caverne più selvatiche, in luogo dove mai ci fu nessuno che predicasse le buone maniere. Fuori dalla mia vista! |
(A Sebastian) Non te ne offendere, caro Cesario… | |
(A ser Tobia) Vattene, dunque, pezzo di villano! | |
(Escono ser Tobia, ser ANDREA e FABIANO) | |
Cortese amico, lascia, te ne prego, che in questo ingiusto e incivile attentato alla tua calma non la tua passione prevalga, ma la tua bella saggezza. Vieni in casa con me, e udrai di tali e tante stolte imprese accozzate da questo villanzone, che non potrai far altro che sorriderne. Tu non puoi fare a meno di venire. Non ricusarti. Se lo porti il diavolo! Egli ha messo in tumulto, nel tuo petto, un povero mio cuore. | |
SEBASTIAN - | (A parte) Che sapore può avere tutto ciò? Da che parte va dunque la corrente? Delle due l’una: o sono pazzo io, o questo è tutto un sogno. Comunque sia, continui l’illusione a tenere i sensi miei immersi in Lete. Se così è sognare, continuiamo pure questo sonno. |
OLIVIA - | Ti prego, andiamo. Ah, volesse il cielo che ti lasciassi governar da me! |
SEBASTIAN - | Lo faccio volentieri, mia signora. |
OLIVIA - | Oh, sì, dillo a parole, e così sia! |
(Escono entrando in casa di Olivia) | |
SCENA II - Stanza in casa di Olivia | |
Entrano FESTE e MARIA | |
MARIA - | Suvvia, mettiti indosso questa tonaca e questa barba finta; e dàgli a intendere che sei don Topas, il curato; ma vedi di far presto. Io vado intanto a chiamar ser Tobia. |
(Esce) | |
FESTE - | Bene, mi metto barba e palandrana, e fingerò di non esser più io; e non sarò di certo stato il primo a camuffarmi con una sottana. Non sarò abbastanza corpulento per far bene la parte del curato, e nemmeno abbastanza magro e smilzo da passar per un grande pensatore; e tuttavia venir considerato un uomo onesto e un buon paterfamilias val quanto esser curatore d’anime e studioso di grande rinomanza. Ecco che arrivano i confederati. |
Entrano ser TOBIA e MARIA | |
TOBIA - | Giove ti benedica, signor parroco! |
FESTE - | (Alterando la voce) Bonas dies, ser Tobia: ché come disse con molto giudizio alla nipote del re Gorboduc un tempo il vecchio eremita di Praga che mai aveva visto inchiostro e penna: “Quel che è, così è”. E così io, dal momento che sono il signor parroco, son bene il signor parroco; perché che cos’è “questo” se non “questo” e che cos’altro è “è” se non è “è “? |
TOBIA - | (Indicando la porta della stanza dove è rinchiuso Malvolio) Predicatelo a lui questo, don Topas. |
FESTE - | (Avvicinandosi alla porta del cubicolo dove si trova rinchiuso Malvolio) |
Ehi, oh, sia pace e bene a questo carcere. | |
TOBIA - | Imita bene il parroco, il briccone. Un fiore di briccone questo Feste! |
MALVOLIO - | (Da dentro) Chi chiama là di fuori? |
FESTE - | È don Topas, il curato, che viene a visitare l’invasato Malvolio. |
MALVOLIO - | (c.s.) Oh, don Topas, don Topas, buon don Topas, vogliate andare dalla mia signora. |
FESTE - | (A voce alta, fingendo di fare lo scongiuro) |
Fuori, fuori, iperbolico demonio! Perché tormenti questo pover’uomo? Non sai parlare d’altro che di donne? | |
TOBIA - | Ben detto, signor parroco, ben detto! |
MALVOLIO - | (c.s.) Don Topas, non crediate ch’io sia pazzo! Mai uomo ricevette tanti torti com’io, don Topas. M’han buttato qui nella più orrenda tenebra, don Topas. |
