Inginòcchiati, e bacia

la terra, ed esci carpone,

e va senza volgerti indietro!

 

ALIGI: Passatemi sopra con l'erpice

ma non toccate la donna.

 

(Lazaro gli s'accosterà, senza più contenere il furore; e, levando la corda, lo percoterà su la spalla).

 

LAZARO: Giù, giù, cane, mettiti a terra!

 

(Aligi cadrà su i ginocchi).

 

ALIGI: Ecco, padre mio, m'inginocchio

dinanzi a voi, bacio la terra.

E al nome di Dio vivo e vero,

pel mio primo pianto di quando

vi nacqui, di quando prendeste

me non ancóra fasciato

nelle vostre mani e m'alzaste

verso il Santo Volto di Cristo,

io vi prego, vi prego, mio padre:

Non calpestate così

il cuore del figlio dolente,

non gli fate quest'onta! Vi prego:

Non gli togliete il suo lume,

non lo date alla branca del falso

nemico che gira d'intorno!

Vi prego, per l'Angelo muto

che vede e che ode nel ceppo!

 

LAZARO: Va, va, esci fuori, esci fuori

e dopo ti giudicherò.

Esci fuori, ti dico. Esci fuori.

 

(Crudelmente egli lo percoterà con la corda. Aligi si solleverà tutto tremante).

 

ALIGI: Il Signore sia giudice, e giudichi

fra voi e me, e vegga, e mi faccia

ragione; ma io sopra voi

non metterò la mia mano.

 

LAZARO: Maledetto! T'appicco il capestro...

 

(Gli getterà il cappio per prendergli il capo; ma Aligi schiverà la presa afferrando la corda e togliendola al padre con una stratta improvvisa).

 

ALIGI: Cristo Signore, aiutami tu,

ch'io non gli metta addosso la mano,

ch'io non faccia questo al mio padre!

 

(Furente, Lazaro correrà al limitare chiamando).

 

LAZARO: O Ienne, o tu, Femo, venite,

venite a vedere costui

quel che fa (lo freddasse una serpe!).

Portate le corde. Invasato

è per certo. Minaccia il suo padre!

 

(Accorreranno due bifolchi membruti, portando le corde).

 

Mi s'è ribellato costui!

Maledetto fu sin nel ventre

e per tutti i suoi giorni e di là.

Lo spirito malo gli è entrato.

Guardatelo, senza più sangue

la faccia. O Ienne, tu prendilo.

O Femo, hai la corda, tu legalo.

Legatelo e gettatelo fuori

ché io non mi voglio macchiare.

E correte a chiamare qualcuno

che l'escongiurazione gli porti.

 

(I due bifolchi si getteranno su Aligi per sopraffarlo).

 

ALIGI: Fratelli in Dio, non fatemi questo!

Non ti perdere l'anima tua,

Ienne. Ti riconosco. Di te

mi rammento, quand'ero bambino,

che venni a raccoglier l'olive

nel tuo campo, Ienne dell'Eta.

Mi rammento. Non farmi quest'onta,

non vituperarmi così!

 

(I bifolchi lo terranno serrato e cercheranno di legarlo, trascinandolo, mentre egli si divincolerà).

 

Ah, cane! Di peste perissi!

No, no, no! Mila, Mila, corri,

prendimi là un ferro. Mila! Mila!

 

(Si udrà ancóra la sua voce rauca e disperata, mentre Lazaro chiuderà a Mila lo scampo).

 

MILA: Aligi, Aligi, Dio ti vaglia!

Dio ti vendichi! Non disperare.

Forza non ho, forza non hai.

Ma, finché m'è in bocca il mio fiato,

sono di te, sono per te!

Abbi fede. L'aiuto verrà.

Fa cuore, Aligi. Dio ti vaglia!

 

 

Scena ottava

 

Mila starà con gli occhi fissi a quella parte, con l'orecchio teso per cogliere le voci. Nella breve tregua, Lazaro scruterà la caverna insidiosamente. Si udrà in lontananza il cantare di un'altra compagnia trapassante pel valico.

 

LAZARO: Femmina, or hai tu veduto

che il padrone son io. Do la legge.

Rimasta sei sola con me.

Si comincia a far sera; e qui dentro

è già quasi notte. Paura

non avere, Mila di Codra,

né di questa mia cicatrice

se accesa la vedi, che ancóra

mi ci sento batter la febbre...

Accòstati. Consunta mi sembri.

Nel giaccio del pecoraio

non avesti per certo la grassa

pasciona. Da me tu potresti

averla, se tu la volessi,

alla pianura; ché Lazaro

di Roio è capoccio fornito...

Ma che guati per là? che aspetti?

 

MILA: Nulla aspetto. Non viene nessuno.

 

(Vigilerà, nella speranza di vedere apparire Ornella per salvazione. Dissimulando e temporeggiando, tenterà d'ingannare l'uomo).

 

LAZARO: Sei sola con me. Non avere

paura. Ti sei persuasa?

 

MILA (lentamente): Ci penso, Lazaro di Roio,

ci penso, a quel che prometti...

Ci penso. Ma chi m'assicura?

 

LAZARO: Non ti scostare. Mantengo

quel che prometto, ti dico,

se Dio mi dà bene. Vien qua.

 

MILA: E Candia della Leonessa?

 

LAZARO: Metta amara saliva e con quella

bagni il filo di canapa e torca.

 

MILA: E tre figlie tu hai nella casa,

e la nuora. Non mi confido.

 

LAZARO: Vien qua. Non ti scostare. Qua, senti:

ho vénti ducati cuciti

dentro la pelle. Li vuoi?

 

(Palperà l'orlo della sua casacca di pelle di capra. Poi se la toglierà di dosso e la getterà per terra, ai piedi della donna).

 

Tieni! Non li senti che suonano?

Sono vénti ducati d'argento.

 

MILA: Vo' prima vedere; vo' prima

contare, Lazaro di Roio.

Ora prendo le forbici e sdrucio.

 

LAZARO: Ma che guati? Ah, magalda, tu certo

preparando mi vai qualche sorte

e tenermi a bada ti credi.

 

(Egli l'assalirà per prenderla.