All'inizio Leib Milner non ne voleva sapere. Desiderava vivere insieme ai figli e ai generi. Sua moglie, Nehama, si tappava le orecchie per non sentire quei discorsi. Ci mancava soltanto che lasciasse partire la sua Lea per un paese straniero! Neanche per tutto l'oro del mondo. Scuoteva la testa con tale energia che i lunghi orecchini le frustavano le guance. Ma David Karnowski tirò dritto per la sua strada. Con un fiume di parole, facendo ricorso a tutta la propria erudizione, a un'infinità di argomenti ragionevoli e alla testardaggine dei Karnowski, dimostrò al suocero e alla suocera che dovevano lasciargli fare ciò che gli stava tanto a cuore. Giorno dopo giorno, parlò, insistette, discusse fino a quando il suocero si arrese.

Leib Milner non poteva far fronte all'intelligenza e ai discorsi del genero. Ma Nehama, la suocera, non si lasciava piegare. No e no, ripeteva, a costo di arrivare a un divorzio, Dio non voglia. A questo punto però, fu la stessa Lea a intervenire.

«Mamma,» le disse «io andrò dove mi dirà il mio David». Nehama abbassò la testa e scoppiò in lacrime. Lea l'abbracciò e pianse con lei. David Karnowski aveva ottenuto quello che voleva, come sempre. Leib Milner gli versò l'intero ammontare della dote, ventimila rubli in biglietti da cento nuovi di zecca. Riuscì anche a convincere il suocero a mettersi in società con lui e a mandargli legname in Germania, via zattera e con il treno. La suocera preparò una montagna di dolci e biscotti, bottiglie di sciroppo e barattoli di marmellata, come se la figlia partisse per un viaggio nel deserto e avesse bisogno di provviste per anni.

David Karnowski si accorciò la barba nera, indossò una bombetta, una giacca lunga solo fino alle ginocchia, si comprò un cilindro per lo shabbat e i giorni festivi e si fece perfino confezionare una redingote di panno con i risvolti di seta. In pochi anni David Karnowski conseguì diversi importanti risultati nella capitale straniera dove si era stabilito. Prima di tutto, imparò a parlare bene il tedesco rispettando tutte le regole grammaticali, non il tedesco del Pentateuco di Mendelssohn, ma quello dei commercianti di legname, dei banchieri e dei funzionari. In secondo luogo, ebbe successo nella sua attività e divenne un personaggio importante del settore. Terzo, nel tempo libero, con l'aiuto di manuali, studiò da autodidatta l'intero programma della scuola superiore, come desiderava fin dalla giovinezza. Quarto, grazie alla sua erudizione e alla sua cultura secolare, strinse rapporti con i membri più in vista della Nuova Sinagoga dove pregava, che non erano immigrati miserabili, appena giunti dall'Est, ma la crema della società ebraica, radicata nel paese da molte generazioni. Il suo appartamento, situato in un edificio signorile nell'Oranienburgerstrasse, non lontano dalla Grosse Hamburgerstrasse dove si innalzava il monumento in memoria di Moses Mendelssohn, divenne un luogo di incontro per eruditi. Le pareti del suo vasto studio erano coperte, da terra sino al soffitto intagliato, di libri religiosi e profani, soprattutto testi antichi e rari che si procurava da Efraim Walder, un libraio della Dragonerstrasse, nel quartiere ebraico. La sera, nelle sue comode poltrone di cuoio, sedevano spesso non solo il rabbino della sua sinagoga, il dottor Spayer, ma altri sapienti ed eruditi, bibliotecari, insegnanti della facoltà rabbinica e perfino il decano, il vecchio professor Breslauer, che si riunivano da lui per discutere di Torah e di scienza del giudaismo.

Quando, dopo tre anni di matrimonio, la moglie Lea gli diede il primo figlio, David Karnowski gli impose due nomi: Moshe, in onore di Mendelssohn, il nome ebraico col quale l'avrebbero chiamato alla lettura della Torah quando fosse stato più grande, e Georg, un nome tedesco che ricordava quello di suo padre Gershom, da usare nella vita di tutti i giorni.

«Sii un ebreo a casa tua e un uomo quando ne esci» disse in ebraico e in tedesco David Karnowski al bimbo appena circonciso, come se la traduzione potesse rendere più chiaro al neonato l'ammonimento espresso nella lingua santa. Gli invitati alla cerimonia, tutti in redingote nera e cilindro, approvarono le parole del padre con un cenno della testa.

«Sì, sì, egregio signor Karnowski,» commentò il dottor Spayer accarezzandosi la barbetta sottile e aguzza come una matita ben temperata «sempre l'aurea via di mezzo, ebreo fra gli ebrei e tedesco fra i tedeschi»

«La buona, vecchia, aurea via di mezzo» approvarono i notabili infilandosi i tovaglioli candidi nei colletti alti e rigidi, per partecipare al banchetto in onore della circoncisione.

 

CAPITOLO 2

 

 

La gioia più grande per Lea Karnowski è sentir lodare il suo bambino, soprattutto quando le dicono che assomiglia al padre. Nonostante nei cinque anni trascorsi dalla nascita del suo unico figlio abbia ricevuto innumerevoli complimenti, non si stanca mai di ascoltarli.

«Guardalo, Emma,» interrompe la domestica nel bel mezzo del lavoro perché osservi il piccolo, come se non lo avesse mai visto «non è un amore?».

«Certo, signora».

«Suo padre nato e sputato, vero?».

«Proprio così, signora».

Come tutte le donne, Emma sa che alle madri piace sentirsi dire che i loro bambini assomigliano al padre, anche quando non è vero. Ma in questo caso non ha bisogno di mentire: il piccolo Georg è il ritratto di David Karnowski. Ha occhi neri e ardenti, precocemente incorniciati da sopracciglia nere, troppo folte e marcate per la sua età, la carnagione olivastra. Il naso dei Karnowski già svetta ostinato e insolente sul viso infantile.