FESTE - | Imbroglione d’un Satana, vergogna! E ti chiamo coi termini più blandi, perché son di quelle anime gentili use a trattar con le buone maniere perfino il diavolo. Che stai dicendo? Ch’è buio nella stanza? |
MALVOLIO - | (c.s.) Oh, sì, don Tobas, come all’inferno. |
FESTE - | Ma com’è possibile? Eppure ha feritoie trasparenti come le barricate, e le vetrate dal lato nord-sud sono lustre e lucenti come l’ebano. E tu ti lagni che manca la luce? |
MALVOLIO - | (c.s.) Non son pazzo, don Tobas, se vi dico che questa stanza è buia. |
FESTE - | Pazzo, tu erri. Perché io ti dico che non c’è buio se non l’ignoranza nella quale tu vagoli sperduto più che gli Egizi nella loro nebbia. |
MALVOLIO - | (c.s.) E io ti dico che questa stamberga è oscura e tetra come l’ignoranza, fosse pur l’ignoranza buia e tetra come l’inferno; e dico che mai uomo fu più oltraggiato. Io non son più pazzo di quanto siate ciascuno di voi. E mi potete mettere alla prova facendomi qualsiasi domanda che richieda risposta giudiziosa. |
FESTE - | Allora questa: che dice Pitagora parlando della fauna selvatica? |
MALVOLIO - | (c.s.) Dice che l’anima di nostra nonna potrebbe anche trovarsi in un uccello. |
FESTE - | E tu che pensi di tale opinione? |
MALVOLIO - | (c.s.) Io ho dell’anima un concetto nobile, e non approvo affatto la sua tesi. |
FESTE - | E allora statti bene e resta al buio. Prima ch’io possa dir che sei in senno, devi essere d’accordo con Pitagora: vale a dire che devi aver paura di spodestare l’anima a tua nonna, sparando a una beccaccia. Statti bene. |
MALVOLIO - | (c.s.) Ah, don Tobas, don Tobas… |
TOBIA - | Oh, bravo, squisitissimo don Tobas! |
FESTE - | Eh, sì, io so nuotare in tutte l’acque. |
MARIA - | Potevi recitar tutta la scena anche senza la barba e senza tonaca, tanto non ti vedeva in questo arnese. |
TOBIA - | Adesso parlagli con la tua voce al naturale, e vedi che succede; vorrei proprio che ormai ci liberassimo di questa birbonata con costui. Se si potesse scaricarlo ormai decentemente, vorrei lo facessimo, perché in questo momento francamente s’è talmente guastato il mio rapporto con mia nipote Olivia, che non potrei davvero prolungare fino alla conclusione questo spasso senza crearmi qualche grosso guaio. (A Maria) Vieni nella mia camera, ti prego. |
(Escono ser Tobia e Maria) | |
FESTE - | (Cantando con la sua voce naturale) “Ehi, Robin, gaio Robin, “come sta la tua bella?” |
MALVOLIO - | (c.s.) Giullare!.. |
FESTE - | “La mia bella è ben crudele…” |
MALVOLIO - | (c.s.) Giullare! |
FESTE - | (Sempre cantando) “Ahimè, perché così crudele?…” |
MALVOLIO - | (c.s.) Giullare, dico! |
FESTE - | “Perché ama un altro…” Ma chi mi chiama da là dentro, olà? |
MALVOLIO - | (c.s.) Buon buffone, se vuoi ben meritare di me, procurami una candela, e penna, inchiostro e carta. |
Com’è vero che sono un gentiluomo, te ne sarò obbligato per la vita. | |
FESTE - | Signor Malvolio? |
MALVOLIO - | (c.s.) Sì, mio buon buffone. |
FESTE - | Ahimè, signore, com’è mai successo che abbiate perso tutti i cinque spiriti? |
MALVOLIO - | (c.s.) Buffone, non c’è stato mai nessuno più di me chiaramente sì oltraggiato! Io son padrone di tutti i miei spiriti, buffone, almeno quanto lo sei tu. |
FESTE - | Almeno quanto lo son io, tu dici? Allora è vero che sei proprio pazzo, se ti senti in possesso dei tuoi spiriti non più di quanto lo sia un buffone. |
MALVOLIO - | (c.s.) M’hanno trattato come uno zimbello. Mi tengono rinchiuso qui all’oscuro, mi mandano degli asini di preti a esorcizzarmi, e fan tutto il possibile per farmi credere che sono pazzo. |
FESTE - | (Rifacendo la voce di don Tobas) Attento a quel che dici: il reverendo è qui fuori che ascolta. Ah, Malvolio, Malvolio! Che il cielo ti ridoni la ragione! Adesso sforzati di prender sonno e smettila di biascicare a vanvera. |
(Fingendo, cambiando voce a volta a volta, di dialogare fra se stesso e don Topas) | |
(Come don Topas) No, giovanotto, non gli date corda. | |
(Come se stesso) Chi, io, signore? Certo no, vi pare! Dio v’accompagni, gentile don Topas. | |
(Come don Topas) E allora siamo intesi. | |
(Come se stesso) Certamente, signore, certamente! | |
MALVOLIO - | (c.s.) Buffone, insomma, dico, vuoi rispondere? |
FESTE - | Ahimè, signore, vi ci vuol pazienza. Che v’ho detto, signore? M’han redarguito per parlar con voi. |
MALVOLIO - | (c.s.) Buon buffone, procurami, ti prego, un qualche lume ed un foglio di carta. Te l’ho detto, io sono tutto in me come chiunque altro qui in Illiria. |
FESTE - | Fosse vero, signore, che lo foste! |
MALVOLIO - | (c.s.) Giuro per questa mano che lo sono. Sii buono: un po’ d’inchiostro e della carta e una candela, e poi va’ a consegnare quello che scriverò alla mia padrona. Ne potrai ricavar tali vantaggi quali finora mai ti sei sognato di conseguire portando una lettera. |
FESTE - | Mi presterò. Ma ditemi, in coscienza, è proprio vero che non siete pazzo, o fate solo finta di non esserlo? |
MALVOLIO - | (c.s.) Credimi, non lo sono… è verità. |
FESTE - | Eh, io non crederò mai ad un pazzo se prima non ho visto il suo cervello. Intanto vi procuro una candela e carta e calamaio. |
MALVOLIO - | (c.s.) Sì, buffone, te ne renderò merito ad usura, fammi questo servizio, te ne prego. |
FESTE - | (Cantando) “Rapido come il Vizio,[89] “vado e torno, signore, “a far questo servizio, “perché ho un po’ di cuore, “e voi urge bisogno “che alcun vi dia sostegno. “Voi siete come quello “che agitando in pugno “una spada di legno “al diavolo gridava: “Tàgliati l’unghie, babbo!” “e il diavolo prese a gabbo.” |
(Esce) | |
SCENA III - Stanza in casa di Olivia | |
Entra SEBASTIAN | |
SEBASTIAN - | Eppure è aria questa intorno a me, questo è il glorioso sole, questa perla che ella m’ha donato io la sento, la vedo, è cosa vera… e se pur tutto quel che mi circonda sa di miracolo, non è follia. Ma allora dov’è Antonio? All’“Elefante” non potei trovarlo, eppure c’era stato, e là m’han detto che m’ha cercato in tutta la città. Nel frangente in cui sono, il suo consiglio potrebbe riuscirmi assai prezioso, perché seppur l’animo mio mi dica, in accordo con quel che vedo e sento, che tutto ciò può essere un equivoco, ma certamente non una follia, questa strana avventura e questa inondazione di fortuna vanno talmente ad di là d’ogni esempio, d’ogni credibile ragionamento, ch’io sono indotto a non credere più ai miei occhi ed a mettermi in conflitto con la stessa ragione, che pur mi fa di tutto consapevole fuor che d’essere pazzo, oppure che sia pazza questa dama: perché se fosse vero cha sia pazza non potrebbe dirigere la casa, farsi obbedire dalla servitù, sbrigare i propri affari in quel modo di fare sì tranquillo, discreto eppur deciso ed assennato che vedo in lei. Eppure in tutto questo ci dev’esser qualcosa d’ingannevole. Ma eccola che viene, la signora. |
Entra OLIVIA con un PRETE | |
OLIVIA - | Non farmi biasimo di tanta fretta: se le tue intenzioni sono vere, vieni con me e con questo sant’uomo nella vicina chiesa; avanti a lui e sotto quella consacrata volta, legami a te nella totale offerta della tua fede, sì che la mia anima molto gelosa e troppo diffidente possa vivere in pace. Egli terrà su tutto ciò il segreto, fino a che tu vorrai che venga sciolto, e allora il rito sarà celebrato solennemente come si conviene alla mia nascita. Che mi rispondi? |
SEBASTIAN - | Che seguirò con te questo sant’uomo e, avendoti giurato fedeltà innanzi a lui, manterrò il giuramento. |
OLIVIA - | Ed allora, buon padre, procedete, e il cielo nel fulgor della sua luce voglia santificar questo mio atto. |
(Escono) |
ATTO QUINTO
SCENA I - Stanza in casa di Olivia | |
Entrano il GIULLARE, con un foglio in mano, e FABIANO | |
FABIANO - | Se mi vuoi bene, mostrami quel foglio. |
FESTE - | Mastro Fabiano, fatemi un favore. |
FABIANO - | Tutto quello che vuoi. |
FESTE - | Allora voglio che non mi chiediate di veder questa lettera. |
FABIANO - | E bravo! Ma questo è come regalare un cane e per favore rivolerlo indietro. |
Entrano il duca ORSINO, VIOLA, CURIO e seguito | |
ORSINO - | Amici, siete gente della casa di donna Olivia? |
GIULLARE - | Infatti, signoria, noi siamo alcuni dei suoi finimenti. |
ORSINO - | Io ti conosco bene, mio buon amico? Come te la passi? |
FESTE - | Se devo dir la verità, signore, sto meglio a causa dei miei nemici, e peggio a causa dei miei amici. |
ORSINO - | Vorrai dire il contrario: starai meglio a causa degli amici. |
GIULLARE - | No, monsignore, peggio. |
ORSINO - | Come è possibile? |
FESTE - | È presto detto: essi non fanno altro che lodarmi facendomi passare per un asino; i nemici mi dicono, al contrario, che son un asino in tutte lettere, così che grazie a loro io progredisco nell’arte di conoscere me stesso; ma gli amici m’ingannano soltanto. Dimodoché, come per sillogismo per fare un bacio ci voglion due bocche, così anche se quattro negazioni equivalgono a due affermazioni, ne segue ch’io sto peggio per gli amici e meglio a causa dei miei nemici. |
ORSINO - | Tutto questo è eccellente. |
FESTE - | No, in verità, signore, non lo è; malgrado voi vi compiacciate d’essere uno dei miei amici. |
ORSINO - | Non starai certo peggio a causa mia; ecco per te dell’oro. |
FESTE - | (Accettando l’offerta) Se non fosse, signore, una doppiezza, alla quale vi avrei incoraggiato, vi pregherei di duplicare il gesto. |
ORSINO - | Ora mi dài un cattivo consiglio. |
FESTE - | Per una volta almeno, riponetevi in tasca il vostro onore e fate che la vostra carne e sangue obbediscano a questo mio consiglio. |
ORSINO - | D’accordo. Ebbene mi rassegnerò a peccare in doppiezza. |
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